Un lavoratore non può essere licenziato perché iscritto a un sindacato. E’ il principio ribadito dall’ordinanza con cui il giudice del lavoro del Tribunale di Vasto, Caterina Salusti, ha accolto il ricorso di Salvatore Rondinone, lavoratore 50enne licenziato, insieme ad altri cinque suoi colleghi, tutti iscritti ai Cobas, dall’Arkema srl, multinazionale statunitense che produce resine nella zona industriale della Val Sinello.
I guai per i lavoratori iniziano il 6 marzo 2013. Assunto nel 1996, Rondinone, che nel ricorso giudiziario predisposto dall’avvocato Carmine Di Risio fa riferimento anche a modifiche di mansioni e turnistica ritenute ritorsive nei suoi confronti, viene inserito nella lista dei sei operai destinati a perdere il lavoro. La riduzione di personale viene motivata con il “pesante calo delle vendite”, è scritto nella sentenza in cui il magistrato ricostruisce la videnda e le tesi sostenute dalle due parti in causa.
Il 19 giugno la società americana comunica ai sindacati la lista dei lavoratori collocati in mobilità.
Il 10 ottobre il legale di Rondinone deposita il ricorso presso il palazzo di giustizia di Vasto. Secondo il ricorrente, esistono due violazioni: la natura discriminatoria del licenziamento di natura sindacale e la mancata applicazione dei tre criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, previsti dalla legge numero 223 del 1991, ossia carichi di famiglia, anzianità di servizio ed esigenze tecnico-produttive e organizzative.
L’ordinanza – “Deve essere evidenziato – scrive il giudice nella sentenza – come, nel caso di specie, la procedura normativamente prevista sia stata totalmente disattesa” perché “nel momento in cui è stata attivata la procedura di consultazione sindacale”, “già era stato deciso chi sarebbe stato licenziato: in maniera assolutamente arbitraria e ancor prima di valutare se fosse stato possibile trovare soluzioni alternative, ancora prima di incontrare le rappresentanze sindacali e cercare mediazioni, erano stati individuati i lavoratori in esubero”. Ragion per cui “appare veramente singolare il fatto che siano stati licenziati solo i dipendenti legati ad una sigla sindacale, né, ancora una volta, la società datore di lavoro è stata in grado di fornire alcuna giustificazione logica”.
Per questi motivi, il magistrato ordina che l’operaio venga immediatamente reintegreato sul posto di lavoro e risarcito tramite il pagamento di tutti gli stipendi dal giorno del licenziamento. L’azienda, inoltre, dovrà pagare le spese legali, quantificate in 2mila 500 euro.
“Il giudice – commenta l’avvocato Di Risio – ha stabilito che quando non risultano chiari i criteri di scelta adottati dall’azienda vi è una chiara violazione delle disposizioni normative in materia di licenziamenti collettivi”.