Come sono i giovani della nostra zona? Quali sono le loro capacità? Cosa combineranno quelli che, fra qualche anno, dovranno pagare con il loro lavoro le nostre pensioni? Saranno buoni a far qualcosa? Soprattutto, avranno voglia di fare qualcosa? Oppure sono “gioventù bruciata” dai telefonini e da un modello educativo troppo permissivo?
Venerdì scorso ho avuto il piacere di confrontarmi con gli studenti delle quinte del Polo Liceale Pantini-Pudente in una sorta di “assemblea” molto partecipata su questi temi, insieme ai loro insegnanti ed al dirigente scolastico. L’oggetto era l’esito dell’indagine che il Liceo ha svolto nelle scorse settimane sulle competenze trasversali dei propri studenti prossimi al diploma.
Al di là dei dettagli evidenziati dai risultati del test (hanno partecipato 93 ragazzi che hanno risposto a ben 192 domande ciascuno), i valori di quest’indagine evidenziavano un profilo medio molto particolare. Confrontandolo con i dati della popolazione generale e con lo storico che questi test hanno negli ultimi 20 anni, è emerso un ritratto del “giovane d’oggi” che ha fatto riflettere tutti e ha anche portato gli stessi ragazzi ad esprimere diverse idee sulle cause di alcune caratteristiche che nella “popolazione” analizzata appaiono piuttosto marcate.
L’indagine svolta verteva sulle competenze dei ragazzi in quattro aree “critiche”: la capacità di prendere decisioni, la resilienza di fronte alle difficoltà, la comunicazione, il trasporto verso il cambiamento. Per ognuna di queste aree sono state individuate 4 competenze, il cui valore determinava (in base a differenti profili frutto degli studi precedenti) un indicatore del potenziale in ciascuna area. Come vedete, non si trattava di un test scolastico, di un esame sulle conoscenze di una disciplina, ma di un’analisi sulle cosiddette Competenze Trasversali, ovvero competenze che sono sempre richieste e tornano utili in qualsiasi circostanza. Nello studio, come nel lavoro. Nella vita pubblica come in quella privata.
Cosa è emerso, allora, da questa indagine? Com’è la meglio gioventù di Vasto e dintorni?
Premesso, ovviamente, che si tratta di un campione limitato agli studenti di un Liceo (che seguono comunque vari indirizzi, anche molto diversi fra loro), possiamo dire che i nostri giovani hanno una notevole capacità di analizzare le informazioni per prendere decisioni ponderate e hanno una buona capacità di resistere alle avversità.
Al contrario, il loro trasporto verso il cambiamento non è particolarmente alto e la capacità comunicativa è piuttosto bassa. Questo ne fa dei ragazzi mediamente piuttosto chiusi, focalizzati su se stessi piuttosto che sulla relazione con l’ambiente circostante, e tendenti più alla conservazione che al cambiamento.
Se analizziamo questi dati dal punto di vista dell’orientamento professionale, vediamo come la maggior parte di loro sia portato per l’area esecutiva (diciamo pure, per capirci, il “lavoro impiegatizio”), piuttosto che per l’area commerciale, progettuale o creativa (che è quella più lontana dal loro posizionamento medio).
Quindi? Avremo dei perfetti impiegati? Sì, come impiegati sarebbero ottimi, perché bisogna dire che, al di là dell’orientamento, il potenziale complessivo è piuttosto alto. Fatti tutti i conti, il livello medio di competenza rilevato è significativamente più alto di quello del resto della popolazione. Anche di quello dei loro “fratelli maggiori”, ovvero di quelli che, usciti dalle università o da un tirocinio formativo, cercano oggi lavoro in Italia.
Se andiamo nel dettaglio, infatti, scopriamo che i nostri giovani maggiorenni sono bravi a prendere decisioni perché sono estremamente analitici, ma anche selettivi di fronte all’informazione non necessaria. Sono inoltre responsabili e abbastanza determinati. E ciò, come ha detto venerdì scorso un’insegnante, è anche frutto del fatto che da 13 anni a questa parte fanno soprattutto questo, dato che il modello scolastico italiano è basato sulla continua decodifica e interpretazione dell’informazione.
