Si celebra oggi la Giornata Mondiale della Salute e della Sicurezza sul lavoro. Un appuntamento pensato dalla fondazione Lhs per diffondere una maggiore consapevolezza dei fattori che minacciano salute e sicurezza, non solo sui luoghi di lavoro ma anche in casa, per strada, a scuola per promuovere l’adozione di comportamenti più sicuri, in grado di ridurre quelle 1000 morti all’anno dovute a incidenti sul lavoro riconducibili perlopiù a comportamenti errati. A partite da oggi e per il prossimo mese anche a Vasto e nel resto del territorio verranno promosse una serie di attività legate a questo tema con il coordinamento di Teamservice e del suo amministratore Pietro Aquilano.
In questa giornata abbiamo voluto intervistare l’avvocato abruzzese Lorenzo Fantini, specializzato in diritto del lavoro, sindacale e della salute e sicurezza sul lavoro. Autore di oltre 100 pubblicazioni, è stato dirigente delle divisioni competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Presidente del Casellario Centrale Infortuni INAIL e rappresentante del Ministero del lavoro presso organismi nazionali ed internazionali tra il 2003 e il 2013. Oggi è Direttore dei Quaderni della Sicurezza dell’Associazione italiana formatori per la sicurezza (AiFOS) e svolge attività di consulenza in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali per aziende pubbliche e private.
Come valuta la realtà italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro?
L’Italia dispone di una regolamentazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro – in larga parte contenuta nel decreto legislativo n. 81 del 2008, più volte modificato in questi anni, anche noto come “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro – del tutto rispettosa delle previsioni comunitarie e assolutamente completa. Ciò nonostante, permane una limitata consapevolezza in molte aziende e in troppi lavoratori della importanza della necessità di prevenire gli infortuni e le malattie professionali; ciò è un ostacolo enorme al miglioramento dei dati infortunistici impedendone una decisiva diminuzione, come tutti ci auspichiamo.
Statistiche alla mano: qual è lo stato dell’arte in materia a livello nazionale e del territorio abruzzese?
Le statistiche nazionali (fonte INAIL, le uniche davvero attendibili) ci dicono che gli infortuni negli ultimi dieci anni sono complessivamente calati di oltre il 25%. Il dato è incoraggiante ma del tutto insufficiente perché ancora in Italia abbiamo troppi morti sul lavoro e danni sociali che si aggirano sui 40 miliardi di euro, per i costi di sostegno alle famiglie delle vittime e per quelli di recupero dei lavoratori infortunati. Occorre, quindi, una accelerazione delle politiche nazionali e locali di contrasto al fenomeno, tanto più necessaria ove si consideri che le malattie professionali (“altra faccia” degli infortuni, meno conosciuta) sono in costante e notevole crescita anno per anno. L’Abruzzo, purtroppo, non è tra le Regioni più “virtuose”, per cui il discorso appena fatto va considerato essenziale per la nostra Regione, nella quale alcuni settori (edilizia ed agricoltura su tutti) hanno dati infortunistici e relativi a malattie professionali preoccupanti.
Imprenditori e lavoratori: due facce della stessa medaglia. Come riuscire a raggiungere, in modi diversi, lo stesso obiettivo “sicurezza”?
Ho sempre pensato e continuo a ritenere che non ci possa essere alcuna contrapposizione su un tema tanto importante quale la salute e la sicurezza delle persone. Per quanto mi riguarda, sia la mia attività presso il Ministero (negli anni tra il 2003 e il 2013) che quella attuale di consulente hanno chiarito che solo se si lavora assieme per prevenire infortuni e malattie si possono ottenere buoni risultati. Insomma, le aziende devono fare quanto necessario (peraltro, imposto chiaramente e specificamente dalla legge) per progettare e gestire adeguatamente la sicurezza dei propri lavoratori e questi ultimi devono collaborare (ad esempio, andando con entusiasmo e consapevolezza ai corsi di formazione in materia o usando i previsti dispositivi di protezione quando necessario) applicando sempre e ovunque le procedure di salute e sicurezza a tutela di sé stessi e dei propri colleghi.
