“Non vi era nessun segnale che potesse far presagire un gesto del genere”. Giampiero Di Florio, procuratore di Vasto, chiarisce perché non era stato revocato il porto d’armi a Fabio Di Lello, l’ex calciatore 34enne che mercoledì ha ucciso con tre colpi di pistola Italo D’Elisa, il ragazzo di 21 anni al volante dell’auto che, il primo luglio 2016, si è scontrata con lo scooter di Roberta Smargiassi, travolta, sbalzata contro il palo di un semaforo e morta poco dopo il trasporto in ospedale.
Intervenendo al programma L’Arena, su Rai1, Di Florio ha anche chiarito perché, pur in presenza di un omicidio stradale, Italo D’Elisa non era stato arrestato: “La velocità non era eccessiva, 62 chilometri orari, e il giovane non aveva assunto stupefacenti, né sostanze alcoliche, era incensurato e si era fermato a prestare, per quanto gli fosse possibile, i primi soccorsi. A tutto si poteva pensare, tranne che all’arresto facoltativo in flagranza. Diciamo la verità: se fosse stato arrestato, il ragazzo sarebbe uscito due giorni dopo” per via della mancanza dei presupposti giuridici per a. “I magistrati – ha aggiunto il capo della Procura di via Bachelet – devono applicare le leggi, in questo caso le norme del codice di procedura penale”.
Sulla mancata revoca del porto d’armi, Di Florio ha affermato che “non vi era nessun segnale che potesse far presagire un gesto del genere” e che, quando la pistola è stata comprata, a settembre, “tutti gli adempimenti amministrativi erano stati compiuti”.
In un’intervista rilasciata ai quotidiani La Repubblica e Corriere della Sera, Michelina e Roberto Di Lello, i genitori di Fabio, hanno dichiarato di non sapere che il loro figlio avesse la semiautomatica calibro 9 con cui ha fatto fuoco contro D’Elisa e che il 34enne aveva da dieci anni il porto d’armi per uso sportivo. La madre ha anche rivelato di aver chiesto di farlo ricoverare, visto che, a distanza di 7 mesi, non si era ancora ripreso dallo shock della perdita di Roberta: “Due giorni prima dell’omicidio sono andata dallo specialista, uno dei tre da cui Fabio era in cura. Gli ho detto: mio figlio sta male, sta davvero molto male, ricoveratelo. Lo specialista ha risposto che non era possibile, se non era lui a chiederlo”. A dicembre, Fabio aveva donato ai genitori una palazzina, che “aveva tre appartamenti – ha spiegato Michelina – e lui doveva occuparsi di questioni amministrative e gestione degli affitti, ma non era preparato e non voleva fare più nulla, ci faceva disperare”.
Su quello che l’avvocato di D’Elisa, Pompeo Del Re, ha definito “clima d’odio” creato in città da una serie di commenti pubblicati su Facebook, Di Florio ha risposto che “nessuna notizia di reato era giunta in merito a minacce”. Intanto, è stato modificato il nome del gruppo Facebook che, fino a ieri, s’intitolava “Giustizia per Roberta”: ora è “In memoria di Roberta”.