È culminata con un momento di preghiera davanti alla statua della Madonna dei Miracoli di Casalbordino, all’interno dell’omonima Basilica, la manifestazione dei dipendenti del Cotir, il centro di ricerca regionale con sede a Vasto, che dal 10 dicembre scorso hanno iniziato la mobilitazione (qui il servizio) per rivendicare il diritto alla retribuzione (sono senza stipendio da ben 22 mesi) e per sollecitare la Regione Abruzzo a presentare un Piano di riordino che garantisca un futuro all’ente e ai suoi dipendenti.
Il corteo si è mosso alle 9,30 in direzione Casalbordino; inevitabile qualche rallentamento al traffico, sia sulla statale 16, almeno fino alla rotonda nei pressi del casello Vasto Nord-Casalbordino, che sulla strada di collegamento al centro abitato. A garantire la sicurezza dei manifestanti, gli operatori del Commissariato di Pubblica sicurezza di Vasto, con il coordinamento sul posto del vice questore Alessandro Di Blasio, i carabinieri e la polizia municipale.
Il gruppo, composto da 14 dipendenti, è quindi giunto presso la Basilica della Madonna dei Miracoli, a Casalbordino, dopo circa un’ora di cammino e, lasciati gli striscioni sul sagrato, è entrato in chiesa per un momento di preghiera e raccoglimento. Qui sono stati accolti dal custode, che ha anche fatto visitare la basilica ai dipendenti. Infine, il tempo di una rinfrescata, e il corteo è ripartito per tornare presso la sede del Cotir.
La mobilitazione, quindi, proseguirà nel pomeriggio presso il Comune di Vasto, dov’è previsto un convegno con la partecipazione di due ricercatori dell’ente. Evidentemente, le rassicurazioni giunte dalla Regione (qui il servizio) non sono state convincenti: “Ci hanno solo detto quello che già sapevamo – ha infatti spiegato Elvio Di Paolo, della Cisl – e nient’altro. La mobilitazione va avanti, vogliamo un Piano di riordino che garantisca il futuro dell’ente e i finanziamenti ai progetti che permettono anche di pagare gli stipendi ai dipendenti”.
Dipendenti che, senza stipendi da 22 mesi, lamentano una situazione non più sostenibile: “Ormai a casa ci chiedono perfino che ci veniamo a fare a lavorare, visto che non veniamo pagati, ma non possiamo lasciare tutto adesso, dopo aver dato a questa struttura i migliori anni della nostra vita. Ci batteremo fino alla fine”.