Dopo ogni disastro “naturale”, si rincorre la soluzione in nome dell’emergenza. Nell’immediatezza ed al cospetto della devastazione, l’unica soluzione adottabile è quella della ricostruzione di ciò che la sciagura ha portato via per sempre.
C’è comunque consapevolezza che le soluzioni possano essere altre ed infatti, subito l’impegno per la ricostruzione, i tecnici del territorio e delle costruzioni, oltre agli esponenti della politica, si affrettano a dichiarare e ribadire che, per evitare, il più possibile, conseguenze nefaste, occorre intervenire con attività di prevenzione: minor consumo del suolo, difesa del territorio, del paesaggio, consolidamento degli abitati, tecniche di costruzione antisismiche, studio dei carichi, dei materiali, delle forme e di quanto altro possa proporzionare e rendere equilibrata una modifica della fisicità degli spazi da vivere.
Gli interventi dell’uomo nell’ambiente naturale permettono lo svolgersi di attività abitative, di lavoro, di socializzazione. Le urbanizzazioni, insomma, rappresentano il complesso di strutture ed infrastrutture fisiche indispensabili alla nostra vita. Nasce così la necessità di pianificare e regolare la possibilità di tali interventi con una legislazione che governi le varie ipotesi operative. Tale consapevolezza ed una crescente sensibilità ambientale hanno impresso, nel tempo, una costante evoluzione legislativa e, spesso, il moltiplicarsi di norme che ha persino determinato incertezza e numerosissimi contenziosi.
Molti gli strumenti utilizzati dagli enti locali, dalle Regioni e dallo Stato per stabilire regole certe a cui attenersi ma, nonostante questo, sullo sfondo resta sempre, come fosse panacea… chimerica, l’attesa di una riforma urbanistica complessiva.
In ogni caso, non può certo sfuggire ad una qualunque ipotesi normativa, di qualsivoglia livello di governo del territorio, la necessità di assoggettare a conformare le scelte di pianificazione a sistemi e criteri di prevenzione che garantiscano, il più possibile, l’integrità del territorio, la tenuta delle costruzioni e l’incolumità delle persone.
Tali consapevolezze appartengono in modo sempre più rilevante ai progettisti ed ai tecnici del territorio e delle costruzioni, molto più lento appare essere, invece, il formarsi di tale coscienza tra gli interpreti della politica. Nel mio ragionamento non prendo in considerazione i comportamenti speculativi di costruttori senza scrupoli, questi appartengono a fattispecie criminali e il ragionamento è un altro.
E’ raro che gli artefici della politica vadano al di là delle dichiarazioni d’intenti, tra l’altro sempre espresse nell’immediatezza di disastri “naturali”. Le affermazioni in tal senso denotano, quantomeno, la conoscenza dell’esistenza di soluzioni che non siano soltanto quelle, post sciagura, della “ricostruzione”. Purtroppo, però, reali interventi di prevenzione sul territorio che vadano oltre le norme di costruzione antisismiche o le spesso aggirate previsioni contenute nei Piani paesaggistici o regolatori, ce ne sono pochi.
Perché?
Il motivo è elettorale: sono soluzioni che generano una riconoscenza poco funzionale all’acquisizione del consenso. Perché le opere di consolidamento degli abitati e di difesa del territorio sono spesso invisibili, perché per la loro ideazione, progettazione, realizzazione e collaudo occorre molto più tempo di quello stabilito per la fine di una legislatura o consiliatura; perché è più conveniente concedere che vietare, perché, tra la popolazione, è più difficile “capitalizzare” gli interventi per l’ “insieme” rispetto a quelli a beneficio dei singoli o per una categoria di persone; perché, in tempi di ristrettezze finanziarie (ma anche in quelli normali, ammesso ve ne siano), è meglio spendere le risorse operando scelte che assicurino l’immediata, opportuna e necessaria gratitudine rispetto agli investimenti per la tutela del territorio, un bene che sempre più viene considerato cosa di nessuno e non di tutti.
E’ così che si barattano vite per voti.
Massimo Desiati