In nome del popolo italiano, si assolve: Ignazio Marino, ex Sindaco di Roma; Roberto Cota, ex Governatore del Piemonte; Vincenzo De Luca, Governatore Campania, con la formula piena “il fatto non sussiste”. Forse è solo la contemporaneità delle sentenze a dare rilevanza alla notizia e nel frattempo… la gogna e non solo.
Il rilievo non è soltanto contrappunto al cosiddetto “garantismo”, sostantivo che indica la rigorosa osservanza delle garanzie giuridiche a tutela di chi è sottoposto ad azione penale ma all’uso che di un “Avviso di garanzia” o di un “Processo” se ne fa per suggestionare, creare il sensazionale o per screditare l’avversario politico, interno o esterno, senza, per questo, rischiare la calunnia.
E’ indubbio che la classe politica abbia nel suo seno persone corrotte o approfittatrici del ruolo, al di là delle prerogative, e spesso è la gestione del potere che induce alla corruzione anche chi dovesse partire con buoni propositi. Occorre, inoltre, considerare che c’è pure chi, semplice cittadino o impresa, ambisce a godere gli effetti della gestione del potere: se c’è un politico corrotto, c’è anche un corruttore. Oggi la considerazione popolare nei confronti di chi esercita attività politica è ai minimi termini e la dignità di chi la svolge può essere recuperata soltanto con l’esempio e con la propria tenuta morale; occorrerà tempo ma, mentre il tempo trascorre, c’è chi costruisce le proprie fortune elettorali sugli “inciampi” della Magistratura che, dopo aver prodotto effetti deleteri, dai risvolti personali e politici, non chiede scusa a nessuno.
Parlare di commistione tra Politica (potere legislativo ed esecutivo) e Magistratura (potere giudiziario) è forse esagerato ma certo, negli ultimi venti anni, non è infrequente il sorgere del dubbio che il confine che separa i poteri dello Stato, principio fondamentale dello stato di diritto, sia stato reso, nel tempo, più evanescente (sospetto peraltro sorretto dalla trasmigrazione, a cui a volte si assiste, da un ambito all’altro). Esempi di magistrati candidati alle elezioni, dopo aver svolto ben altro e separato servizio istituzionale, ve ne sono. Può un magistrato svolgere la propria attività, con l’equilibrio d’obbligo, se matura nel tempo il desiderio di impegnarsi in politica con una qualsivoglia “parte”? Magari non sarà il “sistema giudiziario” a far uso politico della propria attività ma, al contempo, è impossibile che l’uomo magistrato non abbia propri convincimenti politici. Far politica è una scelta di vita, così come fare il magistrato. Per chi incarna due diversi poteri dello Stato, tale separazione dovrebbe essere perpetua ma questo non è possibile: l’elettorato passivo è un diritto.
Non dimentichiamo, poi, che il magistrato è un dipendente dello Stato, certo di alto rango, ma lo resta anche se agisce “In nome del Popolo italiano”. Chi svolge attività politica non è dipendente dello Stato e può essere licenziato dall’elettorato, è questo il sale del sistema elettorale democratico. Si è mai sentito parlare del licenziamento di un magistrato per gli errori commessi? Eppure di danni può procurarne, al pari di un libero professionista a cui, invece, è ascrivibile la responsabilità professionale in caso di errore che produca danni a terzi.
Oggi, di un “politico” è presunta la mala fede, ed i paladini della cosiddetta “antipolitica” (che poi, speculando, politica fanno!) su questo basano le proprie fortune. Oggi e sempre più, per il “politico” c’è un solo modo per non correre rischi: non fare nulla; aspettare magari il proprio appannaggio economico e curare l’elettorato con attività, anche se lecite, di basso profilo.
L’obiettivo è sì quello di far recuperare fiducia nelle Istituzioni ma i cittadini devono alimentare la stima di se stessi, non considerando, a volte ipocritamente, il “politico” come il proprio personale benefattore. Se è vero che, spesso, gli interpreti della politica non meritano nulla, se non le indagini della Magistratura, è ancor più vero che tanti cittadini elettori meriterebbero persino di perdere il diritto al voto, sancendo così il fallimento della Democrazia o di quel che ne resta, s’intende… sempre “In nome del popolo italiano”.
Massimo Desiati