Dai santi dipinti per le feste a cinque anni sui cassoni dei carri agricoli fatti da papà in piazza Dante a Cupello, alle splendide opere d’arte apprezzate oggi in Italia e all’estero. E’ lunga più di 70 anni la favola di Carlo Alberto Di Stefano, classe ’36, cupellese doc trapiantato a Vasto, dove per 35 anni ha insegnato all’Istituto d’Arte. Al pianterreno della sua bella casa-studio di via Colli tutto parla di pittura e di scultura, le passioni del maestro.
“E’ così – confida – me ne sono innamorato prestissimo, proprio grazie a papà Nicola, valente artigiano, che rapito osservavo al lavoro. Da lui coglievo ogni particolare, dall’intaglio del legno fino agli altri lavori manuali”. Il tocco di Carlo Alberto Di Stefano lo trovi dappertutto a Vasto, dalla gigantesca pietra in quarzo modellata all’ingresso della villa comunale, dono della città gemellata di Perth, ai monumenti a Don Bosco e San Domenico Savio. La stessa chiesa dei salesiani l’ha rivisitata lui. “Ora – dice – mi sto per dedicare al portale in bronzo della chiesa del Santissimo nome di Maria al Foro Traiano a Roma, opera che mi assorbirà quest’estate”.
E’ un fiume in piena, Di Stefano, che al cronista affida uno spaccato di vita e frammenti di storia: “Già, la guerra – conferma sospirando – quel secondo conflitto mondiale che a Cupello ha seminato devastazione e lutti. I bombardamenti alleati del 2 e 3 novembre ’43 chi se li dimentica, le bombe che mi cadevano attorno, mio nonno rimasto ucciso, ma anche i soldati indiani e pachistani col turbante in testa, dei colossi, che dalle cucine da campo ci distribuivano pane e cioccolata a tutte le ore”. Sono lampi quei ricordi ancora vivi nella memoria dell’artista, ti accorgi che vorrebbe parlarne d’un fiato: “Gli alleati rifecero di sana pianta un pezzo di statale 86, ma prima le pietre le facevano spaccare a martellate dai cupellesi, che però ricevevano per questo una paga”.
L’arte, maestro, parliamo d’arte: “Tutto nasce da quei mattoni venduti da D’Annunzio a Vasto, la ferramenta di corso Italia. Era con quelli che si ottenevano i colori. Una volta comprati bisognava sbriciolarli, grattugiarli e poi mescolarli all’olio di lino. L’impasto ottenuto, ammoniva mio padre, doveva fare il filo scivolando dal pennello per essere perfetto. E per conservare i colori, poi, usavo le scatolette di carne o di fagioli dei soldati”. Un talento innato per la pittura e il disegno, quello di Di Stefano, di cui si accorse presto anche la maestra: “E’ vero – sorride – si chiamava Gilda La Vacca, veniva da fuori. I libri di scuola erano minuscoli, le cartine piccole e in bianco e nero. Io avevo il compito di disegnare sulla sabbia, ingrandendolo, il profilo delle regioni d’Italia. Facevo persino i rilievi in corrispondenza di monti e colline”.
Poi le medie, il Magistrale a Vasto “non volevo e mi fermai al quarto, detestavo le versioni dall’italiano al latino, ma in matematica l’ingegner Piccirilli mi metteva 10 perché risolvevo i teoremi a modo mio: sì, diceva, col metodo Di Stefano. E poi le gite in campagna con zio Antonio, che dipingeva anche lui, ma, sotto sotto, sentiva che ero più bravo di lui. Una volta sbuffava perché non riusciva a completare il ritratto della suocera: dal volto non veniva fuori il sorriso e io, con due rapidi tocchi di nero sulle labbra, aggiustai tutto. Quel ritratto se lo sono litigato a lungo in famiglia”.
La svolta, tuttavia, arriva quando Carlo Alberto, già ventenne, si trasferisce al Liceo Artistico a Pescara dove si diploma: “La figura, il disegno dal vero, l’armoniosità delle forme – afferma Di Stefano – li devo a un docente che mi si mise alle calcagna per tre mesi. Quasi ringhiava alle mie spalle se non rispettavo i dettami della tecnica e, ogni volta, mi strappava i fogli di mano se non li rispettavo. Fino a quando, soddisfatto, mi sorrise dicendomi: finalmente”. Sono migliaia le opere firmate da Di Stefano e la voglia di dipingere e scolpire è ancora quella dei primi giorni in campagna a tratteggiar paesaggi, tavolozza e cavalletto in mano, con zio Antonio.
Anche se un cruccio ce l’ha: “E’ vero – conclude tra i sospiri Carlo Alberto – vorrei mettere su una scuola d’arte accanto a casa, ma il progetto, così com’è, ancora non va bene per il Comune di Vasto. Mi pare di ripiombare negli anni ’60, quando, classificatomi secondo in città al concorso estemporaneo di pittura, sollevai l’invidia di qualche collega vastese. Andarono a protestare persino da Spataro e Gaspari per rifare le regole ed escludere gli… intrusi. Partecipazione, da allora in poi, solo su invito. Perché no – ci scherza su ora il professore – non poteva far meglio dei vastesi un vrettacchino come me, venuto da Cupello”.
Gianni Quagliarella