Ci vuole poco per capire che la mattinata che stiamo per trascorrere sarà di quelle da ricordare. Neanche il tempo di scendere dalla macchina parcheggiata nel cortile della Casa Famiglia Manuela, a San Lorenzo, che un ragazzino ci viene incontro e inizia a bombardarci di domande mentre ci accompagna all’interno della struttura. E’ un mattino di vacanze natalizie e quindi l’atmosfera è rilassata. C’è solo una musica a tutto volume che arriva da una delle stanze. Nel grande salone c’è Claudia seduta al tavolo insieme alla più piccola della “truppa”, una bimba di 5 anni e mezzo ancora alle prese con la colazione. E poi c’è Silvio, che abbiamo già conosciuto durante una visita al Recinto di Michea, insieme agli altri ragazzi della Casa Famiglia.
Claudia ci lascia per qualche minuto, il tempo di rassettare la cucina, così io e Costanzo restiamo insieme a questi ragazzi che puntano decisi la sua super-macchinetta e si divertono non poco a farsi scattare foto-ricordo prima della fatidica domanda “possiamo farle noi le foto?”. Come poter dire di no? Intanto ascoltiamo anche le loro aspettative per i regali della Befana, che la generosità di tante persone farà arrivare, così come è stato per quelli di Natale. La Casa Famiglia Manuela esiste a Vasto da quattro anni, per volontà della Comunità Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi. La vocazione è quella di accogliere gli ultimi, le persone che non vuole nessuno e che nelle comunità di Don Benzi trovano un ambiente accogliente e familiare. L’accento di Claudia e suo marito Gioacchino (alle prese con le faccende domestiche al piano di sopra) non lascia dubbi sulla provenienza marchigiana. I ragazzi vanno da una parte all’altra della casa tra musica e giochi, e così abbiamo la possibilità di fermarci a parlare un po’, anche se ogni tanto la piccolina di casa fa irruzione per raccontare alla “mamma” cosa sta accadendo nelle altre stanze.
Claudia e Gioacchino sono sposati da 26 anni, da 18 sono nella Comunità Giovanni XXIII e da 16 hanno una casa famiglia. L’inizio di tutto è segnato inconfutabilmente dalla fede cristiana, che ha dato ai due sposi segni che ne hanno indirizzato il cammino. “Da sempre siamo una famiglia affidataria. In un periodo di difficoltà nel nostro percorso abbiamo conosciuto la Comunità Giovanni XXIII e abbiamo iniziato un cammino con loro. Quando dovevamo adottare il nostro primo figlio, Silvio, la sua condizione di disabilità ci ha messo in crisi. Ci siamo detti: se dovesse succederci qualcosa che fine farà lui? Ma nella comunità ci hanno rassicurato, cosa che non era avvenuta con gli assistenti sociali di San Benedetto del Tronto, perchè il figlio di una coppia della comunità è figlio di tutta la comunità”. Arriva così la decisione di adottare un altro bambino. Di questo Claudia e Gioacchino ne parlano con Silvio che nella sua famiglia di provenienza era figlio unico. Silvio, che aveva 6 anni, disse solo. “Va beh, purchè si chiami Marco”. Un particolare che al momento non fa pensare a nulla ma che si rivelerà la prima svolta della vita dei due. “Ricevo la telefonata dell’ufficio che mi presentava la possibilità di adottare un bambino di 6 mesi. Era cieco, epilettico, con una paresi ad una parte del corpo e, secondo le previsioni, sarebbe morto entro i sei mesi successivi. Cercavano una famiglia per poterlo accompagnare alla morte facendogli trascorrere quei mesi tra le braccia di una mamma e un papà. Io mi nascosi dietro le possibili reazioni di Silvio, ma in realtà ero io ad avere paura”. La vicenda poteva chiudersi con il no di Claudia. “Ma così, non so neanche io perchè, chiesi il nome del bambino”. Mentre racconta si ferma ed io capisco immediatamente. “Marco?” le chiedo. “Sì, Marco è il ragazzo che è nell’altra stanza e ci sta spaccando i timpani con tutta questa musica”. La loro storia va quindi avanti con questo bimbo arrivato in casa con un destino già segnato e che, dopo ben 26 operazioni, ha recuperato la vista, cammina, gioca, si diverte. “E’ un terremoto!”, dice sorridendo Claudia.
