“Questo processo è un unicum per tutto l’Abruzzo. Si tratta della prima sentenza per 416 bis emessa da un Tribunale d’Abruzzo. Da un lato preoccupa, dall’altro dimostra che gli anticorpi ci sono”. Bruno Giangiacomo, presidente del Tribunale di Vasto, commenta il verdetto a pochi minuti dal termine del lungo processo “Adriatico”, che ha preso il nome dall’operazione con cui la Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, la Procura di Vasto e i carabinieri hanno sgominato nel 2014 un’organizzazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Al termine del maxi processo 25 i condannati, cinque dei quali in base all’articolo 416 bis del codice penale (associazione a delinquere di stampo mafioso, “camorristico, in questo caso”, precisa Giangiacomo), altri due per concorso esterno in associazione camorristica.
“I collaboratori di giustizia – commenta il presidente del collegio giudicante, composto anche dai giudici a latere Fabrizio Pasquale e Stefania Izzi – sono stati sicuramente utili. Ma non è che abbiamo preso i collaboratori e abbiamo accettato tout court le loro testimonianze; prova ne sia il fatto che che, dei 62 imputati, sono più gli assolti dei condannati. Abbiamo aderito a quanto statuito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite: il collaboratore di giustizia va riscontrato e i riscontri devono essere individualizzati, ossia per ciascuno di coloro che sono accusati di un reato”.
E’ stato un processo utile a evitare nel 2018 la chiusura del Tribunale di Vasto? “Noi cerchiamo di fare bene, che può essere condizione necessaria, ma potrebbe non essere sufficiente. Il fatto che questo Tribunale possa chiudere tra due anni e mezzo non significa che non si debbano celebrare i processi. Anzi, si devono fare e bene. Certo – sottolinea Giangiacomo – se si fa un processo come questo, qualche attenzione circa il fatto che questo Tribunale si trovi in una collocazione logistico-geografica particolare credo la si debba avere. Ma queste sono considerazioni che spettano al legislatore”.