A otto mesi dall’insediamento della commissione comunale incaricata di vagliare le domande di assegnazione dei sussidi straordinari, il Comune di Vasto è stato letteralmente sommerso di richieste, tanto che si prevede di arrivare a 450 domande entro il primo anno.
Si tratta di numeri preoccupanti. Innanzitutto perché questo vuol dire che a Vasto circa 3 famiglie su 100 non ha altra possibilità e deve ricorrere a questa misura straordinaria per alleviare almeno un po’ la propria situazione. E poi perché una vicenda del genere non può essere ridotta a statistica, poiché anche solo una situazione di indigenza in uno Stato che dovrebbe garantire non necessariamente il benessere (welfare), ma almeno la dignità dei propri cittadini non è moralmente accettabile.
Ma allora è vero che stiamo diventando poveri? È tutta l’Italia che si sta impoverendo, oppure è il nostro Abruzzo con l’intero centro-sud a segnare il passo? Quali sono le ragioni e cosa possiamo fare per non sprofondare in una situazione di povertà generalizzata che ormai è nei ricordi solo dei più anziani, nei ricordi di chi ha vissuto l’ultima guerra o le sue immediate conseguenze?
La nostra Italia è, già di suo, un paese piuttosto particolare. Nonostante la crisi del 2008 abbia ridotto la ricchezza complessiva delle famiglie italiane di oltre 1000 miliardi di euro, siamo ancora il popolo con la maggiore ricchezza privata (a quanto pare più degli stessi americani e dei tedeschi). La ricchezza privata complessiva degli italiani viene oggi calcolata in circa 8000 miliardi di euro. È come se ognuno di noi avesse un patrimonio di oltre 120.000 euro. Una famiglia di due adulti con due figli, secondo questa statistica, dovrebbe possedere, fra immobili, denaro e titoli, quasi mezzo milione di euro.
Quindi la famiglia media in Italia non risulta povera. Tutt’altro. Però questo è solo il valore medio e la statistica, come diceva Trilussa, spesso inganna:
Me spiego: da li conti che se fanno
secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.
Il dato che appare più significativo, infatti, è quello della forbice che sta aumentando sempre di più fra le famiglie più ricche e quelle più povere. Se prendiamo, infatti, il 20% delle famiglie più ricche, scopriamo che ha un reddito ormai 6 volte maggiore a quello del 20% delle famiglie più povere. Ovviamente, queste sono concentrate principalmente nel Sud, mentre le famiglie ricche vivono per lo più al Nord.
Secondo i dati ISTAT relativi al 2015, quattro milioni e 598mila italiani sono ormai in condizioni di povertà assoluta, ovvero il 7,6 per cento della popolazione residente. Povertà assoluta significa oggi avere un reddito che non consente, per esempio, di pagare le bollette, fare fronte a spese impreviste, riscaldare casa, fare un “buon” pasto almeno una volta ogni due giorni. Insomma, significa non solo vivere male, ma vivere a contatto con la disperazione.
Chi sono i nuovi poveri? La cosa più terribile è che non si tratta dei “classici” anziani soli o degli immigrati (che pure sono gravemente a rischio). Si tratta soprattutto delle famiglie numerose, quelle composte da 5 o più persone. In tutta Italia, ben il 30% di queste famiglie non riesce a pagare le bollette, il mutuo o altri debiti. Se poi guardiamo alle famiglie con 3 o più figli minorenni, scopriamo che il 51,2% di esse è a rischio povertà o esclusione sociale.
Perché ci troviamo a vivere in una società in cui la povertà aumenta e, soprattutto, attacca le giovani famiglie e ricade con questa violenza su tanti bambini piccoli? La risposta è complessa, ma anche in questo caso conviene partire dai numeri.
L’italiano “medio”, sempre secondo la statistica, è ben strano. Ha un sostanzioso patrimonio di 120.000 euro, ma ha un tenore di vita relativamente modesto, dato che spende circa 2000 euro lordi al mese. Il problema è che quei soldi non se li guadagna (il reddito medio è un po’ più basso del Prodotto Interno Lordo che, al contrario di quello che dice il nome, è calcolato di fatto sui consumi), perlomeno non tutti. E allora cosa fa? Al posto di intaccare il suo patrimonio privato, li prende in prestito dalla banca, attraverso il debito pubblico. Infatti questo è arrivato a pesare circa 35.000 per ciascun cittadino.
Cos’è che non funziona? È soprattutto la presenza di tanta ricchezza privata ad essere dannosa, soprattutto perché quasi sempre improduttiva. Investita in immobili o in rendite finanziarie, la ricchezza privata oggi in Italia non muove l’economia e non crea lavoro. Almeno non quanto dovrebbe. E lo Stato, che non ha mai dimostrato di essere un bravo imprenditore, ha in questo momento debiti tali da non poter ricoprire quel ruolo di promotore economico che tanti vorrebbero riprendesse a svolgere.
Anche questa grande ricchezza privata, accumulata in vari modi ed in epoche diverse, non è destinata a durare molto. I patrimoni immobiliari sono tali oggi spesso solo per valore nominale. I patrimoni finanziari appaiono più solidi e forse lo sono se li consideriamo individualmente. Ma dal punto di vista della comunità, sono invece effimeri, perché sono soggetti a svalutazioni di cambio (immaginate cosa succederebbe se uscissimo dall’Euro!) e, soprattutto, tendono ad andare dove trovano le migliori condizioni di interesse. Rimangono nelle tasche (virtuali) del loro proprietario, ma ci mettono poco a essere depositati fisicamente in qualche paradiso fiscale e a essere sottratti al circuito economico nazionale.
La cosa più grave è, però, che in questi 9 anni dallo scoppio della crisi siamo riusciti a perdere ben il 25% della produzione industriale. Molte aziende hanno chiuso i battenti e non li riapriranno. Molte di quelle che sono sopravvissute, soprattutto nel comparto alimentare, sono state acquistate da capitale straniero. Continueranno a dare lavoro in Italia, ma gli utili che saranno in grado di generare prenderanno altre strade.
Cosa aspettarsi allora? Nulla di buono. L’inatteso flusso di domande per i sussidi di povertà arrivato al comune di Vasto non è un caso. È solamente un primo indicatore di una crisi che coinvolgerà sempre più famiglie e sempre più persone. In mancanza di una seria politica di sostegno (a livello statale, non solo comunale…), nei prossimi anni si accanirà soprattutto, in maniera odiosa, sulle giovani famiglie monoreddito e su chi perderà il lavoro.
Fra 15 anni, quando gli effetti della nefasta riforma Dini del 1994 entreranno pienamente in circolo, interesserà in maniera inesorabile i futuri pensionati, che si ritroveranno con un reddito ben al disotto della soglia di sussistenza e, quasi sempre, con una storia lavorativa che avrà impedito loro di accumulare patrimoni importanti o di prendere le necessarie contromisure.
Purtroppo il nostro, nonostante l’idea che continuiamo a nutrire degli “Italiani brava gente”, non è un paese solidale. Forse lo sono le persone, almeno alcune. Ma non lo è la nostra società, che è invece tendenzialmente familistica e corporativistica. Abbiamo avuto molte occasioni di cambiare in meglio e, in questi anni, le abbiamo sempre disattese.
Non siamo state brave formiche, ma ci siamo comportati, invece, come cicale. Alcune generazioni sono state delle vere e proprie locuste.
Adesso l’inverno è alle porte e sta bussando. Possiamo sperare solo che non faccia freddo troppo in fretta.