Non passa molto che arriva il secondo segno decisivo nella vita di quella che ormai è una famiglia. “Eravamo andati con Gioacchino ad un incontro con le coppie che svolgevano il cammino di preparazione al matrimonio a raccontare la nostra esperienza. Fu una brutta serata, perchè tutti quei giovani restarono completamente indifferenti. Ci rimasi molto male, perchè avevamo Marco (che allora aveva 1 anno) in ospedale e lo avevamo lasciato per partecipare all’incontro. Ricordo che era di venerdì e la domenica, 3 di quelle coppie vennero in ospedale, perchè c’era una delle ragazze che voleva conoscere Marco”. Ecco che Manuela, 26 anni, avvocato, scout, incrocia la vita di Claudia e Gioacchino. “Lo seppi solo dopo ma quel giorno, tornando a casa, Manuela prese la sua agenda e scrisse un testamento in cui, in caso di sua morte, lasciava metà dei suoi soldi ad un istituto per minori di San Benedetto e metà a noi”. Passa del tempo ed il mercoledì delle Ceneri Claudia va nella cattedrale di San Benedetto del Tronto,per incontrare il Vescovo. “Stavamo cercando un luogo per aprire la nostra Casa famiglia ma nella diocesi di Ascoli non si trovava una struttura. Così andai a chiedere al Vescovo di San Benedetto, nostra città di origine. Entrando in Chiesa rimasi stupita sentendomi chiamare per nome da lui”. Appena un giorno prima era stato celebrato il funerale di Manuela, morta in un incidente d’auto. Suo padre aveva trovato l’agenda con il testamento e l’aveva consegnata al Vescovo. “Io non sapevo niente di tutto ciò che mi venne raccontato quel giorno. Il Vescovo prese a cura la nostra situazione ci diede una casa a Grottammare dove far nascere la casa famiglia che intitolammo a Manuela”.
Il volto sorridente della ragazza marchigiana è in un quadro nel salone principale e nella cappella al piano di sotto. “Noi non la conoscevamo, se non per quella breve visita in ospedale. Imparammo a scoprire la bellezza della sua persona attraverso i ricordi degli amici e delle persone care”. La Casa Famiglia Manuela all’inizio “era davvero difficile da gestire, perchè non avevamo esperienza. Ma piano piano abbiamo imparato”. Le difficoltà non sono mancate, come ad esempio i 4 cambi di struttura. “Non siamo stati molto fortunati”, dice Claudia con la stessa serenità che mostra nel suo racconto. Quattro anni fa da Don Andrea, all’epoca cappellano del carcere, arriva la disponibilità della grande casa di San Lorenzo. “Ci ha detto che era stata costruita a servizio del carcere ma che poi non era stata usata per una serie di motivi. Questa casa è bellissima , ci sono tante stanze, tanti ambienti. All’inizio non è stato semplice. Anche con i vari spostamenti eravamo sempre rimasti nelle Marche. Quando siamo arrivati a Vasto i ragazzi erano un po’ spaesati. Andavamo in giro e dicevano: ma qui non ci conosce nessuno”. Ma, poi, con il passare del tempo, attorno alla Casa Famiglia Manuela si è creata una forte rete di solidarietà. Oggi sono in 14, lei e Gioacchino e 12 “ospiti”, tra cui i 3 figli adottati e la bimba per cui è in corso l’adozione. Persone di varie età che qui hanno trovato una famiglia. “Molti associano questa struttura con una casa per ragazzi disabili. Non è così, questa è la Casa dove accogliamo chi non ha un altro posto nel mondo”.
Sempre inseriti nella Comunità Giovanni XXIII, che ha sedi in tutto il mondo e che segue costantemente ogni passaggio. Anche quelli economici, perchè la gestione dei fondi avviene a livello centrale. “Noi abbiamo scelto una forma di povertà. Ogni mese dall’amministrazione riceviamo 1000 euro per tutte le necessità della Casa Famiglia, dal cibo, ai vestiti, alle spese mediche”. Pensare che in 14 si possa andare avanti con solo 1000 euro è impossibile. Per questo c’è la generosità di un territorio. “Non accettiamo denaro, ma solo doni. E devo dire che in questi 4 anni, tra associazioni e privati non ci è mai mancato niente. Anche perchè credo che per chi dona vedere che ciò che si è dato è realmente utile per qualcuno che ne ha bisogno fa donare ancora più volentieri”. Un clima sereno con due genitori che hanno fatto questa forte scelta di vita nel segno del Vangelo e della solidarietà. Per loro due avere la responsabilità di 12 persone o anche di più non è cosa semplice. “C’è davvero tanto da fare ma non ci spaventa”. Gioacchino, che ogni tanto vediamo comparire nel salone, è quello che si occupa della gestione della struttura, “il casalingo”, come lo chiama Claudia.
