Mentre il mese di ottobre volgeva al termine, una nuova avventura stava per iniziare per il giovane vastese Luca Di Ienno, studente di Medicina presso l’università di Bologna. Con un sogno nel cassetto – diventare medico – ed un forte desiderio verso la scoperta e la conoscenza, il giovane vastese ha scelto l’India – dopo essere stato in Africa lo scorso anno- come meta per un’esperienza che ci siamo voluti far raccontare. “Sono partito come volontario di ‘Project for people’ – ci ha spiegato- un’associazione che ha sede a Milano e che organizza tutti i mesi viaggi di volontariato. Siamo stati socialmente impegnati per un mese a Calcutta, la seconda città dell’India nonché capitale dello stato del West Bengala. Poi ci siamo concessi anche nove giorni di puro viaggio prima di tornare in Italia. In quei giorni la maggior parte del tempo l’abbiamo trascorsa in viaggio, in treno da una tappa all’altra, vuoi per le enormi distanze da percorrere, vuoi perché siamo stati sopraffatti dall’estrema tranquillità e lentezza dei trasporti indiani”. Diverse le città dell’India visitate da Di Ienno. Dopo il mese trascorso a Kolkata, insieme a Sara e Mattia, compagni di viaggio oltre che suoi compagni di vita, sono partiti verso Delhi, dall’altro capo del nord dell’India verso Occidente. Poi da lì verso Agra, la città del Taj Mahal, poi ancora verso Jaipur, la città rosa nonchè capitale del Rajastan, lo stato dei Maraja, poi tornando verso Calcutta – nella quale poi il 9 dicembre avevano l’aereo di ritorno – si sono fermati in quella cheper Luca è stata la tappa più suggestiva, Varanasi, la città sacra per il popolo Indù. Quando si visitano posti e luoghi così diversi dalle realtà occidentali forse la prima cosa che viene spontaneo fare è cercare di tessere un paragone, trovare analogie e differenze tra il nostro ed il loro modo di vedere e vivere la realtà.
“L’impatto culturale è fortissimo. Se dovessi descrivere l’India che ho visitato con pochissime parole direi solo che è un posto in cui non esiste intimità. Un posto dove non si percepisce solitudine. I rumori della città almeno per i primi giorni mi hanno sconvolto: non esiste angolo di Calcutta in cui ci sia un accenno di silenzio. Dai clacson che non danno nemmeno un attimo di tregua, ai venditori ambulanti che a gran voce elogiano la propria merce, ai motori dei tuc-tuc che, anche se raggiungono forse i 50 km/h, fanno più rumore del motore di un boeing. Sino ad arrivare alla musica che gli indiani ascoltano dai telefonini rigorosamente senza cuffiette a qualsiasi ora, in qualsiasi luogo e possibilmente al massimo volume nel tentativo disperato di coprire gli altri rumori. Anche di notte, quando pensi di riposare e di staccare per qualche ora da questo frastuono interminabile, vieni svegliato da gruppi di induisti che alle quattro e mezza di mattina scendono in strada a cantare e suonare la loro devozione agli dei, manifestazione questa alla quale ci siamo anche uniti. A Varanasi abbiamo assistito a cremazioni sulle rive del Gange con falò che ardono 24 ore su 24 e i familiari dei defunti che salutano i loro cari con cori da stadio. È un popolo per cui non esiste il concetto del non condividere. Si fa tutto, si fa insieme e lo si fa nel modo più rumoroso possibile”. In questo locus amoenus “vivono accalcate milioni di persone che non sembrano assolutamente risentire della confusione della città. Mentre tu giri per le strade con gli occhi sgranati sperando di non essere investito (e ci vai molto vicino spesso), loro camminano tranquilli col sorriso stampato in faccia e con una serenità che poi tu quando torni a casa in Italia ti illudi di aver acquisito. Si fermano, chiedono, parlano, ti aiutano, si preoccupano per te, fanno i simpatici, ti sfottono, a volte tentano anche di fregarti ma lo fanno sorridendo. Darebbero più di tutto quello che possiedono a volta per te. Sembra quasi esserci una relazione inversa tra la ricchezza di un gruppo e la sua voglia di regalarti affetto. La cosa fantastica è che non vogliono indietro nulla, solo il tuo medesimo affetto”.
