Il nostro viaggio parte da Benevento, epicentro di uno dei più disastrosi terremoti mai registrati in Italia, che nel lontano 5 dicembre 1456 colpì l’allora Regno di Napoli. Il terremoto, di magnitudo 7.1, distrusse diverse zone dell’attuale centro-sud, tra le quali, probabilmente, l’amata località vastese, Punta Penna. Furono le testimonianze legate a questi spiacevoli avvenimenti a mobilitare coloro i quali hanno cercato i resti sommersi di un agglomerato urbano le cui origini risalirebbero alla romana Histonium.
I riferimenti storici sono concordi nel ritenere che, non lontano dall’attuale Vasto, esistevano vere e proprie città, quali, per esempio, Buca ed Aspra, su cui venne edificata Pennaluce. Strabone, geografo e storico del I sec a.C., menzionava un insediamento costiero dal nome Ortoniòn, che per alcuni studiosi è un toponimo assimilabile ad Histonium, l’odierna Vasto. Plinio il Vecchio (I sec. d. C.) nella sua Naturalis Historia, collocava proprio tra Ortona e Vasto la leggendaria Atlantide dell’Adriatico.
Giuseppe del Re, politico, patriota e letterato italiano, nel 1835 pubblicò un interessante volume intitolato Descrizione Topografica Fisica Economica Politica de’ Reali Domini al di qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie, nel quale vengono riportate sconcertanti rivelazioni: “Al di là di 2 miglia dentro il mare vi ha un luogo detto l’aspra, al fondo del quale si asseriscono avanzi di edifici e di strade, i quali si congetturano parti o d’isoletta o di lingua di terra sprofondata da ignoto cataclismo”.
Verità o leggenda?
Ad alimentare questo affasciante mito furono i racconti dei pescatori: “Una vera pesca miracolosa, che i più vecchi marinai vastesi non ricordano l’eguale, è stata quella fatta all’Aspra dai nostri paracocci durante la giornata del 18 maggio, in cui restarono presi nelle reti circa 180 quintali di hirze e pisci mènnele. Spettacolosa la vista delle enormi masse di quei pesciolini ammucchiati lungo la spiaggia, venduti a viadichere (che li caricavano per portarli nei paesi della nostra montagna) al prezzo vile di 0,60 il chilo”. ( da Il Vastese d’Oltre Oceano, 1928.)
Si raccontava infatti che a 50/60 metri di profondità esistesse una zona rocciosa scoscesa in emersione che potrebbe essere la continuazione del promontorio di Punta Penna, dove il pesce mandorlo, chiamato scientificamente Spicara maena o più semplicemente mennola, depone le proprie uova. Ciò avvalora l’ipotesi dell’esistenza della città di Aspra, dal termine latino “asper”, luogo irto, scosceso, evidentemente collegabile al prolungamento del promontorio su cui sorgeva, sprofondato in occasione del terremoto del 1456 e in cui ora la mennola ha trovato il proprio habitat.
In un articolo pubblicato su Vasto Notizie del 1989, l’ingegnere Michele Benedetti, defensor civitatis, venuto a mancare nel 1998, allora Ispettore onorario dei Beni Ambientali dell’Abruzzo, sottoponeva ai lettori una personale e curiosa esperienza: “Nel 1966 ci fu una grande mareggiata che portò via tutta la sabbia che copriva (e che ancora copre) alcuni resti: io stesso vidi, con i miei occhi, capitelli, colonne e mura. Volevo portar via qualcosa per testimoniare la loro esistenza, ma nel giro di una settimana tutto sparì nuovamente sotto l’enorme massa di sabbia a causa di un nuovo mutamento delle correnti marine”. Fu questa sconvolgente esperienza a spingere lo stesso Benedetti, insieme a Bruno Smargiassi, nell’agosto 1968, a tracciare una pianta di un fabbricato sommerso, simile ad una costruzione romana. I due sub, dopo numerose immersioni, riportarono sulla carta il perimetro di una villa risalente ad epoca imperiale con i visibili muri di cinta esterni e i colonnati in stile dorico.
L’ennesima e altrettanto preziosa testimonianza, è quella dell’imprenditore vastese Achille Muratore, riportata nello stesso articolo del 1989: “Circa 10 anni fa andai con il motopeschereccio di un amico e dopo aver viaggiato per quasi un’ora, siamo arrivati nei pressi di Aspra. Le reti venivano calate in punti prestabiliti per pescare il pesce mandorlo e, intanto, il peschereccio si muoveva come se percorresse una strada diroccata; dopo la prima pescata torna indietro nella stessa direzione come se c’era una strada sottomarina a guidare lo stesso peschereccio”.
Come lo stesso Benedetti dichiarò, nel 1981 fu organizzata un’importante spedizione subacquea in collaborazione con l’università di Chieti e diretta dal prof. Piergiorgio Data, l’allora direttore dell’Istituto di Fisiologia umana dell’università d’Annunzio e scomparso nel 2005. Nel convegno conclusivo, tenutosi al termine degli studi e dei rilievi condotti da un’equipe qualificata, il professor Data affermò che a sei miglia al largo di Punta Penna furono rinvenuti relitti di una certa entità, risalenti al III-IV sec. a.C., che un fenomeno di bradisismo ha sommerso. I dottori Stefanon e Colantoni, al termine della campagna di ricerche, hanno sottolineato che nel fondale si è in presenza di una zona rocciosa in emersione sul fondo, che ha le medesime strutture e caratteristiche del promontorio di Punta Penna, di cui ne è indubbiamente la continuazione.
Nonostante le importanti scoperte, il silenzio è sprofondato su questo affascinante mistero che avvolge il nostro mare e la nostra splendida città; importanti rivelazioni lasciate in sospeso, che in pochi davvero conoscono, e che indubbiamente meritano di essere nuovamente raccolte e definite.
È di Alessandro Baricco la citazione “Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni”; ma per il nostro di mare è davvero così?
Francesca Liberatore
Laureanda Università D’Annunzio – Chieti