Proprio in questi giorni, è a Monaco per parlare di made in Italy in un meeting internazionale. Internazionale come lui, che in Italia è venuto nel 1970 a bordo di una nave russa approdata a Napoli, ha studiato ed è diventato un grande dirigente d’azienda. Si chiama Radwan Kawatmi, nel mondo imprenditoriale nazionale ed estero è conosciutissimo. Nei giorni scorsi, a Vasto ha raccontato la sua storia personale, intervenendo a un programma televisivo realizzato da Spettacolab, la società di produzione del vastese Vincenzo Scardapane.
Nato in Siria, ad Aleppo, città di quasi 2 milioni di abitanti, è venuto in Italia 44 anni fa, “dopo aver finito di studiare al liceo. Ebbi la possibilità di assistere agli scavi che riportarono alla luce l’antica città di Ebla. Uno dei professori era di Parma e mi parlava dell’Italia. E allora, finiti gli studi liceali, decisi di partire per la città emiliana per laurearmi in economia. Lì e in America ho terminato i miei studi. E mi sono definitivamente trasferito in Italia. Fui subito assunto dalla Indesit”, nota azienda produttrice di elettrodomestici, in cui “nel giro di cinque anni, arrivai al vertice della dirigenza. All’epoca, però, l’azienda era in amministrazione controllata”. E allora Kawatmi decise di puntare su un nuovo mercato, quello arabo, che conosceva bene. Un’intuizione che gli consentì di far guadagnare alla Indesit 52 miliardi di lire, ripianando i debiti. Il risanamento della società, che all’epoca aveva 18mila dipendenti, gli valse il Premio Made in Italy e la medaglia d’oro di Cavaliere del lavoro.
All’improvviso, “raggiunti gli obiettivi, mi chiamò il presidente della Indesit, che aveva in mano due buste: una contenente una notizia bella, l’altra una brutta novità. Nella seconda c’era la lettera con cui la società mi licenziava, nella prima un assegno con una cifra a tanti zeri: era un dono dell’azienda. Il presidente mi disse: ‘A trent’anni, vai a fare l’imprenditore’. E così feci. Rilevai una piccola azienda in difficoltà, riuscii a farla uscire dalla crisi e ad assumere 80 persone. Poi ne aprii un’altra in Giordania e un’altra in India. Tre anni fa, il governo francese, al termine di una trattativa, ci ha ceduto il marchio Thomson. Oggi nelle mie aziende ci sono italiani e stranieri, giudico le persone in base alle loro capacità. Un emigrante deve avere una marcia in più. Servono capacità e impegno. E gli stranieri, in media, sono pagati il 30% in meno rispetto agli italiani. Tutti i giorni sogno la mia città, ma qui ho seminato e raccolto; sono orgoglioso della mia cittadinanza italiana. Questo non è un Paese razzista, anche se oggi è più difficile, è cambiata la concezione dello straniero rispetto agli anni Settanta, quando eravamo solo 12mila. Ai giovani dico di credere in quello che fanno. Non puoi sempre aspettare che gli altri facciano per te. Tu devi fare per il tuo Paese. Sogno di vedere un’Italia che esca dalla turbolenza attuale e risolva i gravi problemi sociali non ancora affrontati”.