Uscire dall’Euro o costituire una vera Europa politica, una sorta di “super Stato” dove le regole sono le stesse per tutti. Queste le ipotesi su cui la politica si interroga per indicare una via di uscita da una crisi che, tra i vari danni, è anche riuscita a far dimenticare le carenze strutturali di un’Italia che non ha saputo o voluto puntare su innovazione tecnologica e ricerca. Su queste premesse, il professor Emanuele Felice, dell’Università Autonoma di Barcellona (ma la notizia annunciata da Giorgio Di Domenico nella serata di ieri è che presto farà stabilmente ritorno in Italia), ha impostato la sua tesi, per cui l’uscita dall’Euro sarebbe un “salto nel buio” difficile da gestire e, bene che potrebbe andare, riporterebbe il Paese all’interno dello stesso meccanismo che lo ha reso debole: una crescita “drogata” da svalutazione e debito pubblico, come già accaduto in passato. La soluzione, quindi, nella costituzione di una Europa politica, all’interno della quale non vigono solo le regole di politica monetaria, ma viene eletto un Parlamento che legifera per tutti. Nel frattempo, riforme, riforme e riforme: riforma dell’apparato dello Stato, riforma della giustizia, delle tasse e tanti investimenti su innovazione e ricerca.
Questa, a grandi linee, la ricetta del professor Felice alla base del suo ultimo testo di economia politica intitolato Ascesa e declino, storia economica d’Italia, presentato ieri sera presso l’azienda vitivinicola Sergio Del Casale, dove si è tenuto un rinfresco, seguito dalla presentazione del libro, culminata poi con la “cena con l’autore” preparata dalla Masseria Zinni. A presentare l’evento, Giorgio Di Domenico, socio Wem, che ha organizzato l’incontro, e il giornalista Christian Lalla, che ha moderato l’incontro.
A spiegare il corto circuito che ha fatto del capitalismo italiano un capitalismo “anomalo” rispetto agli altri paesi europei, direttamente l’autore, che ha ripercorso la storia economica d’Italia, dal boom degli anni Cinquanta, alla crisi petrolifera degli anni Settanta, alla “crescita drogata” degli anni Ottanta, alle “occasioni mancate” degli anni Novanta, fino all’attuale crisi: “La classe politica e imprenditoriale italiana invece di puntare sull’avanzamento tecnologico, ha preferito misurarsi sul medio/basso profilo, incentivando svalutazione monetaria e debito pubblico“. Secondo la tesi del professor Felice, quando è stato avviato il percorso della moneta unica, gli altri paesi hanno capito che bisognava intervenire con investimenti e riforme, limitando il debito pubblico e la svalutazione, ‘strumenti’ che con la moneta unica non sarebbero più potuti essere utilizzati, mentre l’Italia è rimasta immobile, su questo fronte. Così, con l’adozione dell’Euro, l’Italia si è trovata strutturalmente incapace di sostenere uno sviluppo reale e continua a sentire l’attuale crisi più degli altri paesi europei. Ma anche una volta finita la crisi, il Paese si troverà sempre nelle condizioni che hanno determinato quel “capitalismo anomalo” che contraddistingue la storia economica italiana. Per questo, per il professor Felice la parola d’ordine è “riforme” che puntino il timone del Paese nel verso opposto da quello scelto negli anni Settanta. Quindi riforme, soprattutto della pubblica amministrazione (particolarmente apprezzata dall’autore quella del governo Renzi, definita “la più coraggiosa degli ultimi anni”) e investimenti finalizzati all’avanzamento tecnologico.
Infine una riflessione, sollecitata dal moderatore, su reddito e capitale: “I paesi più ricchi – ad eccezione degli Usa, in cui la ricchezza comunque si scontra con un sistema che danneggia le classi più povere – sono quelli in cui c’è meno sperequazione sociale e più redistribuzione della ricchezza. Ma da questo punto di vista i governi nazionali possono fare poco, come testimonia il caso della Francia di Hollande, che non ha potuto fare riforme fiscali, perché altrimenti i più ricchi semplicemente si trasferivano in un altro paese. Sono interventi che possono funzionare solo se vengono presi a livello europeo”.