Alla festa dell’Unità di Vasto è stato presente il professor Marcello Ravveduto, editorialista de L’Espresso, docente universitario e giornalista per Fanpage.it. Il suo libro “Riformismo mancato” ha dato lo spunto per un dibatto per un paragone tra gli anni ’60 (il libro parla del periodo post ’63) e i nostri tempi.
Il libro analizza un periodo ben preciso, facendo emergere una sorte di paragone con quanto accade oggi. È da questo confronto che possono emergere delle risposte?
Mentre quella classe politica doveva attrezzare una risposta alla fortissima crescita economica del Paese, oggi la classe politica deve dare una risposta alla decrescita economica che c’è in Italia. Sono periodi uguali, perchè ci sono dei momenti di passaggio e in tutti i momenti di passaggio è determinante avere una classe dirigente che abbia ben chiari gli obiettivi che deve perseguire. Ma se dovessimo parlare dei temi diciamo che all’epoca avevamo un’Italia che si faceva forza, uno degli slogan era “l’Italia è giovane, l’Italia piace”, oggi diciamo esattamente l’opposto, la classe dirigente dovrebbe accorgersi che l’Italia è vecchia e non piace più.
È stato presente al primo incontro della festa dell’unità che si è svolta proprio nei giorni in cui il giornale l’Unità ha chiuso. Per molti questa coincidenza è stata fonte di ironia.
In effeti è parte dell’ironia della sorte. Però molto bello che questa festa si chiami festa dell’unità e non festa democratica. Qualche settimana fa ho partecipato alla festa dell’unità a Pomigliano d’Arco. Questa parola richiama la necessità di ridare priorità al lavoro, questo è quello che ha spinto il Pd di Pomigliano a chiamarla così: la centralità del lavoro, ma soprattutto la centralità della coscienza che la ricrescita di questo paese passa attraverso la capacità di combattere la disoccupazione, soprattutto la lunga disoccupazione a cui sono state destinate almeno due generazioni di questo Paese.
La drammaticità del problema occupazionale in questo territorio ha nella ex Golden Lady di Gissi un esempio emblematico.
C’è una Golden Lady per ogni provincia d’Italia. Tutto il vecchio apparato industriale, costruito negli anni ’60 e poi anche nelo sviluppo anni 80, legato al made in Italy, ai servizi, alla distrettualità, è andato in crisi per due motivi: innanzitutto perchè è cambiato il mercato e non hanno innovato, poi perchè erano false imprese. Molto probabilmente erano sovvenzionate ma, senza sovvenzioni statali o commesse pubbliche non erano in grado di sopravvivere. O, addirittura, c’è l’incapacità di fare gli imprenditori.
Nella sua attività studia l’evoluzione delle mafie. In Abruzzo è sempre vivo il dibattito su quanto ci sia presenza delle mafie. Lei come la vede?
Le mafie non si vedono più dal numero di morti ammazzati ma dal numero di beni confiscati che ci sono in una Regione. Se in Abruzzo il numero dei beni confiscati cresce significa che le mafie hanno investito anche in Abruzzo. Ma le mafie hanno sicuramente investito anche in questa regione perchè è stato al centro di finanziamenti straordinari da parte dello Stato, sia per eventi luttuosi, ma anche per appalti pubblici, per la ristrutturazione di infrastrutture. A chi dice “noi non abbiamo niente a che fare con la mafia” bisognerebbe rispondere che la mafia è anche ad Aosta, che è un posto così splendido, placido, pieno di verde. Quindi è impossibile che tra l’Emilia Romagna, al nord, penetrata dalla ‘ndrangheta, e il Lazio dove le ultime cronache hanno fatto vedere come la camorra abbia la gestione di molte attività commerciali, si possa essere immuni. C’erano i casalesi nel post terremoto, ci sono investimenti di mafie straniere attraverso elementi autoctoni che fanno da prestanome, ci sono decine di altre cose. E poi le mafie ci sono ovunque c’è la droga e questa c’è dappertutto per un motivo semplice: oggi la droga è la cocaina, che è la droga degli insospettabili. Quindi bisogna tenere alta la guardia e combatterla con tutti gli strumenti a disposizione.