“Negli ultimi tempi, a causa dei recenti sismi, si parla molto di strutture scolastiche e poco di didattica. La mia attività di assessore è iniziata con l’inaugurazione de La casa dei bambini e da lì ho iniziato ad approfondire il metodo Montessori. Sono rimasta colpita dalla profondità della grande anima di Maria Montessori, il cui metodo è solo la punta di un iceberg. Come amministrazione comunale, per quanto possibile, solleciteremo percorsi di questo tipo anche all’interno delle scuole pubbliche, ma occorre il supporto dei dirigenti, dei docenti e di tutto il personale”. Così l’assessore Anna Bosco, introducendo i lavori del convegno dal tema Metodo Montessori – Una filosofia di vita e non solo – Montessori incontra Alzheimer che si è svolto ieri pomeriggio presso la Sala degli ex Palazzi scolastici, ed è stato animato dalle relazioni della dottoressa Filomena Lucci, responsabile regionale della fondazione Montessori Italia e coordinatrice de La casa dei bambini, e del dottor Andrea Lupi, segretario generale della stessa fondazione.
“Il mondo non può essere estromesso dalla scuola“, questo il principio base illustrato dal dottor Lupi illustrando le peculiarità del metodo Montessori che rivoluziona l’approccio ex cathedra per tornare a quello “naturale” dell’apprendimento che “si basa sull’utilizzo delle mani e della memoria non linguistica“: “Nei primi sei anni di vita – ha spiegato infatti il dottor Lupi – i bambini apprendono più facendo che ascoltando. Occorre portare il mondo dentro la scuola, perché l’apprendimento tradizionale legato alla lezione di un docente che parla e degli alunni fermi ad ascoltare si rivela meno solido e meno duraturo”. Insomma, nel metodo Montessori, l’apprendimento è legato alla “scoperta del mondo” e delle sue leggi, una scoperta che non avviene per racconto di un docente, ma attraverso l’esperienza diretta.
Il merito di Maria Montessori, quindi, quello di aver intuito l’importanza di una sorta di ritorno alle regole della natura, “grazie al suo essere psichiatra e femminista”. Come spiegato dal dottor Lupi, infatti, l’intuizione della Montessori è nata grazie al lavoro effettuato con bambini sordi o con problemi cognitivi, attraverso lo sviluppo di “materiali sensoriali per apprendere senza che un adulto spiegasse a voce” già sperimentati in Francia. Una sorta di “apprendimento attivo e non passivo” che se da un lato aiutava i bambini con deficit cognitivi, applicato a tutti portava a un apprendimento più solido e duraturo rispetto ai metodi classici. Allo stesso modo, l’essere “femminista” di Maria Montessori ha portato la stessa ad introdurre attività allora considerate “da donne” e ben poco “educative”, come i lavori domestici, che hanno agevolato l’approccio “esperienziale”.
Un approccio che, grazie a studi effettuati dal 2004 in Usa, ha fatto rilevare risultati positivi anche per quanto riguarda la gestione di problemi senili come la demenza e l’Alzheimer: “La sperimentazione, iniziata in America ma che ha presto interessato il resto del mondo, ha dimostrato che il metodo Montessori è valido anche in questi casi, con miglioramenti dell’umore, dell’autonomia e per il contrasto a forme di depressione che si sviluppano con queste malattie. Si tratta di miglioramenti misurabili, sia nei pazienti che nei famigliari e negli operatori”. Nel nostro Paese, la fondazione Montessori Italia ha sperimentato il metodo sui malati di Alzheimer o affetti da demenza senile in contesto ambulatoriale e residenziale: “Benefici sono stati riscontrati in entrambi i contesti”.
Al termine delle relazioni, l’incontro è proseguito con il confronto con i tanti docenti ed educatori presenti in sala.