Alla fine di un gioco dell’oca iniziato sei anni fa con la spaccatura e la caduta dell’amministrazione Marchese, il centrosinistra, o ciò che ne rimane, torna al punto di partenza. Alla casella numero uno della campagna elettorale si è presentato di nuovo a brandelli. Nel 2012 diviso in 2, stavolta in 3: da un lato il Pd e due liste civiche, dall’altro San Salvo Democratica e la lista di Fabio Travaglini. Infine Osvaldo Menna, ex leader dei socialisti sansalvesi, che ha tentato un’avventurosa marcia solitaria. Il risultato è imbarazzante per tutti: Gennaro Luciano 15%, Angelo Angelucci 13%, Menna fuori dal Consiglio comunale.
Nell’illusione di aver trovato un metodo universale, il Pd ha creduto di poter esportare a San Salvo il modello del bravo ragazzo sperimentato a Vasto con Francesco Menna e trasposto, come un vestito, su Gennaro Luciano, il segretario dem locale e del Vastese, che nella campagna elettorale ha messo passione e volto pulito.
La comunicazione politica come un format televisivo (non a caso, TeleGennaro): medesimo l’arredamento del comitato elettorale, identica l’organizzazione dei comizi (uguali la colonna sonora e il leggio trasparente di veltroniana memoria). E, per completare il déjà vu, stesse persone sul palco del comizio di chiusura: a Vasto, il 3 giugno 2016, in piazza Powell (e il 17 giugno, prima del ballottaggio, in piazza Pudente) Francesco Menna e Angelo Pollutri; il 9 giugno 2017, a San Salvo, in piazza Papa Giovanni XXIII, ancora Francesco Menna e Angelo Pollutri, ovviamente di fianco al candidato sindaco, Gennaro Luciano. E con Menna che, nell’introdurre l’intervento di Luciano, usa alcune delle frasi ricorrenti della campagna elettorale del 2016.
Segnali di un centrosinistra sempre in bilico, oggi come un anno fa, tra volti nuovi e visi da amarcord. E, all’interno del centrosinistra, di un Pd un po’ glamour nelle apparenze, un po’ vintage nella sostanza: a metà tra il rinnovamento, più decantato che attuato nella realtà, e l’impossibilità (a volte incapacità) di lasciarsi alle spalle il passato. Inoltre, nel messaggio lanciato agli elettori, sempre meno popolare e sempre più di plastica.
Se, nel 2016, a Vasto Francesco Menna si era confrontato con un centrodestra consunto e capace di apparire più stantio dell’amministrazione Lapenna, a San Salvo Luciano e Angelucci (ma, soprattutto, le forze politiche che li hanno sostenuti) hanno sbattuto la testa contro un centrodestra in grado di esprimere una leadership credibile e un radicamento in tutte le fasce dell’elettorato. Quella di Tiziana Magnacca è una vittoria a valanga.
Uno tsunami che travolge un centrosinistra autoreferenziale. Chiuso negli angusti recinti creati attorno ai due suoi principali competitors – Luciano e Angelucci, che della disfatta sono vittime e non cause – e nella riserva indiana di Osvaldo Menna.
In questa campagna elettorale, gli schieramenti alternativi a Tiziana Magnacca non sono riusciti a essere convincenti su un punto fondamentale: spiegare agli elettori perché si fossero presentati ancora divisi e perché i sansalvesi dovessero scegliere l’uno o l’altro. Anzi, li hanno disorientati ancor di più quando, nell’ultima settimana, hanno apertamente evocato un’intesa al secondo turno, alimentando i dubbi sul perché, mai sufficientemente spiegato, non si fossero alleati prima. Ma il secondo turno non c’è stato.
Fin dalle prime schede, il divario è stato talmente ampio, da risultare incolmabile nella lunga notte in cui i dati ufficiali del Comune latitavano, ma ai comitati elettorali i rappresentanti di lista trasmettevano numeri ufficiosi a senso unico: Luciano e Angelucci, insieme, non raccolgono neanche il 30% dei consensi. Osvaldo Menna non rientra in Consiglio comunale.
In quella che fu definita la Stalingrado d’Abruzzo, la sindaca uscente e le liste d’appoggio (rigorosamente senza simboli di partito per confermare il consenso trasversale del 2012) vincono con una percentuale bulgara. E, a notte fonda, la prima cittadina si toglie la soddisfazione di festeggiare davanti al municipio, partecipando al trenino dei suoi sostenitori e facendo risuonare sotto al porticato la frase: “Li abbiamo asfaltati”.
Sotto lo schiacciasassi finisce un centrosinistra a pezzi, ma convinto, negli ultimi giorni di campagna elettorale, di andare al ballottaggio. Scollato dalla realtà. In guerra da anni, non tanto sui contenuti e sulle proposte da presentare ai cittadini (i candidati hanno usato argomentazioni simili), quanto per il potere prima (all’epoca della caduta della Giunta Marchese), poi per rancori personali (la spaccatura e la sconfitta di 5 anni fa) e, infine, per l’egemonia sulle rovine di un’area politica e del suo modello San Salvo che, fino alle fibrillazioni post-elezioni 2007, era stato un esempio per la sinistra di tutta la provincia.
Un centrosinistra che, frastornato da numeri impietosi, ha poi accolto la debacle come un destino ineluttabile. Come se la stagione del centrodestra fosse iniziata (e ora continuerà con merito) per volontà del fato e non per colpa di quella presunzione che, ancora oggi, dopo due batoste storiche, fatica a dissolversi.