Sono gli antichi muri della sala archeologica della Porta della Terra ad ospitare la presentazione delle nuove scoperte sull’acquedotto romano ipogeo di San Salvo. Sin dal 2001, quando venne scoperto l’ingresso nei pressi di Fontana Vecchia, l’attività degli archeologi della Cooperativa Parsifal ha permesso di esplorare un ampio tratto dell’acquedotto costruito dai romani nel III secolo d.C. e che, secondo i racconti degli anziani, parte dalla zona del cimitero. Ieri è stato presentato ai cittadini quanto scoperto in seguito alle ultime esplorazioni condotte da Marco Rapino e Fabio Sasso, che si sono calati dal pozzo numero 4, riaperto in piazza Papa Giovanni XXIII. “L’attività – ha spiegato l’assessore alla cultura Giovanni Artese – fa seguito allo studio di fattibilità redatto dall’ingegner Franco Masciulli e dal professor Davide Aquilano”. Un progetto che prevede una spesa di 240mila euro “che per un assessorato povero come quello alla cultura sono fuori portata. Ad oggi, per i primi lavori, sono stati trovati finanziamenti per 6700 euro, grazie a degli sponsor che hanno sostenuto questa attività”.
Davide Aquilano è partito dalle origini degli acquedotti romani. “Roma è potuta diventare una città quando è stata portata l’acqua da dove era potabile alle rive del Tevere. I romani hanno rotto quel cordone ombelicale che costringeva gli insediamenti umani nei pressi dell’acqua potabile, riproducendo lo stesso modello in tutto l’Impero. L’acquedotto è uno dei pilastri su cui si è fondata la civiltà romana”. La scoperta e l’esplorazione degli antichi acquedotti, oltre alla valenza storica ne ha una fondamentale di assetto idrogeologico. “L’acqua, se non regimentata, può fare danni enormi sottoterra”. L’importanza di queste realizzazioni, vere e proprie opere di ingegneria idraulica, è data dall’utilizzo che ne è stato fatto anche in tempi moderni. “Vasto fino al 1927 era alimentata dall’acquedotto romano delle Luci”.
È stato Marco Rapino, che insieme a Fabio Sasso ha ispezionato il condotto sotterraneo, a ripercorrere le tappe dal 2001 ad oggi. A dare il via fu l’allargamento di strada Fontana, che fece venire alla luce un’apertura ad arco. Gli archeologi Giuseppe Di Benedetto, Denis Pratesi e lo stesso Rapino, entrarono in quel cunicolo ed iniziarono l’esplorazione. Sono evidenti tre differenti tratti nella conduttura: uno assegnabile ad epoca moderna, uno medioevale e poi inizia quello romano, con i muri di contenimento laterali e la copertura con i tegoloni posti a cuspide. La risalita dell’acquedotto permise di scoprire in quegli anni i primi due pozzi. Il numero 2, la cui apertura si trova nell’attuale piazza San Vitale, il numero 1, con un’insolita pianta pentagonale, era stato chiuso e si trovava al di sotto di un’abitazione. Le nuove esplorazioni hanno permesso, non senza fatica, di arrivare al pozzo numero 3. Un percorso già compiuto nel 2002 da Rapino. “All’epoca ero sceso da solo e senza la strumentazione, potendo compiere il percorso senza problemi. Ora che ci siamo tornati abbiamo trovato un crollo a metà del percorso, cosa che ha complicato molto l’avanzamento”. Già in questi punti si notano mattoni diversi da quelli dell’epoca romana, l’evidente segno che nel corso degli anni l’acquedotto era utilizzato e di conseguenza soggetto a lavori di manutenzione.
Le ultime discese in ordine di tempo sono state quelle effettuate a fine marzo, dal pozzo numero 4. È stato necessario l’utilizzo del georadar per trovare l’apertura. Infatti, quando nel 1987 era stata ripavimentata piazza Papa Giovanni XXIII, il pozzo venne erroneamente valutato come il banale ingresso di una cisterna. Venne quindi chiuso e non fu neanche segnata la sua esatta posizione (tanto che per metà è finito sotto agli scalini del marciapiedi). Gli esperti della Parsifal, insieme agli operai comunali, hanno riaperto l’accesso al pozzo, compiendo poi la discesa esplorativa. Il lavoro dei due “esploratori”, non è stato certo semplice, con il cunicolo molto stretto che obbliga a muoversi carponi, spesso addirittura a strisciare, per poter avanzare. Durante le rilevazioni non è mancata qualche sorpresa. “A metà del tratto, tra il P4 e il P3, è presente una sorta di ampia camera. Dovremo studiarla bene per cercare di capire a cosa servisse. L’esplorazione ci ha fatto rilevare come in tempi molto recenti siano stati effettuati lavori di restauro sulla conduttura. La presenza sul soffitto e sul pavimento di mattoni moderni ne è la chiara prova”. Le indagini degli archeologi cercheranno di capire quando ci sono stati gli ultimi interventi nell’acquedotto. Il prossimo obiettivo sarà quello di trovare fondi per proseguire nell’esplorazione, partendo dagli studi possibili grazie al tracciato dell’ipotetico percorso dell’acquedotto. Sarà importante, poi, valorizzare e promuovere queste scoperte che danno testimonianza degli insediamenti di epoca romana, assieme agli altri reperti del parco archeologico del Quadrilatero.