Il fatto che i giovani siano resilienti deriva soprattutto dal fatto che hanno un elevato livello di coinvolgimento e di compassionalità (empatia). Sono attributi che, solitamente, tendono a perdersi con l’andare del tempo, man mano che l’individuo si indurisce. Questo consente loro di scaricare bene lo stress e di ripartire dopo uno stop improvviso. Anche l’elevata tendenza a sistematizzare le cose (dare un ordine) aiuta in questo senso. Nell’indagine è emerso poi che i giovani non sono molto istintivi, ovvero hanno già parecchie remore ad esprimere quello che pensano. È stato il secondo valore più basso in assoluto fra tutte le 16 competenze investigate. Ma questa, purtroppo, è una tendenza propria di tutta la nostra società e, anzi, nei nostri giovani è apparsa meno evidente che nella popolazione adulta.
Se andiamo a guardare, invece, l’area del Trasporto, scopriamo che i ragazzi non hanno una grande capacità di cambiamento, ma non perché non abbiano motivazione (che è, invece, altissima). La capacità complessiva viene ridotta dai bassi valori di disponibilità (la voglia di pagare il prezzo che il cambiamento richiede) e di flessibilità (la capacità di accettare cambiamenti continui), mentre il condizionamento subito da fattori esterni è nella media. Anche in questo caso è evidente l’influsso del modello di vita conosciuto fino ad ora. Sempre gli stessi orari, sempre gli stessi luoghi, sempre gli stessi amici. La stessa organizzazione della loro vita li spinge, da una parte, a desiderare fortemente di cambiarla, ma, dall’altra, ad aver paura dell’ignoto che non hanno probabilmente ancora mai sperimentato.
Nella comunicazione, infine, troviamo i valori più bassi. Di fronte ad un’elevata capacità di ascolto e ad una media capacità di espressione quantitativa e qualitativa, troviamo un valore bassissimo nella responsività, ovvero nel feedback fornito all’interlocutore. Questo sembra essere il vero tallone d’Achille dei ragazzi, anche se si tratta di un dato in qualche misura atteso perché condiviso, anche se non in questa misura, con il resto della popolazione e parte di un trend che ha visto questa capacità abbassarsi sempre di più negli ultimi 20 anni.
I giovani d’oggi sono quindi molto diversi dal ritratto che ne viene spesso fatto da chi ha già qualche anno in più. Sono molto più “seduti” di quanto lo era, ad esempio, la mia generazione di 25 anni prima. Lo dico non solo per i risultati dei test, ma anche per osservazione diretta e per il fatto di aver potuto parlare senza microfono per due ore a 150 ragazzi senza particolari problemi e senza che nessuno si alzasse in piedi! Con la mia generazione di 25 anni fa, questo sarebbe stato assolutamente impossibile.
Inoltre, a inizio anni ’90 (e non oso pensare a 10 o 20 anni prima…), gli ideali politici erano ancora molto forti. I giovani del Fronte della Gioventù si distinguevano dagli alternativi di sinistra e dai moderati (diciamo anche dai democristiani a loro insaputa…) ad occhio nudo. Venerdì scorso, fra me e me, io ho provato a cercarla, ma non sono riuscito a individuare nessuna connotazione di questo tipo! Allora dove sta il problema di fronte a questi “bravi ragazzi”?
Il problema sta proprio nel quadrante che determina l’attitudine ad un certo tipo di impiego. I nostri liceali stanno comodamente nel quadrante dei lavori esecutivi. Non perché siano nati così (tanto che hanno una forte motivazione al cambiamento), ma perché li hanno messi lì la famiglia, la scuola e la società tutta. I quadranti dove ci saranno, invece, le migliori opportunità di lavoro nel futuro sono gli altri tre e, in particolare, quello più lontano dal loro. Quel quadrante della creatività (non pseudo-creatività artistoide, sto parlando proprio di capacità di creare qualcosa di nuovo) che richiede apertura agli altri e vera capacità di un continuo cambiamento (che loro, invece, non hanno).
