“Non produciamo degrado, non produciamo delinquenza, né qui dentro si smistano droghe. Produciamo divertimento nel rispetto della legge. Qui vengono ragazzi da tutto il territorio per divertirsi in un contesto pulito“.
A parlare è Rosanna Di Nardo, titolare del bar La Sfinge di San Salvo nei confronti del quale è stata promossa una raccolta firme inviata alle istituzioni [LEGGI].
Tra i punti di riferimento del territorio, il locale ha anche accorciato l’orario dell’unico aperidisco, la domenica: “Il dj spegne la musica all’1.30. Cosa dobbiamo fare di più? A cosa si vuole arrivare, a farci chiudere? Non siamo una sartoria, questo è il nostro lavoro. Quando finiamo esco fuori a raccogliere cannucce e bicchieri per evitare situazioni di degrado. Forse siamo l’unico locale della zona ad avere alle pareti i cartelli per invitare i clienti a evitare schiamazzi e rumori esterni. Più di questo cosa possiamo fare? Non possiamo mettere le museruole”.
La storia è di quelle già sentite, soprattutto alla marina nel periodo estivo, dove chi vuol dormire cerca di ridurre al minimo i disturbi musicali. Nella parte turistica della città si è arrivati addirittua a Tar e Consiglio di Stato [LEGGI].
“Qui – continua l’imprenditrice – parliamo di cattiverie gratuite. All’1.30 spegniamo la musica, fino alle 3 restiamo a pulire il locale e alle 6 sono nuovamente sul posto di lavoro. Forse dall’esterno sembra facile portare avanti un’attività simile, di questi tempi, non è un gioco da ragazzi. Un altro controsenso: evitiamo a tanti giovani sansalvesi di prendere l’auto per andare in città vicine, ma neanche questo va bene”.
“Questa petizione – conclude – l’ho vissuta come un’umiliazione perché lavoriamo seriamente e onestamente e non vogliamo fare niente che non ci tocchi per legge. Quanto accade una volta che chiudiamo non ci compete. Oltre a invitare chi esce al silenzio dovrò probabilmente rafforzare i controlli fuori, ma di più cosa possiamo fare? Capiamo la problematica di chi deve alzarsi presto per andare a lavorare. Penso ci sia troppo egoismo, perché non si pensa a chi lavora con un’attività simile. Diamo impiego a tanti giovani e famiglie, se ognuno di loro avesse un genitore o familiare residente in questa zona oggi non staremmo a parlare di petizioni. Ci vorrebbe un po’ di tolleranza in più“.