Il libro – L’autore racconta il suo libro: “Una voce in capitolo narra la storia dell’Iran dalla fine dell’Ottocento all’insediamento del regime islamico di Khomeini sino ai giorni nostri: circa centovent’anni di storia che ripercorrono dalle origini la lotta degli iraniani per la democrazia, nella realtà mai conseguita. Un percorso segnato da discontinuità e da periodi di grandi slanci, frenati e ricacciati nell’ombra da rinnovate forme di tirannia.
Per raccontare la complessa situazione dell’Iran di oggi è necessario iniziare almeno dalla storia di fine Ottocento di questo antico paese. Il corso per la democrazia in Iran, che continua tuttora, ebbe il suo abbrivio proprio in quel periodo.
Il libro si apre con uno sguardo d’insieme sulla struttura sociale, economica e politica della Persia di fine Ottocento che, con la nascita del movimento del risveglio, spiega la prima, seppur timida, partecipazione della popolazione alla vita politica del paese che si realizza nella rivoluzione costituzionale del 1906.
Così la Persia arriva ad avere una Costituzione, un Parlamento e un primo
corpus di leggi scritte con cui tenta di liberarsi dalle “consuetudini e sentenze religiose”. Il
Parlamento rimane però debole e soggetto alle manipolazione dei potentati interni e degli interessi
dei paesi stranieri, Inghilterra e Russia. Il movimento costituzionalista, guidato dal connubio tra
religiosi e mercanti, è bloccato anche dalla saturazione del suo stesso gruppo dirigente che, una
volta all’apice del successo, si accorda col potere e ne acquista i privilegi. Nella seconda decade del
Novecento arriva il turno di Reza Khan, fondatore dell’ultima dinastia persiana, quella dei Pahlavi.
Reza Khan, un militare dalla forte personalità, spinge la Persia verso la modernità, cambiando
perfino il nome del paese. Uomo di polso, contemporaneo di Atatürk e Mussolini, arrivato al potere
con il favore delle potenze coloniali, esce di scena quando sviluppa una simpatia troppo zelante
verso il terzo Reich. Il suo successore, il figlio Mohammad Reza, dalla fragile personalità, non
coglie la spinta di democratizzazione del paese lanciata dal premier Mossadeg. Lo sciah della Persia
cede alle pressioni esterne ed “acconsente” ad un colpo di stato contro il governo di Mossadeg,
soffocando le istanze democratiche della popolazione. Caduto il governo popolare di Mossadeg, lo
sciah spinge il paese verso un regime dittatoriale, estirpando ogni forza politica. Con la sua
“rivoluzione bianca” trasforma la struttura sociale dell’Iran e attraverso la Savak, la polizia segreta,
estende il suo controllo dispotico in ogni angolo del paese, creando scontento. Durante gli anni
Sessanta e Settanta la storia dell’Iran è segnata dal terrore del regime dello sciah che porta ad una
chiusura politica e civile pressoché totale. La dittatura poliziesca e militare fa terra bruciata nel
tessuto politico e le uniche forze che agiscono sono i gruppi armati clandestini. Quando nel 1978 lo
sciah, avvertito dalla rivolta popolare, decide di interloquire con personalità politiche al di fuori del
suo regime, trova il vuoto. Nel momento in cui la rivolta si avvia verso un destino irreversibile, la
guida della rivoluzione passa nelle mani di Khomeini. L’ayatollah Khomeini, che nei primi
sessant’anni della sua vita non aveva mai contrastato il sistema dittatoriale dello sciah e solo nel 1963 aveva reagito contro la concessione di voto alle donne, assurge alla leadership della
rivoluzione, cambiando il destino dell’Iran e del mondo.
