È andata in scena ieri la prima delle tre serate targate ‘Teatro Domestico’ organizzate, come accade ogni anno in questo periodo da diverso tempo, dall’associazione culturale Gap. Una rappresentazione, anche se sarebbe meglio chiamarla ‘esperienza teatrale’, curata dalla regia di Marco Ercolano e dal lavoro di Maria Cristina Minerva la quale si occupa brillantemente di seguire i propri attori durante l’anno attraverso un vero e proprio studio didattico sul personaggio, seguendo quello che è noto come il ‘Metodo Stanislavskij’.
Al centro di questa metodologia- messo a punto da Konstantin Sergeevi? Stanislavskij che nei primi anni del ‘900 amava chiamarla anche psicotecnica- vi è una ricerca lunga e dettagliata sul personaggio. Un approfondimento psicologico su di esso che prosegue alla ricerca delle affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell’attore. Il tutto avviene attraverso esercizi che lo stesso Stanislavskij- dagli appunti presi durate gli anni della sua formazione- ha creato al fine di stimolare le emozioni da provare sulla scena, dopo un’attenta analisi profonda sugli atteggiamenti non verbali insiti nel sottotesto teatrale e nel messaggio stesso da trasmettere. Sulla base di questo metodo- che poi ha posto le basi anche per l’Actor Studio americano- e degli sviluppi, adattamenti e mutazioni di questa metodologia negli anni, si basa l’intero corpus d’azione di questa attività culturale. Con gli anni, poi, Marco Ercolano (pittore e grande appassionato di letteratura, teatro e cinema) e Maria Cristina Minerva (attrice vastese che ha avuto modo di formarsi a Roma e di partecipare al film del 1999 ‘Fuori dal Mondo’, diretto da Giuseppe Piccioni) hanno avuto la brillante, quanto originale, idea di unire a questa modalità espressiva il concetto di ‘Teatro Povero’ espresso per la prima volta dal regista teatrale polacco Jerzy Grotowski il quale, nella sua opera ‘Per un Teatro Povero’, ha dichiarato che “Eliminando gradualmente tutto ciò che è superfluo, scopriamo che il teatro può esistere senza trucco, costumi e scenografie appositi, senza uno spazio scenico separato (il palcoscenico), senza gli effetti di luce e suono, etc. Non può esistere senza la relazione con lo spettatore in una comunione percettiva, diretta. Questa è un’antica verità teoretica, ovviamente. Mette alla prova la nozione di teatro come sintesi di disparate discipline creative; la letteratura, la scultura, la pittura, l’architettura, l’illuminazione, la recitazione (Jerzy Grotowski, Per un Teatro Povero)”.
Da diversi anni a questa parte, dunque, l’associazione culturale Gap propone al pubblico (su prenotazione) un’esperienza da vivere intensamente tra le mura domestiche, durante la quale gli attori portano in scena il proprio personaggio attraverso modalità ogni anno differenti. Lo scorso anno la stessa associazione ha proposto una trattazione davvero originale e in parte anche sperimentale. Gli attori, a turno e contemporaneamente, hanno recitato il proprio monologo- meglio definirla testimonianza- davanti a due spettatori. Ogni attore aveva di fronte due interlocutori ed ogni interprete- a giro- riproponeva il proprio personaggio a tutti i presenti. Chi ha avuto modo di assistere a questa performance ha vissuto un momento artistico davvero raro, unito ad un’ottima gestione degli spazi scenici a disposizione dove la realtà è divenuta teatro ed il confine tra queste due si è assottigliato.
Quest’anno la scelta è stata diversa, come lo stesso Marco Ercolano ha confermato al termine della performance di ieri sera: “Ci siamo concentrati più sui singoli personaggi e sul lavoro che ogni attore ha dovuto fare. Una ricerca psicologica più improntata a cogliere il sottotesto di ogni singolo periodo, di ogni singola parola, aiutati dai magnifici testi scelti della letteratura teatrale moderna”. Ieri sera dunque si è passati da ‘Enrico IV’ di Pirandello portato in scena da Nicola D’Adamo- con un rimando sempre attuale verso la concezione della pazzia nel senso comune e veicolata dalle istituzioni in un certo modo- al ‘Ritratto di Madonna’ con il monologo interpretato da Adriana Di Iulio. Proseguendo poi con l’emozionante monologo tratto da ‘Lo Stupro’ di Franca Rame, portato in scena da Paola Ciuffetti e terminando con un passo de ‘La Lunga Giornata Verso la Notte’ di Eugene O’Neil interpretato da Laura Mucci, e quello tratto da ‘I Blues’ di Tenessee Williams portato in scena dalla giovane Mariagrazia Barone. Se apparentemente i cinque monologhi sembrano viaggiare su diversi binari, il filo conduttore che li riporta al concetto base è sicuramente la violenza, espressa, raccontata e rappresentata in modi differenti. Dalla violenza delle istituzioni, a quella fisica scaturita da stupri, violenze sessuali e psicologiche. Ed ecco quindi che se Enrico IV viene preso per pazzo e subisce questa violenza ogni giorno dalle persone che lo circondano, dall’altra parte è la stessa pazzia ad essere artefice delle violenze fisiche e da esse ne scaturiscono traumi che al tempo stesso logorano l’animo e la speranza di questi personaggi. Ne ‘Lo Stupro’ di Franca Rame, invece, si coglie tutta la crudeltà di un gesto del genere attraverso una testimonianza vera e veritiera. Dunque la violenza sembra essere davvero il filo conduttore dei cinque personaggi parlanti scelti da Marco Ercolano e Maria Cristina Minerva.
Oltre a quella di ieri, anche lunedì e martedì sera verranno riproposti i cinque monologhi al pubblico e le prenotazioni sono già esaurite. Certamente, proprio grazie alla natura del ‘Teatro Domestico’, nel tempo proposte di questo tipo si potranno riportare in scena qual ora ci sia la richiesta.