Nell’ultimo mese i giornali di tutta Italia sono stati impegnati a registrare gli innumerevoli incendi scoppiati in occasione del periodo di maggior caldo dell’estate. In un solo mese (da metà giugno alla metà di luglio) Legambiente ha calcolato che nel nostro paese siano stati persi 26.000 ettari di bosco, quasi la stessa estensione persa in tutto il 2016.
Anche il nostro territorio è stato flagellato da innumerevoli episodi. Incendi nell’entroterra, sulla costa, nelle riserve naturali, nelle zone industriali. Ovunque vi fosse qualcosa da bruciare. Nella vicina Termoli, qualche giorno fa, ha preso fuoco persino il grande stabilimento della FIAT.
Gli incendi sono diminuiti solo negli ultimi giorni, grazie all’ondata di temporali che ha investito la penisola e anche il nostro territorio. Peccato che questi abbiano portato altri grossi disagi con grandinate e allagamenti che hanno interessato in particolare la zona costiera.
Cosa sta succedendo alla nostra terra? Siamo davvero incappati in un momento particolarmente sfortunato? È colpa delle maree? Oppure del riscaldamento globale che produce estati sempre più calde e precipitazioni sempre più improvvise e concentrate? È colpa di Trump che non rispetta il trattato di Kyoto? Oppure dei segni di un prossimo cataclisma già annunciato dai numerosi terremoti degli ultimi anni?
Niente di tutto questo. Il caldo della prima parte dell’estate, così come la siccità della primavera di quest’anno sono solo fenomeni ciclici. Con cui conviviamo da millenni. Senza neanche consultare particolari dati statistici, basta far ricorso alla propria personale memoria… Anno di secca? Sarà pur vero che in primavera è piovuto poco, ma tutta la neve caduta quest’inverno?
Tornando al problema incendi, qualcuno obietterà che il mese di giugno è stato il più caldo di sempre (almeno secondo i soliti meteorologi sensazionalistici). Ma sanno tutti benissimo che l’autocombustione è un evento rarissimo (soprattutto di notte…) e, soprattutto, basta farsi un giro fuori dai centri abitati per vedere che, a parte i campi coltivati (che non vanno a fuoco…), la vegetazione spontanea non è riarsa, ma è ancora verde. Diventa allora evidente che gli incendi scoppiati in questo mese sono divampati per mano dell’uomo.
Quant’è grande il problema degli incendi? Tanto. Basta comprenderne le dimensioni. A cosa corrispondono 26.000 ettari di bosco bruciati in un mese in Italia? Sono l’equivalente di un quadrato di circa 16 km di lato (se l’Italia fosse quadrata misurerebbe circa 550 km). Un’area piuttosto grande, equivale a 3,7 volte il territorio del comune di Vasto.
Il problema, come detto, non è climatico. Il clima ha i suoi cicli e non siamo di fronte a (pur possibili) disastri naturali. Il problema è dovuto all’uomo, è di natura antropica. Sia il fuoco che la mancanza di acqua sono frutto di politiche scellerate e di un’incuria complessiva che caratterizza non solo la nostra terra, ma più in generale tutto il nostro sciagurato paese.
Il motivo, purtroppo, è soprattutto di carattere amministrativo. I roghi generati dai piromani e da chi ha interessi illeciti sono sempre stati numerosi. Per questo abbiamo delle squadre di soccorso a vari livelli. Locale, quando l’incendio è circoscritto. Regionale e nazionale quando l’incendio non può essere domato dalle forze locali. Quest’anno molti principi di incendio che, negli anni scorsi, sarebbero stati spenti dall’intervento dei famosi Canadair (i velivoli specializzati di cui abbiamo la più grande flotta del mondo), hanno bruciato per giorni senza che nessuno intervenisse perché… il governo aveva sciolto la guardia forestale e molte regioni non si sono adeguate in tempo stipulando le necessarie convenzioni!
Sembrerà assurdo, ma Legambiente denuncia che la regione più colpita, la Sicilia, che da sola ha perso circa 13.000 ettari di boschi, nel 2017 non ha ancora stipulato la convenzione con i Vigili del Fuoco. Ugualmente grave la situazione in Campania e Lazio, ugualmente flagellate, dove le regioni non hanno ancora approvato il Piano Antincendio Boschivo per il 2017. In mancanza di prevenzione e di manutenzione del territorio, chiaramente è più facile che un incendio si propaghi. In mancanza del necessario intervento, lo stesso può diventare un rogo furioso in grado di durare per giorni.
Se guardiamo il problema dell’acqua, dobbiamo fare, invece, una considerazione ancora più amara. Non si tratta di un problema contingente, ma di un problema strutturale che si è stratificato negli anni e che appare molto più difficile da aggredire rispetto alla riorganizzazione del Corpo Forestale e del relativo servizio di prevenzione antincendi.
L’Italia a quanto mi consta, non è un paese desertico (abbiamo solo un piccolo deserto in Sardegna, a Piscinas, ma è un caso unico…). Anzi, l’Italia è ricchissima di acqua. E non potrebbe essere altrimenti, vista la costante presenza di montagne. Anche la nostra zona lo è. Eppure a Vasto ogni anno d’estate manca l’acqua. Ogni giorno. Per ore. Molti non se ne accorgono perché abitano in case o condomini con serbatoi e autoclave, ma l’erogazione dell’acqua viene regolarmente sospesa.
