Nei giorni scorsi gli archeospeleologi della cooperativa Parsifal sono tornati nel sottosuolo di San Salvo per un importante lavoro all’interno dell’acquedotto romano ipogeo, uno dei beni archeologici che costituiscono il Parco Archeologico del Quadrilatero realizzato negli anni passati in stretta collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo. Fabio Sasso e Marco Rapino, che nello scorso mese di aprile avevano effettuato un’importante sopralluogo, sono scesi sotto piazza San Vitale per rimuovere un crollo verificatosi al suo interno e ripristinare il normale scorrimento delle acque.
La fase delle esplorazioni (l’articolo)
“È ormai risaputo che l’acquedotto romano, scoperto da un punto di vista archeologico nel 2001, continua ad essere perfettamente funzionante e ad alimentare la Fontana Vecchia: è costituito da un condotto sotterraneo, che si trova, nella sua parte finale, a circa 10 metri sotto l’attuale Piazza San Vitale, e da una serie di pozzi verticali (più propriamente “luci”) che collegano il condotto alla superficie e che i romani realizzavano per costruire il condotto, e poi utilizzavano per curarne la pulizia e la manutenzione. Fino ad oggi sono stati esplorati circa 130 metri di condotto ed individuati 4 pozzi, tre dei quali riaperti dall’alto (P1, P2 e P4)”.
L’obiettivo delle indagini promosse dall’amministrazione comunale di San Salvo, con l’interessamento in prima persona dell’assessore Giovanni Artese, è “quello di preservare l’acquedotto da eventuali futuri danneggiamenti che potrebbero essere disastrosi, e non solo per la perdita di un prezioso manufatto archeologico”. Come sottolinea l’archeologo Davide Aquilano, “una eventuale interruzione traumatica del normale funzionamento dell’acquedotto causerebbe il riversarsi nel sottosuolo di grandi quantità d’acqua con gravi conseguenze per gli edifici, le infrastrutture viarie, l’assetto idrogeologico in generale e quindi l’incolumità dei cittadini”.
Per raggiungere tale obiettivo è necessario capire dove passa l’acquedotto non ancora esplorato (si può stimare che debbano essere ancora individuati almeno una ventina di “pozzi”), onde evitare di ferirlo durante la realizzazione di opere di edificazione e/o urbanizzazione che prevedano lavori di scavo nel sottosuolo e monitorare il suo stato di salute interno e prevedere interventi di manutenzione e restauro ove questi si rendessero necessari.
L’intervento di rimozione del crollo (individuato nello scorso gennaio nel condotto tra i “pozzi” 2 e 3) eseguito nei giorni scorsi dagli archeospeleologi Marco Rapino e Fabio Sasso, assistiti in superficie da Patrizia Ciccotosto, ha portato anche al recupero di tre tegoloni, tutti con doppio bollo di fabbrica, che andranno ad arricchire il Museo Civico Porta della Terra. È stato inoltre possibile acquisire nuovi interessanti dati archeologici relativi alle tecniche di costruzione del condotto e del pozzo 3.