Antonio Mancini ha 66 anni, 56 dei quali trascorsi a lavorare nell’edilizia, prima a Vasto, poi in Australia per 22 anni, ora ancora nella sua città natale. Ha girato il mondo per lavorare e vedere posti diversi, sempre con entusiasmo, mai senza spirito di sacrificio.
“Iniziai a fare il muratore a 10 anni, prima a Vasto, poi a Pescara”, comincia a raccontare. “Ma a 18 anni decisi di emigrare in Australia perché volevo provare a guadagnare qualcosa in più ed ero curioso di vedere cosa ci fosse dall’altra parte del mondo”.
Il suo viaggio durò quattro settimane, dall’8 maggio al 3 giugno 1966. Salpata da Napoli, “la nave fece scalo a Gibilterra, Tenerife, Città del Capo fino ad approdare a Fremantle. Per me, quella lunghissima traversata fu un patimento, perché io soffro terribilmente di mal di mare e, quindi, arrivai distrutto in Australia. Ci misi un po’ di tempo ad ambientarmi. All’inizio, se avessi avuto i soldi, sarei ripartito immediatamente per tornarmene a casa. Poi, però, superata la prima fase di ambientamento, l’Australia cominciò a piacermi davvero. Per lavorare, mi ero spostato 3mila miglia a Nord, nel centro del continente, dove faceva caldissimo: la temperatura raggiungeva i 52 gradi. Si lavorava tanto, ma si guadagnava anche bene”.
Superate le prime difficoltà, le cose andavano bene. Antonio tornò per la prima volta a Vasto solo 9 anni dopo. Era il 1975. “Venni a sposarmi nella chiesa di Stella Maris, alla marina, con mia moglie Helen, originaria di Singapore e conosciuta in Australia. Qui celebrammo il rito religioso, mentre il matrimonio civile lo facemmo a Perth”.
“Il lavoro era molto duro. L’Australia non ti regala niente, devi lavorare sodo. Avevo una mia impresa, fondata due anni dopo il mio arrivo, in cui eravamo in tre e lavoravamo 10 ore al giorno in subappalto per una grande società, la Watkins, che si occupava di costruire case per gli aborigeni: quando veniva scoperta una miniera, i villaggi dei nativi venivano spostati, costruendo nuovi centri abitati con case e infrastrutture. Le miniere di black opal erano città sotterranee in cui si poteva rimanere una settimana, e anche più, prima di riemergere sulla superficie terrestre. Si lavorava molto e nel tempo libero c’erano gli svaghi di una vita normalissima, che potevano condurre tutti, indipendentemente dall’età. L’età è un fattore che da noi conta troppo. Lì, invece, ho conosciuto persone che avevano superato i 90 anni e continuavano a vivere intensamente la loro vita, lavorando e coltivando le loro passioni”.
Trascorsero altri 13 anni. Antonio Mancini dice di non aver “mai sentito la nostalgia, se si escludono i primi mesi”. Eppure, sul finire, decise di ritrasferirsi nella sua città natale. “Mia figlia Lucia aveva 6 anni. A Vasto avevo i miei familiari e presi la decisione di tornare. Ho ritrovato una città cresciuta, in cui ho investito i miei risparmi, anche se in Italia si lavora meno e si guadagna molto meno. Vista l’attuale situazione di crisi, tante volte mi chiedo se ho fatto bene a tornare. E sinceramente dico che, se non avessi legami, me ne andrei di nuovo in Australia. E di corsa. Qui pago le tasse, ma non ricevo nulla. Lì si pagano meno imposte, ma i servizi sono efficienti”.
Un consiglio ai giovani: “A loro dico questo: andate in Australia, se avete una grande forza di volontà sorretta da una notevole forza fisica”.
Chi, come Antonio, lavora nel settore edile, non può non rispondere a una domanda sull’espansione edilizia che tante polemiche da anni suscita a Vasto, dove gli alloggi vuoti sono circa 4mila. “Prima bisognava recuperare il centro storico e poi espandersi. Invece, la città antica è abbandonata al degrado. Più in generale, bisogna cambiare mentalità: servono buona collaborazione e senso civico dei cittadini, ma anche più efficienza della pubblica amministrazione”.