Nel libro si descrivono e si analizzano, partendo da lontano, le radici degli eventi che hanno
consentito a Khomeini la presa del potere: il compito degli ultimi capitoli è di raccontare quasi
giorno dopo giorno la caduta dell’ultimo sciah in Iran e l’arrivo di Khomeini al potere che darà vita
ad un regime di dittatura assoluta ancora in piedi. Il vecchio ayatollah, dall’insediamento della
repubblica islamica all’islamizzazione forzata della società iraniana, trascina il paese
nell’oscurantismo sotto gli occhi increduli della popolazione che nutriva altre aspettative nella sua
poderosa rivoluzione. Dopo la sua morte, la situazione dell’Iran si è ancora più complicata e con alti
e bassi le relazioni internazionali si trascinano verso un’impasse. Il vestito cucito su misura del
fondatore dell’innaturale regime del velayat-e faghih non calza agli uomini del sistema di potere che
si avvicendano e che contribuiscono alla confusione.
Una voce in capitolo è uno sguardo dal basso sul processo ancora aperto verso la democrazia in
Iran. L’esigenza di rileggere la storia recente del popolo dell’Iran nasce dal bisogno di comprendere
il movimento per il cambiamento, tuttora in corso in Iran. Le analisi sull’Iran contemporaneo spesso
risultano parziali o eccessivamente mutevoli in base alle diverse convenienze. Il rischio di perdersi
nei meandri della complessa storia di un popolo antico come quello dell’Iran è in agguato, ma resta
sempre vivo lo stimolo di saperne di più su questo paese.
L’autore, testimone ed in contatto con molti protagonisti degli eventi, ha presente le difficoltà di
comprensione della complicata realtà iraniana e dell’integralismo islamico. Egli rifugge dalle
semplificazioni fuorvianti e dall’omologazione delle analisi sulle recenti vicende dell’Iran: con un
lavoro di decantazione attraverso i fatti narrati tenta di spiegare il perché di quegli eventi. Non
ricerca una visione originale ad ogni costo, ma concentra i suoi studi sui fatti poco noti soprattutto
ad un pubblico occidentale, rimanendo sempre strettamente ancorato alla realtà storica. Trattandosi
di una realtà complessa, ha cercato di soppesare ogni parola usata, lavoro non facile perché
sull’argomento i termini hanno acquisito significati non univoci. Il libro si basa sui fatti e parla ad
un lettore europeo, in particolare italiano: pone una serie di domande e si auspica di suscitarne altre.
Una Voce in capitolo disarma l’ambiguo concetto di “esportazione della democrazia” e offre gli
strumenti per comprendere che l’integralismo islamico, che fa vittime soprattutto tra i mussulmani,
si affronta con le armi dello stesso Islam.
Mohammad Reza Shah voleva modernizzare ed occidentalizzare l’Iran? Ha senso parlare di
occidentalizzare un paese con una cultura plurimillenaria? È corretto considerare il regime islamico
una conseguenza della dittatura monarchica? La rivoluzione antimonarchica del 1978/79 era
islamica? Qual era il legame dei religiosi con la società iraniana? Chi è l’ayatollah Khomeini?
Quale esito avrà il braccio di ferro dell’Iran sul nucleare? Il nuovo presidente della Repubblica
islamica potrà cambiare la natura del regime? La questione iraniana ha una soluzione? Sono
domande che ogni iraniano di buon senso si è posto molte volte e a cui ha cercato di trovare
risposta”.
L’autore – Esmail Mohades nasce a Teheran il 23 agosto 1957. Frequenta gli studi liceali in Iran. Tra il ’78 e il ’79 partecipa, insieme a milioni di iraniani, al movimento di protesta contro la dittatura dello sciah. Dopo l’insediamento del regime islamico si reca in Italia dove e si laurea in ingegneria
all’Università degli Studi di L’Aquila. Vive e lavora in Italia. Scrive articoli in italiano e lingua farsi
(persiano) sull’Iran e sul Medioriente, che si possono reperire anche sui siti web, e traduce testi dal
persiano all’italiano. Sin dagli inizi degli anni Ottanta svolge le sue attività in difesa dei diritti
umani e per l’instaurazione della democrazia in Iran.