Che cos’è il dolore? Si può guarire dal dolore? Come sopravvivere al dolore? È difficile trovare una risposta a queste domande, forse impossibile, soprattutto quando il dolore finisce per travolgerci come la valanga che si è portata via l’Hotel Rigopiano con il suo carico di vite umane.
È soprattutto il dolore dell’anima a cambiare la vita delle persone, a far crollare ogni certezza, a scaraventarci in una stanza buia, senza finestre, dove la luce non entra.
“Quando una disgrazia è accaduta e non si può mutare – diceva il filosofo Arthur Schopenhauer – non si dovrebbe permettere neanche il pensiero che le cose potevano andare diversamente o addirittura essere evitate: esso, infatti, aumenta il dolore fino a renderlo intollerabile”.
Già… facile a dirsi! Ma chi lo ferma il pensiero? Il pensiero corre e la mente ne resta prigioniera. E poi finisce che il dolore ci rende egoisti, perché ci assorbe completamente.
Il dolore resta un assurdo, perché è contrario ad ogni principio di ragionevole comprensione. Il dolore dell’anima, poi, è più grande della sofferenza del corpo.
Le tristi vicende che ultimamente hanno sconvolto Vasto una cosa, però, ce l’hanno insegnata: il dolore non si allevia alimentando altro dolore, non si cura sui social network, suscitando risentimenti e consensi, né con le chiacchiere di paese. Il dolore esige silenzio, rispetto, compassione (nel significato latino del termine: “cum patior”, cioè “soffro con”, “soffro insieme”), preghiera e perdono.
Tutti, senza distinzione alcuna, abbiamo bisogno di riscoprire soprattutto il perdono, che non cambia di certo il passato, ma dà un senso al futuro. Se è vero che non c’è pace senza giustizia, è vero anche che non c’è giustizia senza perdono.