Sul perché in futuro il lavoro esecutivo sarà sempre di meno non è qui il caso di dilungarsi. Qualcuno punta il dito sulla “globalizzazione”, qualcuno sulla “Industria 4.0”, qualcun altro, semplicemente ricorda come Amazon stia uccidendo i negozi (per una volta, più i grandi che i piccoli), così come il booking on line ha portato alla chiusura delle agenzie di viaggio. Già oggi, i lavori che vengono sostituiti dall’automazione e della digitalizzazione sono proprio quelli basati sulla semplice analisi e ricodifica dell’informazione. Input, elaborazione, output. Quello che insegna a fare molto bene il modello di scuola gentiliana. Peccato che, ancor meglio, lo sappia fare oggi una rete di computer!
Per dare un’idea di quello che aspetta questi stessi ragazzi in futuro, quello che verrà loro richiesto, riporto solamente “10 competenze necessarie per avere successo nel prossimo decennio”, tratte dal documento Work skill 2020 dell’Institute for the future di Palo Alto: capacità di costruire un senso attorno alle cose, intelligenza sociale, pensiero creativo, cultura trasversale, pensiero elaborativo, conoscenza dei new media, multidisciplinarietà, organizzazione mentale, gestione delle informazioni, collaborazione virtuale.
È in queste capacità che si svilupperà il lavoro del futuro. Di qualunque tipo esso sia. Sempre più di nicchia, sempre più specializzato, ma, paradossalmente, sempre meno tecnico. Le competenze disciplinari (le hard skill), mutando continuamente ed essendo sempre più facilmente disponibili attraverso gli ausili software e hardware di cui disponiamo, saranno meno richieste come bagaglio pregresso, mentre sarà più importante saperle definire, ricercare e, soprattutto, mettere a fattore comune con gli altri membri dell’organizzazione.
L’aspetto cooperativo del lavoro, infatti, sarà sempre più preminente. Ed è proprio in questo che i giovani italiani appaiono oggi meno attrezzati. Il bassissimo livello della responsività definisce proprio lo scarso valore che viene dato all’aiuto verso il proprio interlocutore. Non dargli feedback su quello che si è capito o su quello che interessa è, infatti, un’attitudine molto apprezzata nel vecchio ordinamento sociale di cui facciamo ancora parte (la segretezza dell’informazione è ancora sinonimo di potere), ma, allo stesso tempo, è un enorme limite per la società fluida nella quale veniamo man mano risucchiati e di cui faranno parte a pieno titolo i diciottenni di oggi.
Al di là delle opportunità lavorative, quello che spaventa è soprattutto la distanza che potrebbe esserci fra le aspettative che hanno i ragazzi e quello che offrirà loro il mondo dei grandi una volta usciti dalle mura protettive del sistema scolastico e universitario. Il rischio è che le sollecitazioni che riceveranno non siano stimolo al miglioramento ed all’apertura, ma, piuttosto, ulteriore elemento di pressione verso il disimpegno e la chiusura.
È inutile additare alcuni costumi più tipici dei giovani come causa di questa situazione e dei pericoli che essa genera. In particolare, è inutile incolpare i social o gli smartphone per questa tendenza alla chiusura verso il mondo esterno. Essi non sono una causa, sono semmai un effetto del modello culturale proprio di tutta una società che dimostra non solo di non voler affrontare le sfide che l’attendono, ma di non averle neanche minimamente comprese.
In questo senso, tornando alla domanda iniziale, dopo aver visto più da vicino i ragazzi della nuova generazione a 25 anni di distanza dalla mia, posso dire che non sono affatto gioventù bruciata. Anzi, semmai sono gioventù bruciante per il loro coinvolgimento emotivo, per l’elevato potenziale intellettivo e per la motivazione che ancora li anima.
Cerchiamo di coltivare un po’ di più questo fuoco e di non farlo spegnere.