“C’era da attendersi il pronto intervento di Renzi”, al fine di “evitare che D’Alfonso sia eletto e poi, in caso di condanna in secondo grado, costretto a dimettersi. Sarebbe il secondo governatore consecutivo del Pd a farlo per motivi penali, dopo Ottaviano Del Turco. Invece niente: Renzi tace e il Pd acconsente”. E’ dedicato al caso Abruzzo l’articolo di Marco Travaglio sul settimanale l’Espresso, in cui il vice direttore de Il Fatto Quotidiano cura da anni la rubrica Carta canta. Luciano D’Alfonso, vincitore delle primarie del centrosinistra, è stato assolto due volte primo grado per vicende risalenti agli anni in cui era sindaco di Pescara, ma sono in corso altri due processi, uno dinanzi al Tribunale, l’altro di secondo grado in Corte d’appello.
“Ed è davvero bizzarro – afferma il noto giornalista – perché la lista che sostiene D’Alfonso, Insieme Nuovo Abruzzo, ha messo nero su bianco nella Carta d’intenti per il cambiamento abruzzese che ‘la questione morale sarà un cardine della coalizione e del suo governo’, con tanto di Codice etico che recepisce la Carta di Pisa di Avviso pubblico per la trasparenza negli enti locali. Articolo 6: ‘In caso sia rinviato a giudizio per reati di corruzione… l’amministratore si impegna a dimettersi’. Essendo improbabile – scrive Travaglio – che i suoi processi si chiudano entro due mesi, D’Alfonso, se eletto, sarà un amministratore rinviato a giudizio per corruzione, truffa e falso. Dunque tenuto a dimettersi un minuto dopo la sua elezione”.
Quindi, “che aspetta il Pd a cambiare cavallo?” chiede Travaglio, che fa riferimento a una serie di vicende accertate da una delle due sentenze di assoluzione in primo grado e commenta: “Anche se fosse tutto lecito, non ritiene Renzi che un amministratore che vive a spese di un suo appaltatore crei qualche piccolo problema di opportunità politica? In alternativa, potrebbe gentilmente spiegare che deve fare di più un politico per essere inopportuno?”.
D’Alessandro: “Le liste non le fanno i magistrati” – “Un partito, il Pd, ed altri partiti, Sel e Idv, hanno fatto svolgere, in Abruzzo, le primarie per il candidato a presidente della Regione Abruzzo. Migliaia di cittadini si sono recati al seggio e hanno votato. Sapevano, i partiti, che uno dei candidati, Luciano D’Alfonso, si è sottoposto negli ultimi anni a diversi processi uscendone sempre assolto. Sapevano, i partiti, che sullo stesso potrebbero arrivare secondi e terzi giudizi di assoluzione o di condanna”. Lo afferma Davide D’Alessandro, consigliere comunale a Vasto, commentando l’articolo di Travaglio. “Sapevano, eppure hanno chiamato gli elettori alle urne. Ora, da diverse parti, si levano voci contrarie a questa candidatura per il pericolo, si dice, che una possibile futura condanna dell’eventuale presidente eletto possa far crollare l’ennesima Giunta Regionale. C’è anche un partito, Rifondazione, che aborre nettamente la candidatura D’Alfonso, scrivendo che le amicizie con gli imprenditori sono più pericolose delle frequentazioni con amanti in camere d’albergo. Ma il problema, siamo seri, non è Rifondazione. Il problema è la Cultura di questo Paese. Il problema è la Libertà. Il problema è la separazione dei poteri, svenduta dopo Mani pulite, con addosso il terrore del tintinnio delle manette. Ci sono state Giunte decapitate. Quando sono arrivate le assoluzioni, dopo anni, le Giunte non c’erano più, gli uomini arrestati non c’erano più, la politica non c’era più. Il problema è se le liste le debbano fare i partiti o i magistrati. Il problema è quando sia possibile ritenersi pulito e, quindi, candidabile. Per ritenersi pulito e, quindi, candidabile, bisogna attendere tre gradi di giudizio, anche se al primo si è sempre stati assolti? Oppure non bastano neanche tre gradi, perché un qualche impiccio, una nuova rivelazione potrebbero persino far riaprire il processo in qualsiasi tempo e periodo? Nel lungo periodo siamo tutti morti, diceva Keynes. Compreso il Pd. Posto che sia mai nato. Compreso il Diritto. Posto che sia stato sempre rispettato. La Cultura della paura, dell’impotenza, della spada di Damocle, della mannaia, della ghigliottina, è una Cultura di morte. Io sono per la vita e per la candidatura di chiunque, al momento della stessa, non abbia ricevuto condanna. Una volta si diceva che si era innocenti fino al terzo grado. Adesso, dopo il primo, se condannato, sei già morto. Lo abbiamo introiettato, ingoiato e digerito. Bene, anzi Male. Ma se sei stato assolto, vivaddio, no, non è giusto accettare la morte, farsi dare la morte. Sei vivo e candidabile”.