“Il mare è il sangue che scorre nelle vene”. Credo non possa esserci frase migliore per rappresentare Antonio Natarelli, classe 1941. Definirlo armatore sarebbe dire poco, perchè ne ha fatti tanti nella sua vita. Ma tutti con una cosa in comune, il mare. Sin da quando era piccolo e i suoi genitori non volevano che facesse il marinaio. La sua tenacia gli ha dato ragione, visto che se oggi pensi ai pescherecci della flottiglia vastese non puoi non pensare ai Natarelli. Luogo dell’incontro è la sua ultima “creatura”, il nuovo motopeschereccio finito di costruire da qualche mese e a cui ha dato il suo nome, in una sorta di ultimo atto nella sua lunga attività. Siamo già a bordo, insieme al figlio Nicolino, quando lui arriva e con un balzo da giovincello salta sulla barca. La mia prima domanda è proprio questa, “è l’ultima barca?”. Lui ci pensa un attimo e prima dice “sì, sì, è l’ultima, ora vedranno i figli”. Ci mette un attimo però a dire “ma non sono mica convinto”. Pensando allo stereotipo del lupo di mare chiuso e taciturno, in Antonio Natarelli vedi l’esatto opposto, vista la sua straordinaria loquacità che snocciola ricordi uno dopo l’altro, con una precisione pazzesca pensando a quanti ne sono.
Il nuovo peschereccio è molto bello, con le tavole di legno ancora linde nonostante le numerose battute di pesca già effettuate. Ci sediamo e iniziamo a tornare indietro nel tempo, a quando era ancora piccolo e invece di andare a scuola preferiva andare per mare. Ma i documenti per poter navigare poteva averli solo a 14 anni “e ci fu un ufficiale della capitaneria che venne a controllare sulla barca e mi impedì di continuare a lavorare sul peschereccio”. Ma Antonio voleva andare per mare e così trovò ospitalità sulla barca dello zio, una delle paranze che oggi conosciamo solo per le foto d’epoca. “In quel modo era possibile andare avanti a lavorare senza incappare nei controlli”. Mi lancia un flash che però mette da parte “se ti dico come ho preso il titolo di studio non ci credi”. E poi torna subito al suo racconto, senza tirare mai il fiato, facendo affiorare dalla memoria nomi, date, episodi con cui si potrebbe scrivere un libro. Dall’ultimo peschereccio che porta il suo nome al primo, avuto insieme al fratello. “Si chiamava Alì”. Il sodalizio familiare non durò molto e Antonio decise di andare a lavorare a Termoli, per restare sempre legato al mare.Arriva poi l’occasione di comprare la sua seconda barca. Mio nonno, Giuseppe Ritucci, altro storico armatore di Vasto, doveva vendere la sua barca Giovanni Papa, per comprarne un’altra. L’accordo con Antonio si trovò subito. “Prezzo 2 milioni, con l’impegno di dare 500mila lire subito e 100mila lire al mese fino a pagarla”. Ma dopo poco per Natarelli arriva l’occasione di rivendere la barca da poco acquistata. “Arrivò un armatore di Genova che mi offrì 3 milioni in contanti. Immagina la rabbia di tuo nonno quando seppe la cosa”. E, ricordando il suo carattere forte, la cosa non mi stupisce affatto.