Prevenzione e formazione come regola comportamentale oltre che come adeguamento strutturale. Cosa ne pensa al riguardo?
La formazione è lo strumento per eccellenza per migliorare le conoscenze di tutti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e acquisire la dimestichezza con i comportamenti “sicuri”. Occorre, però, progettarla ed erogarla bene “mirandola” alle specifiche esigenze dei discenti, mentre troppo spesso in Italia ha contenuti di tipo generico ed è, perciò, spesso vissuta dai discenti come un obbligo di tipo burocratico e, quindi, come l’ennesima “seccatura”.
Quanta consapevolezza c’è in Italia che investire in formazione previene sanzioni che poi “impoveriscono” l’azienda?
Le aziende più grandi, che hanno già una precisa cognizione di quanto sia importante organizzare (per fini produttivi, ma anche per perseguire qualunque importante obiettivo per l’azienda) bene le proprie attività, hanno una idea ben precisa del fatto che investire in sicurezza non è un costo ma una scelta imprenditoriale vincente. Il problema, invece, lo abbiamo soprattutto con le piccole e piccolissime imprese (come noto, la maggioranza del tessuto produttivo italiano) che sono troppo prese a superare la crisi e – purtroppo – assai raramente comprendono l’importanza di investire sulla salute e sicurezza dei propri lavoratori.
In che modo le buone prassi aziendali in materia possono generare circoli virtuosi?
Da molti anni l’Unione europea chiede ai Paesi membri di favorire in ogni modo la diffusione di procedure di riferimento per una gestione efficace della salute e sicurezza nei diversi settori, in quanto già applicate con successo in azienda. Si tratta di decidere (la scelta e la relativa responsabilità sono a carico dell’impresa) di applicare nella propria azienda procedure moderne e già verificate quanto alla loro efficacia in materia prevenzionistica favorendo un approccio alla prevenzione di infortuni e malattie più pratico che teorico e normativo. In Italia si sta procedendo in tal senso ma rimane la difficoltà di molte aziende di comprendere che una simile scelta non costituisce un passo troppo lungo (in un periodo di crisi) quanto la migliore modalità per limitare il rischio che qualcuno si faccia male al lavoro. INAIL, in realtà, già attribuisce alle aziende che progettano e/o attuano buone pratiche vantaggi di tipo economico (es.: diminuzione dei premi per infortuni) ma si tratta di azioni limitate e delle quali le imprese non approfittano un poco per la complessità delle procedure di affidamento (logica quando si tratta di attribuire fondi pubblici) e parecchio per mancata conoscenza dei meccanismi di scelta e finanziamento e per diffidenza nei riguardi dei soggetti pubblici (specie se potenziali organi di vigilanza).
Consigli e istruzioni per l’uso: quale futuro per la sicurezza?
Personalmente auspico che continui e si consolidi la crescita culturale nelle imprese e nei lavoratori – in corso ma troppo lenta – rispetto alla importanza della condivisione e della applicazione ovunque delle regole della salute e sicurezza sul lavoro. Per perseguire tale obiettivo occorre che le Pubbliche Amministrazioni competenti in materia (Ministero del lavoro, Ministero della salute, ASL, INAIL ect…) mettano in campo azioni di promozione (magari anche di tipo economico) della prevenzione di infortuni e malattie professionali e che le aziende superino definitivamente l’idea che la salute e sicurezza sul lavoro sia una materia non strategica per le imprese italiane. Un ruolo importante va, peraltro, ascritto a coloro (penso ai consulenti in materia, ma anche ai coordinatori in edilizia, ai Responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e anche alle società che progettano ed erogano formazione) che potrebbero, da privati, aiutare la crescita culturale delle imprese e dei lavoratori italiani. L’azione congiunta del pubblico e del privato, magari aiutata dalla scuola, in cui occorre far conoscere ai ragazzi i valori di tutela della persona umana insegnando l’importanza delle regole e della legalità, è la soluzione vincente. Penso che si tratti di un sogno al momento ma mi piacerebbe essere smentito, meglio se a breve, perché significherebbe avere meno famiglie in difficoltà e una Società più civile.