Chi scrive in questo spazio editoriale sa di non essere un bravo autore di articoli.
Lo scopo – che spero giustifichi le carenze – è cercare di porre l’attenzione su temi che interessino il nostro territorio stimolando, per quanto possibile, il “buon cambiamento”.
E se parliamo di benessere delle persone, di economia e d’impresa, il “buon cambiamento” trova una sua ideale declinazione nella parola “innovazione”.
Ma tutti oggi parlano di innovazione! Mentre conservare è certamente più comodo…
Sul vocabolario Treccani alla parola “Innovazione” si può trovare “ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica“.
Si tratta della possibilità – in fondo – di cambiare qualcosa, migliorandola.
Mettendosi nei panni di chi opera o guida un’impresa, verrebbe da chiedersi perché, dall’avvento della globalizzazione, continuino a proporcela in tutte le salse, indipendentemente dal settore in cui opera la nostra impresa. L’innovazione è solo un’opportunità? Possiamo scegliere di “innovare” come anche di “conservare”? Certo, e direi per fortuna, ogni impresa è artefice del proprio futuro.
Alcuni dati tuttavia sembrano indicare piuttosto chiaramente la via più lungimirante.
Un’innovazione può riguardare il sistema qualità di un’impresa, l’ideazione di un nuovo prodotto o servizio, il sistema di smaltimento dei rifiuti e mille altre possibilità.
Prendiamo ad esempio l’uso delle tecnologie digitali (es.: i servizi in cloud, il web e l’e-commerce, il sistema gestionale, l’automazione dei processi industriali come suggerito dalla rivoluzione denominata industria 4.0); in Italia l’economia digitale contribuisce per il 18% del Prodotto interno lordo, contro il 33% degli Stati Uniti, il 31% del Regno Unito (fonte: Digital Disruption: the Growth Multiplier di Accenture).
Viene da domandarsi che Italia sarebbe se negli ultimi dieci anni avessimo avuto 2 punti di PIL annuo in più!
Dunque l’innovazione digitale rappresenta per noi italiani una leva di crescita non ancora pienamente sfruttata.
Ora torniamo ad un senso più ampio di innovazione, immaginandoci non solo quella digitale. Sembrerebbe facile per chi guida un’impresa: occorre investire e innovare.
Ma i dati sopra citati dicono che avviene ancora di rado, e i motivi almeno per chi scrive sono diversi e comprensibili.
Immedesimandosi nell’imprenditore che vuole innovare, si potrebbero individuare almeno quattro fattori con cui dover fare i conti: gli aspetti organizzativi, le risorse economiche necessarie, le istituzioni e le associazioni di categoria con cui siamo direttamente o meno legati.
Aspetti organizzativi
Per correre occorre essere allenati, altrimenti l’infortunio è dietro l’ultima curva. La scelta del fornitore ad esempio, dopo aver compreso a fondo cosa sta offrendo all’impresa (senza fermarsi alla comparazione dei prezzi), disporre delle risorse umane per seguire e controllare il progetto di innovazione e soprattutto per gestire l’innovazione affinché produca vantaggio. Si tratta di aspetti organizzativi, non sono scontati e non sono sempre presenti nelle nostre aziende.
Risorse economiche necessarie
Senza le condizioni economiche (oltre il coraggio di chi “imprende” e un minimo di congiuntura favorevole) per effettuare degli investimenti, occorre prevederli. Essi produrranno effetti reali e sostanziosi soltanto se previsti per tempo. Occorre includere la voce innovazione nei budget annuali.
Istituzioni
Dalle istituzioni non si può a mio avviso chiedere tanto di più che infrastrutture (abbattimento del digital divide ad esempio), semplificazione burocratica e soprattutto il combattimento – senza quartiere – della corruzione, un drammatico anestetico per le imprese che innovano e per l’economia di interi mercati.
Associazioni di categoria
Alle associazioni di categoria si può chiedere molto, ed alcune fanno già molto.
Ne facciamo parte finanziandole e dunque ci si aspetta un servizio, che poi è sempre scritto nel loro statuto, dovrebbero sempre lavorare con orientamento ai risultati (non loro ma degli associati), evitando la mera visibilità e soprattutto alimentando quell’incubatore culturale, formativo e informativo che evita la solitudine dell’imprenditore e lo incoraggia ad innovare. Spesso significa concorrere alla sua sopravvivenza!
Rispetto a questi fattori, colti da un leggero brivido sulla schiena, verrebbe da pensare al percorso accidentato che incontra una “startup innovativa” che nasce a Vasto, San Salvo o a Lanciano e non nella dorata Silicon Valley. Ma di questo, se Dio vuole, ne parleremo nelle prossime puntate.