Una laurea in ingegneria edile e architettura appena conseguita e una tesi in via di pubblicazione: diventerà oggetto di studi il testo che ha brillantemente discusso il 28 marzo scorso.
Mario Fioriti il suo percorso di vita lo aveva ben chiaro fin da quando ha scelto l’indirizzo scolastico: “Ho studiato al Liceo scientifico Mattioli di Vasto. Mi è sempre piaciuto disegnare: facevo il compito di disegno anche per i miei compagni di classe. E poi disegnavo anche sul banco: facevo le caricature. Mi è sempre piaciuto affidare le idee alla matita”.
Perché hai scelto L’Aquila e ingegneria per i tuoi studi universitari?
“La sede universitaria l’ho decisa in una notte. Avevo comunque voglia di rimanere vicino a casa e alla mia ragazza, Ilenia. A conti fatti, dico che non avrei potuto fare scelta migliore, all’Aquila mi sono trovato sempre benissimo. Le Corbusier diceva: ‘L’architettura è un fatto di arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La costruzione è per tener su, l’Architettura è per commuovere’. Concretizzare le emozioni vuol dire vivere il territorio. Mi rendo conto che, nel passaggio dal mondo accademico al mondo reale, ci si debba scontrare con problemi concreti, ma non bisogna mai dimenticare il principio dell’abitare, la funzione sociale del nostro lavoro al servizio della comunità”.
Ora ti stai accostando al mondo del lavoro. Il tuo futuro è lontano dalle tue radici?
“Mi piacerebbe tanto restare qui e contribuire nei limiti delle mie capacità allo sviluppo di questo territorio”.
Per un giovane, è più facile andarsene o rimanere a Vasto?
“Sicuramente è più facile andarsene, con la speranza di ottenere altrove quello che qui non puoi avere. Ma, se tutti andiamo via, chi decide il futuro di questa città? Nessuno conosce il territorio più di chi lo abita. E’ più facile andarsene perché la nostra generazione non ha la possibilità di programmare il proprio futuro, ci sono più incognite che certezze. E’ questa la cosa più triste. Certo, anche andando fuori all’inizio hai tante speranze, ma poi bisogna vedere realmente quale percorso si intraprende, all’inizio bisogna accontentarsi”.
A Vasto cosa manca? E come si deve realizzare lo sviluppo in grado di arrestare l’emigrazione giovanile?
“A Vasto mancano i servizi pubblici. Faccio un esempio: non viene rispettata la legislazione che prevede i 18 metri quadri di verde pubblico per ogni abitante. Inoltre, ci sono pochi spazi di aggregazione. E i servizi esistenti sono spesso di qualità pessima. La sfida da affrontare è lo sviluppo turistico sostenibile. Una sfida da perseguire non in modo campanilistico dai singoli comuni, ma dall’intero Abruzzo, non a caso denominato la Regione verde d’Europa perché possiede in poco spazio una varietà paesaggistica unica. Ma non basta la semplice conservazione del bene natura, bisogna invece tutelare un sistema di beni inseriti in un contesto. E’ fondamentale la partecipazione dei singoli cittadini. Ad esempio, Vasto ha il problema delle discariche abusive. E’ necessario spingere i privati a bonificarle in cambio di incentivi, inducendo un processo di responsabilizzazione diretta del cittadino. Il senso civico è dei cittadini, non può essere delegato alle autorità politiche”.