Matteo Crisanti è un 25enne vastese con la passione per la cucina che nel tempo è diventata un vero e proprio lavoro. Dopo un lungo peregrinare tra Spagna, Irlanda, Inghilterra e Australia, oggi il giovane cuoco è titolare di un ristorante tutto suo situato nel centro storico della città.
L’Istituto Alberghiero di Villa Santa Maria nel 2003 è stata la tua prima tappa.
E’ una passione nata per caso, nessuno in famiglia ha avuto a che fare con la ristorazione. Mi sono iscritto a scuola e a 15 anni ho avuto l’opportunità di fare la prima esperienza lavorativa, uno stage estivo in un ristorante vastese, da quel momento in poi ho sempre lavorato in cucina. La scuola è stata importante in questo percorso, ho imparato molto anche grazie all’aiuto degli insegnanti.
Terminati gli studi sei subito volato in Spagna.
Nel 2008, a 18 anni, mi sono trasferito a Barcellona, non sapevo nemmeno se ero stato promosso, la scuola era finita da due giorni. Ho lavorato 8 mesi come cuoco in un ristorante a Casteldefels.
In seguito è stata la volta della Costa Smeralda.
Da maggio a settembre del 2009 sono rientrato in Italia per fare l’aiuto cuoco a Porto Cervo in Sardegna, in un ristorante a cinque stelle. Concluso quel periodo il richiamo dell’estero è stato forte e sono ripartito alla volta di Dublino dove per quasi un anno ho lavorato sia in un ristorante italiano che in uno inglese avendo l’opportunità di conoscere anche la cucina inglese, oltre che ovviamente la lingua.
A Dublino hai avuto una grande opportunità.
Sì, quella di lavorare in un ristorante con una stella Michelin di Heinz Beck, cuoco tedesco tra i più famosi al mondo e proprietario di 20 ristoranti. In seguito andato a Londra dove sono salito di livello e per un anno e mezzo sono stato in un ristorante nel centro di Londra.
Poi l’Australia dopo una nuova parentesi italiana.
Terminata quell’esperienza ho dato una mano per pochi mesi ad un amico ad aprire un ristorante a Campobasso. In seguito è stata la volta dell’Australia dove in compagnia di Ilaria, la mia fidanzata, ho girato tutta la nazione in camper, 8.500 chilometri in due mesi, da Sidney a Perth dove ho trovato impiego in un ristorante che faceva cucina australiana situato all’interno di un casinò. Anche a Sidney ho lavorato 4 mesi.
Infine il rientro a Vasto per l’apertura del tuo ristorante.
Scaduto il visto sono tornato, l’ho fatto per la famiglia e gli affetti, ma non dovevo tornare per forza. Casualmente ho trovato un locale in vendita e ho deciso di mettermi in proprio rilevando un’attività in centro che ha 107 anni di storia, anche se conoscevo poco Vasto lavorativamente parlando perché sono stato lontano quasi 10 anni.
Dopo queste esperienze come ti sei trovato a Vasto?
Ho notato che i ragazzi sono andati via, i commercianti della zona si lamentano, c’è poco movimento, bisognerebbe fare qualcosa per incentivare le persone a visitare il centro storico.
Sei soddisfatto di questa scelta?
Sì, la nostra è una cucina particolare, più o meno abbiamo una clientela al 40% vastese e al 60% che arriva da fuori, Marche e Puglia soprattutto. Grazie al passaparola e ad internet ci conoscono e fortunatamente tornano. Grazie anche a Francesco Paolo La Verghetta e la mia fidanzata Ilaria Villani che mi danno una grossa mano.
A chi ti ispiri?
Un po’ a tutti quelli gli chef con cui ho lavorato, fare esperienza nei ristoranti stellati ti fa puntare sempre al massimo. La cucina è tutta creatività, basta avere le basi. Da vastese però sono più portato per il pesce.
Il piatto che ti riesce meglio?
Più o meno tutto, me la cavo anche con i dolci, mi piace fare davvero tutto e lo faccio sempre con passione.
Qual è stata per te la soddisfazione maggiore fino a questo momento?
Avere a che fare con chef di altissimo livello in tutto il mondo e aprire un ristorante a 24 anni, per chi fa questo lavoro è il massimo.
L’insegnamento più importante che ha ricevuto dalla cucina?
Ad essere professionale, curato e puntuale. Inoltre ho sviluppato spirito di sacrificio e di adattamento, lavori quando gli altri sono in ferie e si divertono. In tutto questo la famiglia mi ha sempre dato una grande mano. La cucina è un ambiente duro, se hai 20 anni e fai più di uno più grande di te questo farà di tutto per ostacolarti, soprattutto se lavori in grandi ristoranti a contatto con grandi chef, per mettersi in luce.
Quale invece è l’aspetto più negativo del tuo lavoro?
Ho vissuto sempre nelle capitali, la più piccola è stata Dublino, se uno pensa a tutti questi viaggi che ho fatto immagina tanto divertimento, invece ho passato molte ore al giorno in cucina e ho avuto poco tempo per divertirmi. Sono sempre rinchiuso nelle quattro mura, in belle città dove non mi sono potuto godere molto la vita, in alcuni casi lavoravo dalle 7 alle 23. Questo lavoro ti deve piacere, devi avere la passione, se ti piace non lo vivi come tale, ma come un divertimento che ti soddisfa, per me è così.
Cosa deve saper fare un bravo chef per andare avanti?
Non abbattersi mai e provare sempre a puntare al massimo, non soffermarsi sulle banalità e viaggiare il più possibile, più si viaggia più si impara.
E’ vero che gli chef sono tutti un po’ “matti”?
Non dovresti chiedere a me, ma a chi lavora con me, è vero che in cucina non puoi distrarti mai, essere sempre attento, basta niente per rovinare tutto, in più siamo in varie persone per ore nello stesso posto, è naturale arrivare alcune volte a discutere. Quando si lavora ci vuole metodo e concertazione, non c’è tempo per pensare al resto.