Trovare delle differenze e analogie tra un popolo ed un altro è cosa assai comune, ma forse è proprio attraverso nuove esperienze, grazie a viaggi come questo che in realtà le differenze non risultano essere sinonimo di qualcosa di negativo, ma acquistano valore umano. Nella nostra lunga chiacchierata con il giovane studente di Medicina sono riemersi tanti aneddoti del suo viaggio: “Abbiamo conosciuto una ragazza sul treno per Les Sunderbans (il parco delle tigri). Questa ragazza abita in una casa di fango alle porte del parco e ha deciso di ospitarci in nove quella notte a casa sua. Io penso che nemmeno un decimo delle persone che leggeranno queste parole, compreso me, abbiano mai ospitato nove sconosciuti, per di più ragazzi, pur non avendo una casa di fango. Sono stati preparati nove piatti di riso con pesce, lenticchie, patate con tanto di pop corn come antipasto”. Piatti che, come racconta Luca, “erano davvero abbondanti non comparabili alle porzioni della nostra tanto stimata quanto costosa nouvelle cousine. Naturalmente l’unica cosa che hanno preso in cambio da noi è stata la nostra infinita riconoscenza, il nostro ‘donnobad’ ( grazie in Bengalese). È solo uno di mille aneddoti del genere. Non mancano i furbi che vogliono fregarti, non ci sono solo buoni, ma è un popolo pieno di contraddizioni. Provano a non darti il resto quando prendi il pranzo; quando ti vedono iniziano ad interessarsi di te e non vedono l’ora tu chieda loro qualcosa o qualche informazione per chiederti soldi. Ma comunque c’è una felicità di fondo negli occhi delle persone, una serenità che non sempre sai spiegarti da dove derivi, specialmente se osservi le condizioni socio, igienico, sanitarie in cui si trova la maggior parte della popolazione. Eppure c’è. E da europeo è difficile capire quanto sia bello celebrare la grandezza degli dei pur soffrendo la fame”.
Tanti sono gli aspetti e le immagini che si porta con se Luca e che andando a ricordare, riemergono subito nella sua memoria. Così ci racconta un altro aneddoto vissuto in treno durante uno dei tanti spostamenti da una città all’altra dell’India: “Ho conosciuto un ragazzo sul treno da Delhi ad Agra e dopo aver riso e scherzato mi chiede quali sono secondo me i grossi limiti dell’India rispetto ad una realtà europea. Io gli rispondo che è difficile così su due piedi giudicare ed esprimere il mio parere. Mi guardo intorno però e ogni tanto vedo scene che mi lasciano perplesso. Come riesce a progredire dal punto di vista igienico-sanitario un popolo che non ha la concezione del pattume dentro la pattumiera, ad esempio. I passeggeri del treno si cibano rumorosamente, poi buttano per terra rifiuti organici e non, dando da mangiare anche a loro volta agli eserciti di topolini e di scarafaggi che vivono in treno tra le valigie di tutti. Accompagnano la digestione con rutti fragorosi ma spontanei; e dopo il pasto tritano il loro pezzo di tabacco, lo mettono in bocca poi sputano tutto. Poi invece se penso di aver incontrato persone che erano in India per la quinta o sesta volta e che mi hanno detto che la loro opinione riguardo quel meraviglioso Paese è che in realtà proprio quando pensi di aver capito qualcosa sulla cultura indiana ti rendi poi conto che non è vero, allora mi limito a dire che il loro suggerimento forse è quello più consono a descrivere una realtà come quella dell’India ”.
Potrebbe parlare ancora per ore del suo viaggio in India Luca, ma noi cerchiamo di focalizzare la sua attenzione su ciò che gli rimane di questa avventura: “Imparare a fare delle iniezioni, delle medicazioni, misurare duecento pressioni al giorno, non è senz’altro roba da astronauti, ma comunque può avere un qualcosa di soddisfacente soprattutto quando si riesce ad avere col paziente un minimo di rapporto umano. Si affidano completamente a te. È gratificante senz’altro vederli ridere dopo avergli fatto la puntura perché significa che così male non è andata. Dal punto di vista strettamente professionale non sarà stata di certo la svolta della mia carriera, ma avere a che fare con donne e bambini ustionati dalla testa ai piedi che singhiozzano dal dolore può sicuramente aiutare dal punto di vista umano a soppesare i problemi, ad affrontare le piccole difficoltà della vita con occhi diversi”. Con tutti questi racconti ci siamo un attimo persi il perché di questo viaggio, ma Luca ce lo ha spiegato senza troppi giri di parole: “Penso che quando inizi a viaggiare non hai più voglia di fermarti ed è questo il motivo principale. Diventa poi un circuito perverso perché non appena torni da un viaggio del genere inizi da subito a pensare alla prossima meta, cercando forse di trovarne una più simile a quella in cui sei stato. Speri di rivivere le stesse fortissime emozioni anche se poi ti rendi conto che ogni posto è completamente diverso da un altro con sfaccettature culturali uniche e irripetibili. E se proprio queste a costituirne la vera bellezza. Voglia di scoprire, di scoprirmi in altre situazioni ed in altri luoghi”. Ed è con questa voglia che Luca, tornato in Italia lo scorso 9 dicembre, si è rimesso subito sui libri e, con la mente impegnata tra un esame e l’altro all’Università, non ha comunque esitato nel pensare e progettare il prossimo viaggio, la prossima avventura. Perché in fondo è giusto così: finito un viaggio ne inizia un altro. E in questo eterno ricominciare, come direbbe lo scrittore statunitense John Steinbeck, “Le persone non fanno i viaggi, ma sono i viaggi a fare le persone”.