Per quasi 20 anni nella stanza dei bottoni di grandi multinazionali, a capo di un’azienda – la Exagogica – che in tre anni ha triplicato dipendenti e fatturato, quello di Alessandro Obino, 42 anni, appare come il profilo di un vero e proprio leader. Un leader però atipico che rifugge gli stereotipi e lancia la sua più dura critica proprio al “culto del leaderismo” che ha caratterizzato almeno gli ultimi 20 anni della scena politico-economica dell’Italia. È quanto emerso dalla tavola rotonda che si è tenuta in occasione della presentazione del libro In questo mondo di leader (Castelvecchi Editore) presso la Libreria Mondadori di Vasto, animata da un vivace confronto con Massimo Desiati, anche a colpi di dialetto vastese.
Dal materialismo storico a Gabriele Rossetti, dal progetto e sviluppo di sistemi informativi alla Controriforma, dai modelli aziendali al darwinismo, tanti gli spunti di riflessione emersi nel brillante confronto tra Desiati e Obino, nel tratteggiare gli aspetti più significativi di un libro che – come spiegato per l’occasione dallo stesso autore – racconta la storia romanzata della Exagogica, una piccola start-up che in pochi anni è diventata una solida realtà, tanto da assurgere a modello aziendale rivoluzionario, grazie all’approccio critico al leaderismo, che pervade tutta la struttura del libro: “Dalla politica all’economia, al sociale, il bisogno di un leader con il culto di sé dietro il quale nascondersi ha fatto moti danni. Mentre andavamo dietro alla personalizzazione della politica, dell’economia e dell’intera società, l’Italia rimaneva ferma. Paradossalmente si è trattato di un processo che non è stato imposto, ma cercato. In molte aziende i dipendenti vogliono qualcuno che dica cosa fare, per non avere responsabilità. E lo stesso accade in politica e nella vita di tutti i giorni”.
L’approccio diametralmente opposto, adottato da Alessandro Obino nella sua azienda, è quello che ricorda “la bottega artigiana, un luogo magari patronale, familistico, ma in cui ognuno è portato a sviluppare al meglio le proprie potenzialità, perché crede nell’obiettivo comune”. Quindi le rigide gerarchie perdono la connotazione classica verticale, per allargarsi in un confronto orizzontale, in cui “ognuno può e deve alzare la mano quando si accorge che qualcun altro sta per sbagliare, senza cercare di nascondersi dietro ordini superiori e gerarchie”.
Inevitabile, poi, il riferimento alla geografia in cui questa filosofia gestionale basata sulla critica al leaderismo si è felicemente sviluppata: “Spesso si pensa che nelle grandi città ci siano migliori possibilità, ma a Vasto ho trovato un ambiente favorevole, più che nel nord Italia. A funzionare è la dimensione più piccola, che permette di sentirsi più partecipi di un progetto, di creare integrazione con i fornitori e di migliorare i rapporti di lavoro”. Insomma, a Vasto resiste la dimensione della “bottega artigiana” che favorisce percorsi e obiettivi condivisi all’interno dell’azienda e tra di esse.
Contro “il modello attuale, funzionale a una società passiva”, ferma dietro la figura del leader, Obino quindi propone il modello partecipativo antileaderista che “dal basso” sviluppi una società vincente, dove tutti concorrono coscientemente e responsabilmente al bene comune. Dopo il fallimento delle ideologie, della politica, degli intellettuali e delle élite, una nuova rivoluzione culturale potrà forse iniziare dal management aziendale?