Questa sera alle ore 21 al Teatro Rossetti di Vasto andrà in scena “Il Vate e la Diva“, riduzione scenica del carteggio tra Gabriele D’Annunzio ed Elena Sangro, un’opera di Giuseppe Tagliente. vedrà come protagonisti gli attori Pietro Bontempo, vastese di nascita,Caterina Misasi e Silvia Luzzi. Al pianoforte eseguiranno brani scelti Danila Cicchini e Clotilde Muzii , mentre le coreografie appositamente studiate saranno eseguite da Giovanna Paola Bellfronte e Aldo Tiziano Nola. La consulenza artistica è a cura di Maria Grazia Pezzuto. Video maker a cura di Enrico Gualterio. Il costo del biglietto è di 10 euro. Pubblichiamo una nota scritta da Giuseppe Franco Pollutri.
Non potremo mai sapere se D’Annunzio abbia veramente amato la Sangro. Di certo della persona – di “Elena Sangro, di Vasto d’Aimone, città di grazia” – ha gioito e goduto, e a lei si è rapportato come fu e accade verso una giovane in fiore, percepita quale sua “soave e luminosa musa”, quanto fonte di piacere carnale, intenso e straordinario. Non a caso il Vate amava chiamarla nell’intimità Ornella (come la più giovane delle sorelle di Aligi, protagonista della “Figlia di Iorio”), e non, anagraficamente, Maria Antonietta. Questo perchè sia la diva del cinema muto, come la donna (M. A. Bartoli-Avveduti), intelligente, forte e versatile, gli avrebbero imposto un rapporto relazionale diverso dal classico schema della fanciulla “frutteto modulato dal mio flauto”, attratta e poi abbandonata dal suo Pigmalione. Difficile capire realmente se la Sangro, attrice cinematografica “in carriera”, s’era accostata, e a lui s’era intimamente concessa, per avere – come lei stessa scrive – “dall’immaginifico al quale tutti i cinematografari pietivano una trama, una sceneggiatura, un sottotitolo….”, o se di lui s’era subito invaghita, ravvisando in lui, ovviamente, “una persona al di fuori del comune”, “l’uomo più charmant ch’io abbia mai incontrato”!
Elena Sangro – nome d’arte della fanciula che venuta, sola e povera, da Vasto a Roma, a soli diciannove anni, era protagonista dello storico film Fabiola – fu nel rapporto con “il Vate”, non solo “la Piacente”, quanto coinvolgente ispiratrice di scrittura letteraria colta e preziosa: il “Carmen Votivum”, “inno alla vita, all’Eros, alla sensualità che si fa scrittura…”. Poi, invano, come apprendiamo nel suo raccontarsi in età matura, coltivò ostinatamente e con intima sofferenza la speranza di poter essere assidua compagna di vita di D’Annunzio; ciò che l’uomo d’azione, civile e bellica, e il letterato di successo non poteva concederle e mai le permise. A lungo, ferita nell’orgoglio, Elena continuò a chiedersi, senza risposta, …”se Ariel abbia giocato con me, rapito dal Triangolo e dal mio Circolo, cioè dalle mie più intime grazie”. Accettando, peraltro, l’annotazione consolatoria di un amico, fu consapevole di poter restare nel tempo ricordata, in virtù del suo rapporto con il Vate, anche quando fosse stata dimenticata quale Diva (poi cantante e regista), quale “fiore della Sua terra”, capace di accendere nell’eroe nazionale e nel poeta di valore, un turbinìo intenso e totale dei sensi, un’ispirazione metrica immaginifica e incancellabile.
La Recita messa in scena da Giuseppe Tagliente, sulla base di un’approfondita lettura del carteggio intercorso tra “il vate e la diva”, appare semplice nella sua articolazione a tre voci (la Sangro in età matura, la stessa in età giovanile e Gabriele D’annunzio), ma volutamente intrecciata o incastonata in riferimenti e rimandi, immagini e sonorità, appropriate e coinvolgenti. La forma dialogica usata ricorda quella narrativa di “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese, in cui, attraverso l’incontro di due personaggi del Mito greco-romano, si confrontano dèi o semplici mortali, per dire di sé e, di riflesso, per analizzare e svelare la propria esistenza, vita e destino. In questa ‘pièce’ teatrale, nuova o insolita, il dialogo, apparentemente tra la Sangro e D’Annunzio, risulta articolato in realtà tra Elena fanciulla, innammorata, entusiasta e “piacente”, e la stessa Elena matura che realisticamente comprende e accetta “lo sfiorire delle rose”, nel fare anticamera prima di poter ancora accedere al Vittoriale, consapevole che …”non c’era posto per una donna soltanto, nella vita e nel letto di Gabriele D’Annunzio”. Il Vate (l’Ariel del gioco d’amore, sensuale e letterario), pur presente dialogicamente, manifesta in maniera contrappuntistica un suo personale e come appartato afflato, sensuale e artistico, scaturito dall’incontro con la sua vagheggiata Ornella, etnicamente e altrimenti chiamata “Elena del Fiume”.
Strutturalmente la rappresentazione-recita pare voglia ricalcare – pur in mancanza di un’azione scenica – l’idea del “Wort–Ton–Drama”, (in tedesco: “parola, suono, dramma”) vagheggiato come “opera d’arte totale” da R. Wagner già nella seconda metà dell’ottocento: quel che sarà la capacità di suggestione della nuova e “settima arte”, ovvero il Cinematografo. Accompagneranno infatti le parole degli attori-protagonisti musiche di fondo, appropriate e storicamente evocative. Risuoneranno in sala, da pianoforte, musiche da cinema muto; scorrerano su uno schermo immagini tratte da documentari e films d’epoca, delle copertine delle opere di D’Annunzio e dei dipinti dei coevi artisti, i futuristi Balla e Boccioni…
Questo a leggere il copione e la sceneggiatura. Se il tutto avrà poi, sul palco e in sala, l’immaginata efficacia rappresentativa e la sperata godibilità visiva, uditiva e poetica, lo verificheremo, da attenti spettatori, alla Prima che andrà in scena, il 17 gennaio, al Teatro Rossetti di Vasto.