Diventa un caso politico nazionale la candidatura di Luciano D’Alfonso alla presidenza della Regione Abruzzo. La questione finirà sul tavolo del premier, Matteo Renzi, leader del Partito democratico. Domenica scorsa D’Alfonso ha vinto con un risultato largo (76%) le primarie: 42mila cittadini hanno votato nei seggi istituiti in tutta la regione, accordando la loro fiducia all’ex sindaco di Pescara.
Ma il voto degli elettori non può certo cancellare le regole interne del Pd: la carta di Pisa, infatti, impone le dimissioni a chi è rinviato a giudizio, come D’Alfonso, che deve ancora affrontare un processo d’appello.
“Valuterò con il mio partito il da farsi”, ha dichiarato il candidato del centrosinistra a Il Fatto Quotidiano. “Io non sono sottoposto a giudizio per la prima volta ma sono stato anche assolto e terrò conto di quello che determinerà il partito. Ribadisco però che c’è la carta di Pisa ma soprattutto il codice etico. Consapevole che arrivo da una assoluzione”.
Ma, intanto, Rifondazione comunista si sfila. Il segretario regionale, Marco Fars, e il consigliere regionale Maurizio Acerbo, tagliano i ponti con il Pd: “E’ tipicamente berlusconiano pensare che il voto delle primarie cancelli le questioni che rendono inopportuna la candidatura di Luciano D’Alfonso, tra cui ricordiamo quella non secondaria che un’eventuale condanna in appello riporterebbe al voto la Regione dopo pochi mesi. Il risultato delle primarie non modifica quindi il nostro giudizio sull’inopportunita’ della candidatura di Luciano D’Alfonso alla presidenza della Regione Abruzzo semmai lo rafforza. Non sosterremo questo centrosinistro (la o finale non e’ un errore ortografico) dato che e’ persino dubbio che possa essere qualificato un meno peggio: le relazioni di D’Alfonso con le imprese ci sembrano piu’ preoccupanti di quelle di Pagano e Chiodi con le amanti”.