Com’è possibile? Un “addetto ai lavori”, con cui ho avuto occasione di parlare nei mesi scorsi, oltre a confermarmi il pessimo stato delle condotte sotterranee, mi ha rivelato che il 90% dell’acqua di Vasto viene presa dal fiume Trigno. Peccato che due delle quattro bocche di captazione non possano funzionare perché poste a valle di zone inquinate, in particolare dopo Dogliola. Bisognerà attendere il completamento della diga di Chiauci, nel territorio di Isernia, per un miglioramento della situazione che, però, a detta del mio informatore, non cambierà almeno per i prossimi 7-8 anni.
Viviamo quindi dei curiosi paradossi. Abbiamo l’acqua che scende giù dalle montagne, ma non possiamo prenderla a valle perché arriva troppo inquinata. Non riusciamo a prendere tutta l’acqua che ci serve e rimaniamo a secco, ma quando piove, anche solo per mezz’ora, la città si allaga, i tombini saltano e a mare finisce di tutto (ma proprio di tutto…).
Qui tocchiamo un altro tasto dolente. Forse quello più grave. Quando piove, le strade diventano dei torrenti perché, molto semplicemente, l’asfalto è impermeabile, i marciapiedi sono impermeabili, i tetti delle case che rovesciano l’acqua nelle gronde sono impermeabili. Tutta la città è impermeabile. L’acqua, quindi, non penetra nel terreno, non va ad arricchire la falda (che continua ad abbassarsi) e prende a scorrere per le nostre strade come fossimo ad Aqualand!
Il motivo è molto semplice. Si tratta del “consumo di suolo”. In Italia, ormai, il 7% del territorio è costruito o asfaltato. Ogni anno, 13.000 ettari di suolo precedentemente agricolo o boschivo vengono ricoperti da catrame o cemento (circa 2 volte il territorio di Vasto). Negli anni ‘2000, il ritmo era addirittura il doppio. Proprio in quegli anni, con il nuovo piano regolatore cittadino, l’esplosione dell’edilizia residenziale ha portato alla costruzione di un’enorme cubatura, senza forme di compensazione (qualcuno nelle nuove zone di Vasto ha visto per caso un giardino pubblico?) e senza che fossero costruite le opportune opere idrauliche di servizio.
Per questi tre aspetti che viviamo costantemente tutti gli anni (gli incendi, la siccità e gli allagamenti), duole dire che il problema non è di Madre Natura. Il problema è sempre dovuto all’incapacità gestionale della nostra macchina amministrativa. E non mi riferisco assolutamente al governo cittadino, all’attuale giunta o a quelle precedenti. Il problema sta ormai nella macchina, non nel guidatore.
In tutte queste problematiche, infatti, il processo decisionale è ripartito fra numerosi enti. Comuni, provincie, regioni, consorzi, autorità di bacino, organismi bilaterali, paritetici, conferenze di servizio… una pletora di strati intermedi fra il cittadino ed il soddisfacimento dei suoi bisogni che continua a proliferare e, anche quando viene intaccata (come è successo per le provincie), rimane inerte e poi rifiorisce perché questo corpaccione pubblico è ormai come una intrico di rovi da cui l’Italia sembra non potrà mai più uscire.
Ogni ente di solito ha molto meno potere di quanto pensiamo, grazie ai bilanci sempre più risicati e alla concorrenza di altri enti che qualche governo regionale o statale gli ha nel frattempo messo accanto (o sopra, oppure sotto). Se pensiamo, per esempio, che la spesa pubblica mensile per abitante in Italia è di oltre 1000 euro, di cui quella gestita dal comune (prendo i dati di Vasto, ma valgono più o meno anche per gli altri comuni) è pari a meno di 30 euro (di cui metà servono alla raccolta rifiuti), capirete tutti perché è inutile aspettarsi che una qualsiasi amministrazione possa davvero risolvere i tanti problemi che, anno dopo anno, si stanno affastellando uno sull’altro. Soprattutto quando questi problemi interessano più territori e più amministrazioni.
Il vero grande male dell’Italia è purtroppo questo. La nostra terra brucia, ma non solo per gli incendi che divampano. Arde di un lento fuoco di consunzione che si autoalimenta e che nessuno sembra un grado di estinguere.
Con questo articolo si conclude la mia collaborazione con Zonalocale. Ringrazio il direttore e l’editore di aver ospitato queste 23 riflessioni che ho scritto settimanalmente sul rapporto fra i fatti cittadini (la zona locale) e le tendenze italiane o ancora più generali (il mondo globale).
È stata una bellissima esperienza ed un onore dare un contributo a questa testata che è oggi la realtà giornalistica online più importante del sud dell’Abruzzo e che sta costruendo un modo nuovo di fare giornalismo e di creare cultura nella nostra regione.
Dopo la pausa estiva, nuovi progetti (anche legati al nostro territorio) mi assorbiranno completamente e non mi consentiranno più di partecipare come editorialista. Spero che questo importante spazio su Zonalocale, unico perché completamente indipendente, possa ospitare altre opinioni in grado di alimentare sempre di più la consapevolezza di cui abbiamo bisogno per crescere come comunità, consapevolezza che può nascere solo dall’informazione, dal dibattito e dalla riflessione.