Andrea Manzone, 26 anni, sansalvese. Venerdì 27 giugno, alle 18.30 nella cattedrale di San Giustino a Chieti, sarà ordinato sacerdote da monsignor Bruno Forte. Poi, a settembre, prenderà servizio a Roccascalegna come parroco. Lo abbiamo incontrato alla vigilia della sua ordinazione.
Venerdì sarà momento molto importante della tua vita. Come stati vivendo questi ultimi giorni?
Sono giorni pieni di cose da fare, ma sono anche molto rilassato ed emozionato. Ho cercato di prepararmi bene ma non tanto al giorno dell’ordinazione, perchè poi quello passa, quanto a quello che verrà dopo.
Dove nasce la tua vocazione?
Tutto nasce nella “mente di Dio”, la mia storia non è quella di chi da bambino ha già deciso di voler diventare sacerdote. Anzi, io nella mia vita volevo fare tutt’altro. Poi una serie di fatti, di incontri che mi hanno fatto scoprire il Signore, mi hanno fatto porre la domanda “Cosa posso fare per te?”. La risposta è stata nella scelta che poi ho fatto.
Chi ti è stato più vicino quando hai dovuto dare concretezza alla scelta che volevi fare?
Nella prima fase è stata sicuramente preziosa la comunità parrocchiale di San Giuseppe, iniziando dal mio parroco, Don Raimondo Artese, ma poi tutta la parrocchia, le famiglie, i ragazzi che ho incontrato come educatore dell’Azione Cattolica. Tutto questo ha contribuito al mio discernimento. E poi il centro diocesano vocazionale, guidato da Don Domenico Spagnoli, che mi ha aiutato e indirizzato, l’arcivescovo, che mi ha seguito passo passo durante tutto il cammino, e il Seminario regionale di Chieti, che è stata la mia casa.
La scelta del sacerdozio, in un mondo che si dirige sempre più verso il laicismo, può essere considerata in controtendenza. Tu come hai vissuto questo cammino?
Se è vero che sempre meno persone scelgono questa strada possono esserci due motivi: uno naturale, perché nascono sempre meno bambini. In uno studio è stato rilevato come la percentuale delle ordinazioni di oggi è la stessa degli anni ’60. Il secondo è che forse siamo meno abituati ad ascoltare gli altri e ancor di meno il Signore, la cui voce è molto silenziosa, che non cerca di prevaricare ed agisce con rispetto. Bisogna sforzarsi di ascoltarlo, è difficile, ma lui continua a chiamare. In queste settimane che precedono l’ordinazione capita che qualcuno mi faccia dei complimenti. Mi dicono “hai fatto la scelta migliore, hai intrapreso la strada più bella”, come se fosse un traguardo. Io dico che quella sacerdotale è una vita bella perchè è testimoniata da molti preti che operano fedelmente con gioia, che segnano la vita delle persone anche nel silenzio, nel rispetto. Anche questo è un segno di servizio anche se probabilmente un giorno verranno anche dimenticati. In questo è una vita coraggiosa. Si vive poveramente, non affidandosi ai bene materiali, nell’obbedienza, ed è la cosa più difficile e nella castità, nel senso che si deve avere un cuore indiviso con il Signore. Qualcuno dice che il prete ama tutti e quindi non ama nessuno, ma la sfida del celibato e della castità, che la Chiesa custodisce come un tesoro, è quella di non legarsi ad una persona per amare e donarsi a tutti, per avere tempo senza ferie e riposi verso tutti.
Negli ultimi anni la Chiesa è stata spesso oggetto di feroci critiche. Avverti qualche preoccupazione nel diventare sacerdote?
Nel mio cammino, dopo la conversione al Signore, la seconda è stata quella alla Chiesa. Ho avuto una bella esperienza con la Chiesa, come famiglia che ti accoglie, un popolo in cammino, visto come un gruppo di persone variegate, in via di perfezionamento, chi vive veramente la Chiesa sa che non è arrivato. Il rischio che corriamo è quello che la gente consideri la Chiesa come un partito politico, o un qualcosa di puramente umano. Chi crede in questa istituzione sa che ha anche un carattere divino e quindi quando credo nella Chiesa non credo nelle persone, nei singoli componenti, che nella loro vita possono sbagliare, come è accaduto in diverse circostanze, ma credo in colui che l’ha creata, che la guida, che è fedele e non la lascia mai sola. Mi piace citare il proverbio dell’albero che cade che fa più rumore della foresta che cresce. Siamo stati sbattuti sulle prime pagine dei giornali per preti che compiono cattive azioni ma ce ne sono molti altri che lavorano e che non si fanno pubblicità. La Chiesa, inoltre, ha una dimensione orizzontale, perché è universale, e verticale, ne fanno parte anche i Santi. Se devo scegliere un modello direi proprio che scelgo loro.
