La mia generazione e quella successiva, almeno fino ad oggi, non hanno vissuto guerre. Come fossero film, seguiamo, spesso distrattamente, le sorti di popolazioni meno fortunate delle nostre ed avvertiamo le loro tristi vicende come appartenessero a quelle di un altro mondo; immagini televisive che compaiono tra un reality show e la pubblicità di un buon profumo. Le tensioni internazionali della nostra quotidianità, si consumano, tutt’al più, nei conflitti che l’economia capitalista combatte con gli strumenti propri dei mercati monetari e finanziari. Non avendole vissute, avvertiamo le guerre mondiali di un tempo come fossero capitoli di una storia che neanche ci appartiene, eppure i segni li portiamo e li porteremo per sempre ed anzi, da essi, potremmo derivarne anche molti insegnamenti.
Solo 100 anni fa, si combatteva la prima guerra mondiale: baionette nei corpi e sangue tra le zolle. Anche allora esisteva il Natale. Delle sanguinose circostanze di quella prima guerra tra Stati, resta una vicenda ad immortalare la sensibilità d’animo di quegli uomini soldato. Permane infatti, nella storia del 1914, il ricordo della “Tregua di Natale”, un “cessate il fuoco” mai ordinato da nessun governo né da ufficiale superiore. Le truppe tedesche ed inglesi, opposte sui fronti di trincea, ognuno nella propria lingua, si scambiarono messaggi augurali e canti della tradizione natalizia. La notte di Natale, circa centomila militari, schierati per contrasto, s’incontrarono nella “terra di nessuno” o, addirittura, attraversarono spontaneamente le linee per scambiare, col nemico, cibo, tabacco, bottoni della divisa ed alcolici. Ci furono cerimonie religiose e momenti comuni di svago. I governi e gli alti comandi non giustificarono questi fatti e li censurarono, richiamando le truppe ai loro doveri militari.
Tra le testimonianze, quella del capitano Sir Edward Hulse Bart, il quale narra di canzoni che unirono Inglesi, Scozzesi, Irlandesi, Prussiani ed altri: “Una cosa assolutamente incredibile e se l’avessi vista in una pellicola cinematografica avrei giurato che fosse una messa in scena”. Il tenente tedesco Johannes Niemann scrisse: “Afferrato il binocolo e scrutato con cautela oltre il parapetto, ebbi la vista incredibile dei nostri soldati che scambiavano sigarette, grappa e cioccolato con il nemico”. Di questi eventi il primo a scriverne racconti fu il The New York Times, a seguire i giornali britannici, con dettagliati resoconti, desunti dalle lettere inviate alle famiglie, e poi anche fotografie.
Nel Natale del 1915, la cosa si ripetette. Richard Schirrmann, insegnante tedesco all’epoca in servizio presso un reggimento, in un resoconto, descrisse questo episodio: “Quando le canzoni di Natale risuonarono nei villaggi dei Vosgi dietro le linee, qualcosa di fantasticamente poco militare accadde. Soldati tedeschi e francesi fecero spontaneamente pace e cessarono le ostilità; si visitarono gli uni con gli altri attraverso dei tunnel in disuso e scambiarono vino, cognac e sigarette con pane nero, biscotti e prosciutto. Questo fatto si svolse così bene che rimasero buoni amici anche dopo che il Natale ebbe termine”. Anche nel Natale del 1916 ci furono simili episodi. Una lettera del soldato Ronald Mac Kinnon racconta di una tregua tra tedeschi e canadesi con scambi di canzoni e piccoli baratti tra soldati dei diversi schieramenti.
Nel 1999, l’Associazione per il Ricordo Militare, nelle Fiandre, ricreò la “Tregua di Natale” e sono più i libri, le opere teatrali, i filmati e le canzoni che, fino ai nostri giorni, raccontano e traggono ispirazione da quei fatti.
Fu una guerra combattuta in Europa, con l’intervento della Russia imperiale e dell’America. Un Europa cristiana, con popoli che, ancorché avversari in guerra, riuscirono a trovare, in una fede comune, momenti di comunione e condivisione. Sentimenti diffusi, vicendevolmente riconoscibili, non scritti in alcun trattato. L’Europa di popoli in guerra tra loro, i quali, persino disobbedendo agli ordini dei comandi militari, si riconobbero in un’appartenenza comune e antica, l’appartenenza ad una tradizione e ad una civiltà.
Oggi, 2016, proviamo a raccontare questo piccolo esempio di civiltà europea ai seguaci dello Jihadismo, agli interpreti del fondamentalismo islamico, ai mujaheddin dell’Islam ed ai guerriglieri dell’ISIS… Magari, nel farlo, potremmo trovare anche noi, Italiani ed Europei della generazione che non ha vissuto guerre e che mai le vorrebbe vivere, risposte ai tanti perché da cui siamo assillati nel nostro tempo.