“Una ventina di attentati in otto anni, in media uno ogni 4-5 mesi”, sottolinea Bruno Giangiacomo, presidente del Tribunale di Vasto riferendosi agli aspetti più inquietanti dell’attività della criminalità organizzata insediatasi nel Vastese e scoperta prima con l’operazione Adriatico e poi, nelle scorse settimane, con l’inchiesta denominata Isola felice.
Due indagini ad ampio respiro che testimoniano quanto affermato “il prodcuratore nazionale antimafia Franco Roberti, secondo cui nel Vastese a un clan della camorra capeggiato dai Cozzolino si è sostituito un clan della ‘ndrangheta”, attorno al quale è incentrata l’operazione Isola felice, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila.
L’attività degli inquirenti e il primo processo in Abruzzo imperniato sull’articolo 416 bis del codice penale (associazione di tipo mafioso) testimoniano, secondo il magistrato Fabrizio Pasquale, giudice a latere del processo Adriatico, “la facilità nell’attecchire” della criminalità organizzata prima campana e poi calabrese e nell’organizzare “una rete di legami molto fitta e ramificata” in Italia e all’estero.
La sentenza dell’operazione Adriatico – Nel tracciare il bilancio del processo Adriatico, Giangiacomo ha ricordato le 38 udienze e i 12 giorni di camera di consiglio necessari al Tribunale di collegiale di Vasto (composto dallo stesso Giangiacomo e dai giudici a latere Fabrizio Pasquale e Stefania Izzi), che testimoniano la “delocalizzazione di un gruppo organizzato criminale in un altro territorio”, quello del Vastese, meta di “gruppi che esportano attività criminale”. E sulle motivazioni della sentenza, la corte ha scelto la linea garantista, adottando “la stessa interpretazione che i giudici hanno dato nel processo Tramonto“, la precendente maxi inchiesta, risalente al 2012. Oltre alle 25 condanne, anche “una quarantina di assoluzioni, perché alle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia”, Lorenzo Cozzolino e Italia Belsole, “non si sono trovati elementi di riscontro individualizzante che confermassero le accuse”, spiega Pasquale, mentre “per coloro che hanno rilasciato dichiarazioni reticenti – precisa Giangiacomo – abbiamo mandato gli atti alla Procura affinché si proceda per falsa testimonianza”.