Che reazione hai avuto quando l’Arcivescovo ti ha comunicato che saresti diventato parroco di Roccascalegna?
Mi ha colto un po’ di sorpresa. In questi anni ho girato molto per i paesi, posso dire di conoscere quasi tutta la diocesi di Chieti-Vasto, poi grazie al mio modo di fare riesco a conoscere e legare con tante persone. E invece uno dei pochi paesi in cui non conoscevo nessuno e in cui ero stato una sola volta era proprio Roccascalegna. Perciò, quando mi comunicò questa decisione, non avevo neanche un’immagine di quel paese. Le domande che spesso vengono rivolte sono “Quanti abitanti fa?”, “Ci sono i ragazzi?”, come se fossero quelle le uniche cose di cui preoccuparsi. Invece, bisogna tener conto che è necessario portare avanti l’intero popolo cristiano verso il Signore, ognuno ha una sua importanza, perché agli occhi di Dio non si fanno differenze. E devo dire che sono stato già accolto molto bene “virtualmente”.
In questi anni hai spesso seguito monsignor Forte. Che rapporto si è creato con lui?
Al quarto anno di teologia c’è l’abitudine di accompagnarlo nelle sue attività per tutti i fine settimana dell’anno. All’inizio c’è un po’ di soggezione, poi ti rendi conto che è una persona normale. È stato molto bello poterlo seguire da vicino nella sua azione pastorale e lui ha seguito da vicino il mio percorso di formazione.
Pensi che il tuo essere un giovane sacerdote, con una lunga esperienza come educatore, possa essere di aiuto per avvicinare i giovani alla Chiesa?
L’esperienza dimostra che l’età conta relativamente. Andando in giro tanti preti anziani attraggono i giovani, sull’esempio della loro vita povera e fedele. Ci sono state molte persone che mi hanno detto “verrò a confessarmi solo quando sarai prete tu”. Questo dimostra come oggi la figura umana, l’apparenza siano decisivi. In realtà il desiderio è quello di avere a che fare con persone che conosciamo, amiche. Il prete deve continuare a stringere delle relazioni umane, non rivestirsi di un ruolo superiore ma essere al pari con la gente. Questo può essere un modo per avvicinarsi a Dio. D’altra parte, però, c’è il rischio di creare dei fuochi di paglia, nel senso che si è portati a pensare che con i preti giovani vada bene tutto. Io non devo portare le persone a me, cerco di portarle a Dio. Noi siamo un dito puntato verso la luna, è sciocco colui che si ferma a guardare il dito.
Diventando sacerdote ci saranno anche nuovi aspetti della vita quotidiana da affrontare. Sei preoccupato?
Mi spaventa un po’ la burocrazia da dover portare avanti. Sulle omelie sono già un po’ ferrato perché nel corso dell’esperienza pastorale di questi ultimi due anni a Cupello, Don Nicola Florio mi ha già lasciato predicare, visto che il diacono può già farlo. Non mi preoccupo di dover parlare davanti a tante persone perchè sono molto spigliato, sono stato tanti anni con i ragazzi, ero nel gruppo del teatro dialettale.
Dopo l’ordinazione in cattedrale a Chieti celebrerai tre messe in tre diverse comunità.
Sarò a San Salvo (domenica 29 giugno alle 19). dove c’è la mia comunità di origine, nella parrocchia di San Lorenzo a Vasto (domenica 6 luglio alle 10.30), perché mia mamma è di quella parrocchia e io sono cresciuto anche lì, e a Cupello, nella parrocchia della Natività di Maria Santissima (6 luglio alle 18.30). Poi ci saranno diverse feste patronali nei paesi della diocesi in cui sono stato ordinato e, verso la fine di agosto, andrò a Roccascalegna, dove la nomina a parroco partirà dal primo settembre.
Quando durante la cerimonia dell’ordinazione sarai steso a terra, durante le litanie, oltre a vivere intensamente il momento quali saranno le persone a cui rivolgere il tuo pensiero?
Sicuramente la mia famiglia, che è nel mio cuore. Poi alcune situazioni con cui sono entrato in contatto, di particolare sofferenza o complessità, i seminaristi, perché hanno bisogno della preghiera in momenti così intensi. Durante la celebrazione, però, chiederò al Signore tre favori, perché come diceva Don Bosco, quando il diacono è steso a terra, può chiedere una cosa al Signore che la concederà sicuramente. Ecco, ci sono delle cose importanti che ho nel cuore e a cui penserò in quei momenti. Poi sono tante le persone da ringraziare perchè mi sono state e mi sono vicine, fare degli elenchi rischia di lasciar fuori qualcuno quindi affido tutti a Dio.