Originaria di Vasto, 46 anni, felicemente sposata con un medico anestesista, due figli di 18 e 16 anni, la vita di Elisa Russo a Roma trascorreva serenamente tra famiglia e soddisfazioni professionali: Elisa è odontoiatra, abituata ai ragazzi della Roma bene, quelli coi vestiti firmati, cellulare di ultima generazione e genitori che non si fanno certo spaventare dalla fattura di un apparecchio odontoiatrico.
“Ad un certo punto, però, – racconta Elisa a Zonalocale.it – la mia vita ha subìto uno scossone importante e tutte quelle che erano certezze hanno cominciato a disgregarsi come cenere: sentivo che nella mia vita mancava qualcosa di importante. Forse farà sorridere, ma mi sentivo chiamata a qualcosa di diverso, che mi completasse come donna e come professionista. Analizzando la mia vita, mi sono accorta di aver avuto tanto e di aver dato poco, o almeno non tutto quello che avrei potuto fare”.
Da questo bisogno di “dividere” la propria fortuna, l’incontro con il Centro Odontoiatrico Vincenziano di Roma, una struttura religiosa di solidarietà in cui vengono curati gratuitamente tutti coloro che non possono permettersi di andare dal dentista: “Mancava proprio la figura dell’ortodontista e io mi sono proposta!”.
“Già da subito mi sono accorta che non sarebbe stata un’esperienza lavorativa come tutte le altre, ed infatti è così. In realtà ho sempre fatto quello che facevo negli altri studi, apparecchi mobili e fissi, ma l’entusiasmo negli occhi di quei bambini e la riconoscenza in quelli dei loro genitori è qualcosa di indescrivibile“. Naturalmente nulla è semplice nel mondo del volontariato e l’impegno dei singoli non sempre basta. Nel momento delle difficoltà, però, anche la provvidenza ha un suo ruolo: “Quando tutto sembra remare contro di noi, ecco che la ditta di forniture ortodontiche mi invia scatoloni di materiale gratuitamente, oppure un privato ci fa una donazione consistente. I miracoli esistono e ne è la dimostrazione che ora ho accanto a me due colleghe che mi affiancano e che ci hanno permesso di riaprire liste di attesa ferme da mesi, perché la richiesta è tantissima”.
Tanto impegno, quindi, difficoltà da superare, ma il “premio” ripaga: “Loro mi hanno dato molto più di quello che io ho dato loro, questa è la frase che mi sentivo ripetere da ogni volontario e che ho fatto mia sin da subito. Dopo sette anni ho curato centinaia di pazienti, ognuno con la sua storia: c’è il bambino della casa famiglia che ti arriva con la suora, i bambini sudamericani carichi di allegria e di fratelli e sorelle, il bambino di Roma i cui genitori hanno perso il lavoro, la piccola nomade arrivata in condizioni disastrose e fiera del suo nuovo sorriso, perché un bel sorriso non può essere un lusso“.