Da Michele Celenza, presidente dell’associazione civica Porta Nuova, riceviamo e pubblichiamo una replica all’editoriale di Alessandro Obino, intitolato: “A scuola di analfabetismo”.
Scuola di Analfabetismo, azienda di dressage
1. L’articolo del Dott. Alessandro Obino ha il grande pregio di descrivere, da un punto di vista interno al sistema delle aziende, le manchevolezze e anzi il sostanziale fallimento della scuola italiana nella trasmissione delle cosiddette competenze di base. Sono cose già note (cito un testo per tutti: Graziella Priulla, L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese, Franco Angeli, Milano 2011), ma ripeterle non fa male.
2. Qualche perplessità però mi resta. E sta in ciò: che l’Autore, il quale certamente si trova a suo agio –per usare il suo lessico- nelle 5S, pur dimostrando di applicare a dovere le 3G sembra incontrare difficoltà crescenti nei confronti dello stuolo dei 5W+1H, e, peggio ancora, dei 4M e dei 5Whys. Detto in italiano: i dati ci sono, ma la descrizione del problema e più ancora l’individuazione delle cause lasciano, a mio modesto avviso, a desiderare. Per non dire del rimedio che viene ipotizzato…
3. Ho anticipato le conclusioni. Ora andiamo con ordine. “Competenze di base”, si diceva. Ma che cosa sono le competenze di base? E per quale strada si acquisiscono?
Se le “competenze di base” fossero quelle così simpaticamente indicate dagli acronimi giapponesi citati dal Dott. Obino, allora perché non istituire una nuova materia, chiamiamola appunto “Competenze di base”, oppure, perché no, “5S3G5W+1H4M5Whys” a fianco, o meglio, al posto della letteratura italiana, della matematica, per non dire del greco antico etc… Ecco, questa, sembra di capire, è per l’appunto la proposta del dott. Obino: “l’attività costante di formazione che viene svolta dalle grandi aziende”, proprio quella, dovrebbe essere riprodotta nella scuola, per poi giungere alla “creazione di un’attività produttiva all’interno delle Scuole Medie Superiori, con rapporti commerciali verso l’esterno”. In breve: portare l’Azienda nella Scuola. La soluzione –finale- del problema scolastico coinciderebbe dunque –a un dipresso- con la soppressione della scuola stessa. C’è a chi piace.
4. Se invece per “competenze di base” si intende la capacità di interagire significativamente in un dato contesto civile (le cosiddette “competenze di cittadinanza” che pure il Dott. Obino cita), allora questa non è una materia, ma un processo, un processo di apprendimento detto di secondo grado (Bateson) che è tanto la conseguenza inevitabile quanto il complemento necessario di ogni apprendimento primario, vale a dire del contenuto primo dell’istruzione (le materie). Insomma: è nello studio della singola disciplina (letteratura italiana, greco antico, matematica etc, o altre materie purché sufficientemente strutturate) che “i destinatari dell’azione educativa acquisiscono competenze incompatibilmente più importanti per la loro vita futura rispetto alla minutaglia di conoscenze, anche la più scrupolosamente selezionata, che si combinano nei programmi di studio formali o informali” (Zygmunt Bauman, La società individualizzata, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 157-158). Ma son cose note: è nient’altro che il processo stesso dell’apprendimento, che Bateson ha solo codificato e reso esplicito.
Il metodo per sé non si insegna, si costruisce. Il metodo come oggetto di insegnamento si chiama dressage, addestramento; il metodo come processo si chiama educazione. La scuola, nel suo campo, basta a se stessa.
5. Eppure… Eppure è indiscutibile che, qualsiasi cosa si intenda per “competenze di base”, queste siano, in Italia, mediamente al di sotto della comune decenza. “I dati della fascia d’età più giovane (15-24 anni), con il 20% di analfabeti funzionali e il 60% complessivo di insufficienze” scrive il Dott. Obino, “sono letteralmente deprimenti”. Ha perfettamente ragione. È colpa della scuola?
Sì, è colpa della scuola, se si considera, ad esempio, che, a fronte di quei dati, la percentuale dei promossi agli esami di Stato –che all’epoca di Giovanni Gentile era sul 60%- si approssima da decenni a questa parte al 100% (99,5% lo scorso anno).
La scuola –lo dico, con amarezza, da insegnante- è ormai solo una gigantesca macchina burocratico-amministrativa, una macchina celibe (Duchamp) che consuma più di quello che produce. Ma questo non per il mancato aggiornamento dei programmi, né, entro certi limiti, per la scarsa qualità degli insegnanti (che comunque si va abbassando).
La scuola pubblica è stata abbandonata dallo Stato, perché la scuola, il suo ruolo educativo (lo ribadiva il Prof. della Loggia nella conferenza dello scorso 19 aprile) non interessa più a nessuno. “La nuova scuola deve preparare soprattutto consumatori” (Lucio Russo, Segmenti e bastoncini, Feltrinelli, Milano, 1998): è una verità scomoda, ma è così.
Su questi temi la mia associazione (Porta Nuova), insieme ad Italia Nostra, ha per l’appunto organizzato nello scorso mese di aprile una serie di conferenze. L’ultima, giovedì prossimo 4 maggio, Agenzia per la promozione culturale, via Michetti 63, ore 17: parlerà il Vescovo, Mons. Bruno Forte.