Partirono per una terra sconosciuta, ma trovarono la morte a bordo dell’imbarcazione che doveva portarli verso migliori e agognate condizioni di vita. Il copione che oggi vede protagonisti i disperati che dalle coste africane cercano di raggiungere l’Europa è stato interpretato già più di un secolo fa da persone umili che si misero in viaggio dal Vastese perdendo la vita in mare.
Il 17 marzo è una data scolpita nella storia di Fraine e non solo: 125 anni fa, nel 1891, il piroscafo Utopia si inabissò nella baia di Gibilterra trascinando sul fondo il carico umano in viaggio verso l’America. A bordo c’erano 18 frainesi: 15 di loro (dagli 8 ai 53 anni di età) persero la vita insieme ad altre 547 persone (morirono tra le acque 562 degli 880 passeggeri).
La nave della Anchor Line (Scozia) partì da Trieste il 25 febbraio dello stesso anno con scali previsti in Sicilia, Napoli e Gibilterra. Solo tre le persone in viaggio in prima classe, il resto era concentrato nella terza: “C’è solo gente povera, anzi poverissima, ed i più agiati hanno il privilegio di partire con una valigia di cartone assicurata, nella chiusura, con uno spago incrociato. Al suo interno ci sono poche e misere cose che faranno ricordare loro i legami con le persone e la terra che hanno lasciato forse per sempre”, come ricorda Marino Valentini nel volume Il naufragio dell’Utopia. Il Titanic degli abruzzesi dimenticati (del quale è in stampa la seconda edizione arricchita da ulteriori documenti).
La tragedia avvenne nel tardo pomeriggio di quel 17 marzo: il comandante del piroscafo, John McKeague, arrivato nella baia, a causa della fitta nebbia non si accorse della presenza di diverse corazzate della Marina inglese andando a cozzare contro una di esse (la Anson). La falla di oltre 5 metri che si aprì sotto la linea di galleggiamento provocò il veloce inabissamento dell’Utopia. Il resto è storia nota, riascoltata con triste frequenza nelle cronache attuali. Le pessime condizioni del mare impedirono soccorsi efficaci, gran parte dei migranti morì restando intrappolato all’interno della nave o nello scoppio delle vaporiere; il mare nei giorni successivi restituì i corpi sulla spiaggia, molti di loro vennero sepolti in fosse comuni. Nel disastro morirono anche due marinai inglesi che parteciparono alle operazioni di soccorso: James Cotton e George Hales (della corazzata Immortalité) persero la vita a bordo di una scialuppa finita contro gli scogli. Il comandante McKeague uscì idenne dalla vicenda anche dal punto di vista giudiziario: la tragedia fu derubricata a “fatalità”. I proprietari della compagnia (gli Henderson) si rifiutarono di riconoscere i risarcimenti imposti dalla giustizia italiana donando alle famiglie cifre irrisorie.
Fraine pagò uno dei tributi di vite umani più grandi. Sulla nave viaggiavano contadini provenienti soprattutto dall’entroterra abruzzese, molisano e campano; Carovilli (Is) perse 14 compaesani. Tra i migranti salvati si registrarono anche tre cittadini di San Giovanni Lipioni, tre di Palmoli e uno di Cupello.
All’epoca uno dei più piccoli Comuni del Vastese contava ancora circa 1.700 abitanti, ma il fenomeno dell’emigrazione era già presente e negli anni successivi avrebbe dato vita a folte comunità frainesi concentrate soprattutto a Paterson, in New Jersey.
Tre anni fa a Fraine è stato inaugurato un monumento alla memoria dei 15 giovani partiti con la speranza di una vita migliore e mai arrivati: Vincenzo D’Ambrosio (53), Giovanni Rossi (36), Vitale Battista (41), Giuseppe Rossi (14), Vincenzo Brunetti (32), Domenico Sisti (28), Carlo Carunchio (21), Vincenzo Sisti (16), Angelo Marino (8), Vincenzo Stampone (32), Gaetani Di Minni (41), Emidio Tubbio (31), Giovanni Di Pirro (34), Vincenzo Di Minni (20), Giuseppe Ramundo (36).
Una stele di pietra che ricorda la tragedia, ma anche un monito sul dovere della memoria in un’epoca in cui la nostra storia è drammatica attualità per migliaia di migranti in cerca della propria terra promessa.
Presenti sul monumento anche i versi che Duilio Martino ha dedicato ai propri compaesani:
Utopia – 19 marzo 1891
Miraggio d’una ignota ambita sponda
fu spento dal modesto navigare
quel urlo soffocato in spuma d’onda
in spoglie di miseria d ‘altro stare.
Trafitto in rada a picco il ferro leso
del ventre d‘Utopia colma ingorda
al vespro quel ricordo resta appeso
ch’a posteri campan non giunga sorda.
Rintocchi lievi e bronzei… e poi pianti!
Null’altro porse il pallido albeggiare
che stami già scarlatti titillanti
un’onda smorta del funesto mare.