Erano gli anni in cui si costruiva il porto di Punta Penna, e Antonio Natarelli venne chiamato dall’ingegner Carlo a prendere parte ai lavori. “La mia richiesta fu semplice. Volevo 150mila lire al mese, tenete conto che un operaio ne guadagnava 40mila. Io all’epoca ero comandate di un peschereccio e quindi per accettare il lavoro quella era l’unica condizione”. Alla fine l’ingegner Carlo accettò e così Antonio Natarelli per 3 anni si occupo delle manovre dei mezzi che operavano in mare per la realizzazione del porto. “Gli straordinari li pagavano a parte, così io mi davo molto da fare. La mattina ero già qui alle 6 per avviare tutte le macchine e la sera mi trattenevo. Se l’operaio che c’era prima di me spostava 12 massi al giorno, io arrivavo a 18-20. Mia moglie, quando portai a casa la prima busta paga non ci credeva che potessi guadagnare tutti quei soldi. Mi diceva ma che vai a rubare?”. Terminati questi lavori la ditta che si era occupata di realizzare Punta Penna lo volle con sè anche a Marghera, dove Antonio si trasferì, anche se il suo obiettivo era un altro: costruire la sua prima barca. Arriva così il Giuseppe Padre che, poco dopo la sua entrata in attività, ricevette un’offerta di acquisto a cui non poter dire di no. “Anche quella me la pagarono in contanti. Ricordo come fosse oggi il giorno in cui vennero a prenderla. Io ero sulla banchina, insieme al costruttore. Quando lo vidi salpare mi misi a piangere. Mia moglie pensava che stessi piangendo perchè mi avevano pagato con soldi falsi, il costruttore le spiegò il motivo che lui, avendo visto quanto tenevo a quella barca, aveva capito”.
Quando nelle vene ti scorre il mare e hai una visione “proiettata nel futuro”, non puoi restare fermo. Antonio compra da un altro armatore, Centorami, il Punta Penna. Da Pescara arriva però l’occasione che non si può rifiutare. “C’era l’occasione di prendere l’Invincibile, una barca davvero grande. Permutai il Punta Penna e pagai la differenza. A quella barca si aggiunse poi il Santa Fede”. Natarelli si trova ad avere per la prima volta due barche nella sua flottiglia, è l’inizio dell’espansione. Arriva però una proposta per lui spiazzante. “Mi chiesero se volevo diventare il Pilota del porto di Vasto”, cioè l’uomo che guida le navi merci nel loro ingresso e uscita dal bacino di Punta Penna. Improvvisamente si ferma, mi guarda e dice, “torniamo alla scuola”. Un flashback che prima ci aveva annunciato. “Quando ho iniziato ad andare per mare era arrivato il momento degli esami di licenza elementare. La maestra mi mandò a chiamare ma io non avevo tempo di andarci. Sai come ho risolto? E’ andato mio fratello al posto mio”. E mentre io e Costanzo restiamo a metà tra lo stupito e lo sconvolto lui ci rimprovera, “mica vi racconto storie!”. Di nuovo un balzo in avanti nel tempo, a quel 1977 che lo vide iniziare l’attività di Pilota. “Non sapevo se accettare o meno e ne parlati con Antonio Pollutri, ‘zì ‘Ndonie, che era stato il primo Pilota di Vasto, il primo a far entrare una nave a Punta Penna. Lui mi disse subito di accettare, le prime volte salì sulla nave con me, poi andai da solo e ottenni l’incarico”, che ha mantenuto fino al 2006.
Centinaia le navi guidate in entrata e uscita dallo scalo vastese, che di per sè si presenta molto complesso. E infatti, quando il comandante di una nave decise di fare di testa sua, ecco che affondò la nave. “Io gli avevo detto che non sarebbe dovuto salpare, ma lui volle uscire per forza”. Nel racconto si inserisce il figlio Nicolino, che è rimasto sempre silenzioso ad ascoltare i racconti di suoi padre. “Lo ricordo bene, avevo 16 anni. La nave finì contro la banchina e poi andò a fondo”. Anche da Pilota, Antonio ha continuato a comprare e vendere navi e guidare le sue barche in mare, da Alì all’Antonio Natarelli, tra le sue mani ne sono passate più di 40. “Avrei potuto accontentarmi di fare quel mestiere, ma a me piace andare per mare. Se dovessi rinascere vorrei essere ancora un pescatore, è il mestiere più bello che esiste. Quando c’era da guidare una nave in porto venivano a prendermi sul peschereccio con il rimorchiatore e poi, a operazioni concluse, tornavo lì. Una volta raggiunsi una nave a 10 miglia dal porto. Videro questo peschereccio che puntava deciso verso di loro e non capivano, si erano spaventati”. Storie di mare, che raccontano anche di persone che il mare ha portato via per sempre, e che restano una ferita aperta nella mente e nel cuore di chi ha vissuto questi tragici avvenimenti in prima persona. E poi storie di pesca. Come quando il mercato del pesce era a Vasto Marina e i pescherecci attraccavano al vecchio pontile. “Con i nostri pescherecci non potevamo arrivarci e così c’erano due persone, Fiore e uno soprannominato Mingarill’, che con la barca a remi venivano a prendere le cassette a bordo”. Poi arrivò il trasferimento nella struttura di Punta Penna (che a breve lascerà posto ad una nuova). “Ma il mercato del pesce era tutt’altra cosa rispetto ad oggi. C’erano persone come Antonio Sorgente, Sputore, Arditelli, Malatesta, che compravano anche 200 casse al giorno e le facevano arrivare ovunque. Oggi al mercato non si guadagna, i vastesi non apprezzano il pesce locale. Noi mandiamo il pesce a Roma, a Pescara, a Termoli, altrimenti non sarebbe possibile andare avanti”.
