Respinto il ricorso del gruppo Pilkington sulla multa di 357 milioni di euro comminata nel 2008 dall’Unione Europea per violazione delle leggi antitrust. Il gruppo – presenta anche a San Salvo dove impiega oltre 2.400 dipendenti considerando gli stabilimenti di Primo e Bravo – è composto da Pilkington Automotive, Pilkington Automotive Deutschland, Pilkington Holding e Pilkington Italia.
Secondo la sentenza del 2008 della commissione europea, la fabbrica del vetro e altre aziende “avevano violato il diritto della concorrenza dell’Unione europea partecipando a un insieme di accordi e di pratiche concordate nell’ambito del vetro destinato al settore auto. L’intesa consisteva in una ripartizione della fornitura di vetri destinati al settore auto, volta a mantenere una globale stabilità delle posizioni delle parti sul mercato in questione”.
Il tribunale nel 2014 confermò la sentenza [LEGGI] e il colosso del vetro decise di impugnarla dinanzi alla Corte di Giustizia europea che oggi ha emesso la nuova sentenza confermando multa e ammontare della stessa. Come precisato già due anni fa dall’ad Graziano Marcovecchio, la condanna non avrà ripercussioni sul sito sansalvese.
LA SENTENZA – “Il gruppo Pilkington si compone segnatamente delle società Pilkington Automotive, Pilkington Automotive Deutschland, Pilkington Holding e Pilkington Italia. Insieme, esse formano uno dei più importanti produttori mondiali di vetro e di elementi in vetro, in particolare nel settore automobilistico. Con decisione del 12 novembre 2008, la Commissione ha constatato che varie imprese, tra cui la Pilkington, avevano violato il diritto della concorrenza dell’Unione europea partecipando a un insieme di accordi e di pratiche concordate nell’ambito del vetro destinato al settore auto. L’intesa consisteva in una ripartizione della fornitura di vetri destinati al settore auto, volta a mantenere una globale stabilità delle posizioni delle parti sul mercato in questione. In considerazione della sua partecipazione tra il 10 marzo 1998 e il 3 settembre 2002, la Commissione ha inizialmente inflitto alla Pilkington un’ammenda di EUR 370 milioni1 . Il 28 febbraio 2013, la Commissione ha ridotto l’ammenda a EUR 357 milioni, al fine di correggere due errori commessi nel calcolo iniziale. La Pilkington ha dunque chiesto al Tribunale dell’Unione europea di annullare la decisione e di ridurre in modo sostanziale l’importo dell’ammenda. Con sentenza del 17 dicembre 2014, il Tribunale ha respinto il ricorso della Pilkington nonché confermato la decisione della Commissione e l’importo dell’ammenda. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse correttamente calcolato l’ammenda, sebbene all’epoca si trattasse di una delle più ingenti mai inflitte a un partecipante a un’intesa. Insoddisfatta della sentenza del Tribunale, la Pilkington ha proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per chiederne l’annullamento. Nell’odierna sentenza, la Corte respinge l’impugnazione della Pilkington e conferma così la sentenza del Tribunale nonché l’ammenda inflitta dalla Commissione. Al pari del Tribunale, la Corte considera innanzitutto che la Commissione poteva tenere conto, ai fini del calcolo dell’ammenda, delle vendite realizzate durante il periodo d’infrazione in forza di contratti conclusi anteriormente a tale periodo. Infatti, il piano globale dell’intesa consisteva in una ripartizione dell’insieme delle consegne del vetro destinato al settore auto tra i partecipanti all’intesa, per quanto riguardava tanto i contratti di fornitura esistenti quanto i nuovi contratti. Ne discende che le vendite realizzate sulla base di contratti anteriori al periodo di infrazione e non rinegoziati nel corso di tale periodo dovevano essere considerate come rientranti nel campo di applicazione dell’intesa e di esse poteva essere tenuto conto per il calcolo dell’ammenda.
La Pilkington ha altresì rilevato che la Commissione non avrebbe dovuto utilizzare, per la conversione del suo fatturato espresso in sterline inglesi, il tasso di cambio applicabile nel corso dell’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione controversa, bensì quello applicabile alla data di adozione di tale decisione (12 novembre 2008). L’importo massimo che la Commissione avrebbe potuto infliggere alla Pilkington si sarebbe dunque limitato a EUR 317 547 860, vale a dire EUR 39 452 140 in meno rispetto all’ammenda infine irrogata. La Corte, come già il Tribunale, dichiara a tale riguardo che la scelta del legislatore dell’Unione di considerare il fatturato realizzato durante l’ultimo esercizio sociale chiuso prima dell’adozione della decisione come valore di riferimento che meglio può riflettere la capacità finanziaria dell’impresa alla data in cui essa è riconosciuta responsabile dell’infrazione giustifica altresì il fatto di prendere in considerazione il tasso di cambio applicabile durante detto periodo al fine di effettuare la conversione di tale valore di riferimento, laddove questo è espresso in una valuta diversa dall’euro. Infatti, un simile metodo tende a neutralizzare l’effetto di fluttuazioni monetarie sul livello del massimale legale dell’ammenda mentre un metodo di conversione basato su un tasso quotidiano di cambio presenta un carattere necessariamente aleatorio e incerto. Quanto all’argomento, secondo il quale l’ammenda inflitta alla Pilkington sarebbe proporzionalmente più onerosa rispetto a quella inflitta ad altri partecipanti all’intesa a causa del carattere meno diversificato della sua attività, la Corte considera che non è contrario ai principi di proporzionalità e di parità di trattamento che un’impresa, le cui attività si concentrano più di altre sulla vendita di beni o servizi direttamente o indirettamente connessi con l’infrazione, si veda imporre un’ammenda che rappresenta una proporzione del suo fatturato complessivo più elevata di quella inflitta alle altre imprese. Inoltre, la Commissione non può avvantaggiare le imprese meno diversificate, in base a criteri che non sono pertinenti rispetto alla gravità e alla durata dell’infrazione, cosicché essa non può compiere, applicando metodi di calcolo differenti, una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato a un accordo o a una pratica concordata contraria al diritto dell’Unione”.