Prima di andare ad incontrare i ragazzi mentre sono alle prese con le loro attività preferite, Claudia ci rivela un desiderio. “Mi piacerebbe che si creasse un gruppo di ragazzi e persone che possano dedicare del tempo ai ragazzi con disabilità. Sono ragazzi che, seppur con qualche difficoltà, hanno desideri ed esigenze come tutti i ragazzi. Hanno il desiderio di uscire con degli amici, andare ad un concerto, andare al cinema. E non vogliono certo venirci con me o Gioacchino, visto che stanno con noi tutti i giorni. Se tante persone mettessero a disposizione un’ora del proprio tempo, anche un’ora al mese, ci sarebbero tante occasioni per i ragazzi per far vivere loro tante esperienze. Su questo trovo ancora molta chiusura. Abbiamo iniziato con qualche genitore dei ragazzi che frequentano il Recinto di Michea, anche grazie alla disponibilità di Leda Del Borrello, ma vorrei davvero che si facesse tanto di più e con più costanza. Oggi di attività a spot ce ne sono, ma i ragazzi vorrebbero vivere cose quotidiane insieme a loro amici. Ma non voglio che sia un’iniziativa solo per i ragazzi di Casa Manuela. Lo intendo come un gruppo di ragazzi normodotati e con disabilità che fanno cose insieme”. Un appello che non si può non condividere dopo aver vissuto qualche ora insieme ai ragazzi della casa famiglia.
Seguiamo la musica che arriva forte e arriviamo nella stanza dove c’è Marco (il ragazzo di cui parlavamo prima) che sceglie la sua musica preferita. Di fronte a lui un cartellone dove ha segnato i suoi artisti preferiti. C’è anche un poster di Povia, ricordo di un concerto ad Atessa. “Ha cantato a squarciagola per tutta la serata!” ci racconta Claudia mentre Marco armeggia al pc come un provetto dj. Al piano di sotto, dopo una visita alla graziosa cappellina della Casa Famiglia, passiamo nella stanza dove i ragazzi si trovano a giocare. La piccolina, infilati dei guantoni che sono più grandi di lei, armeggia con il sacco da boxe. Silvio “placca” Costanzo per farsi fotografare mentre si allena sulla panca da culturista ed io vengo coinvolto dai due ragazzi che giocano a biliardino. Giochiamo con loro meno di un quarto d’ora, ma tanto basta per far esclamare ad uno di loro “Questa è una bellissima giornata”. Come ha detto Claudia, per questi ragazzi l’interazione con persone che non fanno parte della loro quotidianità è fondamentale per la felicità.
E’ il momento dei saluti, con i ragazzi che continuano a dedicarsi alle loro attività, in attesa della ripresa della scuola. Ce ne sarebbero tante altre di cose da raccontare, sulla scelta di vita di Claudia e Gioacchino, sulla Casa Famiglia Manuela e sulle persone che qui trascorrono la loro vita o almeno una parte. Il cancello di via San Lorenzo è sempre aperto. Questa è una comunità che accoglie i suoi ospiti ma anche chi viene qui a dedicare una parte del proprio tempo. Prima di andare via Claudia ci fa soffermare su un dipinto appeso al muro, il dono del gruppo del carcere, dove ha prestato servizio da prima di arrivare a Vasto con la Casa Famiglia. Sono parole di Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII. “Poichè amiamo teniamo i nostri vecchi in famiglia; poichè amiamo accogliamo in famiglia i figli di nessuno; poichè amiamo accogliamo i poveri che vengono a noi e andiamo da quelli che non ci cercano. Poichè amiamo ci è insopportabile l’ingiustizia. Poichè amiamo, condividiamo. E’ grande la differenza tra il servizio e la condivisione“.
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo
Foto – Claudia e Gioacchino – Casa famiglia Manuela
Foto di Costanzo D’Angelo