Il “Ritorno a casa” di Enrico Bellano è un racconto che non lascia indifferenti. Le immagini dell’inviato di guerra della Rai condensano in meno di un’ora tanti avvenimenti degli ultimi anni di storia del mondo. Immagini, musica e i testi interpretati dall’attrice Giuliana Antenucci che hanno aggiunto emozione alla serata che si è svolta presso la sala multimediale del Comune di Cupello, introdotta dal presidente del consiglio comunale Valentina Fitti.
Dalle guerre in Iraq all’Afghanistan, dal terremoto in Umbria alla Libia. Bellano è stato testimone diretto e ha potuto raccontare, insieme ad altri colleghi, quanto accaduto, cercando sempre di avere un “punto di vista corretto e obiettivo”, così come ci ha poi spiegato al termine della proiezione.
Con il suo lavoro ha raccontato gli avvenimenti più importanti della storia negli ultimi anni. Cosa si prova?
È una grande fortuna poter essere testimone di fatti così importanti che hanno segnato la vita di tutti noi. Però credo sia importante accostarsi a queste cose, ai tanti fatti che si incontrano, alle tante vite che si attraversano con un minimo di umiltà per non essere noi “la notizia” ma dei testimoni. Dobbiamo sempre cercare il punto di vista diverso, l’essere nel posto giusto al momento giusto senza coprire con le proprie opinioni e la propria personalità quello che stiamo raccontando.
È questo forse l’aspetto più difficile che si incontra? Le cronache riportano di situazioni artefatte pur di avere la notizia.
Quello purtroppo è uno dei limiti della forza della comunicazione. Ecco perchè conta molto l’onestà dei singoli. Il punto di vista che si sceglie per raccontare un fatto lo può trasformare, lo può completamente capovolgere e dargli significati diversi. Ci vuole un’onesta di fondo e, lo ripeto, saper guardare senza aggiungere le proprie lenti a quello che si vede.
Come si è sviluppato il suo percorso professionale?
Ho avuto sin da piccolo un’illuminazione. A Roma c’è una scuola di cinema e ho deciso di frequentarla. Mi sono diplomato, poi sono entrato in Rai attraverso il concorso e sono potuto crescere come cameraman. Sono stato al Tg1 per 15 anni come inviato, sono diventato giornalista e ho potuto specializzarmi e crescere come inviato di guerra.
Quanto è di aiuto l’essere giornalista, l’avere una certa conoscenza su ciò che si deve raccontare, al momento di realizzare delle immagini?
È importante non arrivare impreparati ad un evento ma studiare, leggere, conoscere, per poter poi raccontare. Se non si conosce non si può essere testimoni. Si rischia di non capire, di prendere parte di volta in volta per l’una o per l’altra fazione, di far vincere l’aspetto del dolore, far vincere la retorica nel raccontare le cose.
C’è un’immagine, tra tutte quelle che ha realizzato, che le sta particolarmente a cuore?
Pur essendo un uomo di immagini ciò che mi stanno più a cuore sono i suoni. Per esempio, durante i bombardamenti a Baghdad nel 2003, la cosa che colpiva è che durante queste azioni militari nelle moschee si pregava, c’erano queste preghiere che si levavano verso il cielo e si legavano con i bombardamenti. È un’immagine musicale più che visiva.