Tra gli anni ’70 e ’90 la marineria vastese ha vissuto anni positivi, con diversi personaggi impegnati, con rapporti segnati da amicizia e rivalità. “Non nego che c’erano i litigi, ma poi eravamo uniti. Si discuteva, qualche volta ci si attaccava, ma poi con Ritucci, Febbo, Valentini, ci trovavamo per mangiare insieme e parlare delle nostre cose”. Interviene di nuovo Nicolino per sottolineare l’importanza dei personaggi vastesi per la crescita delle attività marittime. “Qui ci sono stati prima gli uomini e poi c’è stato il porto. Se oggi c’è quello che vediamo è perchè ci sono state persone che hanno dato tanto”. Antonio continua a raccontare, spiegandoci come Punta Penna, secondo lui e gli altri storici marinai, sia un porto realizzato male. “E’ sempre stato un porto rifugio. Noi, negli anni, abbiamo provato a dare delle indicazioni ma non ci hanno ascoltato. Prendiamo ad esempio il dragaggio. Non si può fare perchè una parte di banchina non ha i pali, se si toglie troppa sabbia la banchina viene trascinata giù. E’ già successo in passato”. Ricordi, tanti, ricordi e storie di mare. E’ vero, per raccontare tanti anni di mare ci vorrebbe un libro. Antonio si fa serio quando parla dello sviluppo dei traffici commerciali, che lui ha vissuto in prima persona dovendo guidare le navi in porto. “Dobbiamo tanto a Peppino Massacesi e Primiano Ippolito, che è sempre stato criticato ma io dico che ha fatto un buon lavoro”. Dopo la nave andata a fondo ci fu il rischio di chiusura dello scalo. “Gli industriali erano preoccupati. Facemmo una prova, con una nave, il William Shakespeare, di 150 metri. C’erano tutti gli ufficiali di marina ad osservare. Andò tutto alla perfezione e il porto riaprì”.
E intanto, anche grazie all’apporto dei figli, che hanno seguito le sue orme, le barche della famiglia Natarelli sono aumentate sempre più. “Ma non ho mai ricevuto soldi dallo Stato per acquistarle. Questo ci tengo a dirlo, perchè qualche volta vengo criticato. Chi vuole può controllare sui registri”. Tra i suoi pensieri sul fermo biologico, da sempre oggetto di discussione tra Stato e pescatori, e metodi per le previsioni del tempo, apprese dagli anziani guardando la Majella, abbiamo anche fatto il giro del motopeschereccio. Ce ne sarebbero di cose da raccontare, perchè Antonio Natarelli ha la sua grande esperienza da poter condividere con chi oggi si trova ad affrontare le difficoltà di un settore segnato pesantemente, come tanti, dalla crisi. Prima di salutarci ci confida due suoi desideri, legati al mare e alle iniziative per l’estate. “Nella mia vita ho realizzato tutto quello che avevo in mente. Ci riuscirò anche in questo”. Di cosa si tratta? Dal sorriso con cui ce le ha confidate sono certo che quanto prima saranno realizzati.
Sempre il mare, uomo libero, amerai!
perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell’infinito svolgersi dell’onda
l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. (C.Baudelaire)
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo