È ormai chiaro che ogni alunno apprende in maniera personale e diversa dagli altri. Le differenze nell’apprendimento sono riscontrate negli stili di apprendimento, ovvero in quelle caratteristiche uniche che ogni alunno privilegia in maniera personale quando si impegna nello studio, nello svolgimento dei compiti o nella soluzione di problemi cognitivi.
Cosa si intende con “stile di apprendimento”?
È la modalità di percezione ed elaborazione che il soggetto adotta in modo prevalente, che permane nel tempo e che si generalizza a compiti diversi. Indica la strategia o le strategie prevalentemente utilizzate negli apprendimenti; in poche parole, lo stile di apprendimento definisce in che modo gli alunni e noi tutti impariamo. Lo stile cognitivo, invece, è un fatto individuale, soggettivo, fa riferimento alla “scatola nera”, alla mente che apprende, senza porre l’accento sugli aspetti socio-relazionali. Non è legato ai diversi livelli di intelligenza ed abilità, ma alla modalità di utilizzo di tale intelligenza ed abilità. Gli stili vengono presentati a coppie, dove uno stile rappresenta l’estremo e il complementare dell’altro, alla stessa maniera in cui la mano destra e la mano sinistra partecipano, lavorano insieme in un compito di manualità con funzioni specifiche.
La caratteristica saliente dello stile cognitivo è la plasticità: non esiste uno stile migliore dell’altro ma ci possono essere situazioni che si affrontano meglio con uno stile diverso dal proprio. Alcuni compiti potrebbero richiedere la messa in opera di ambedue gli opposti. Anche se vi sono stili prevalenti, le buone capacità cognitive nascono da una loro miscelazione. Lo studente esclusivo, che utilizza al 100% uno solo dei due estremi ottiene buoni risultati se utilizza il suo stile, mentre potrebbe andare incontro a serie difficoltà, o bloccarsi, se il compito o la verifica prevedono l’uso dello stile opposto. La capacità di riconoscere le situazioni come più o meno confacenti al proprio stile dipende dal livello meta cognitivo posseduto dallo studente (consapevolezza dei propri stili e strategie adottate).
Nell’apprendimento è perciò importante che gli studenti conoscano ed adottino preferibilmente il loro stile, ma che facciano anche esperienza con stili differenti, imparando a riconoscere le caratteristiche del compito e del materiale in cui è più opportuno usare uno stile piuttosto che un altro. Il concetto di stile di apprendimento è oggi molto discusso poiché contrasta con metodologie che mettono in risalto maggiormente alcuni aspetti della personalità degli alunni quali le interazioni sociali, le competenze emotive e gli atteggiamenti. Altre critiche a tale concetto derivano dalle considerazioni circa il non preciso substrato teorico e sulla presunta scarsa efficacia nella pratica didattica. Tuttavia le problematiche dell’insegnamento, in questi ultimi anni, sono diventate tante e tali da non potersi più permettere di continuare a sostenersi sulle competenze, sulla buona volontà e sulle buone prassi di ogni singolo insegnante.
Oggi è richiesta un’azione di sistema, una didattica che consenta di moltiplicare i risultati ottenuti anziché conseguire una semplice somma dei risultati di ogni docente e ogni discente. È richiesta una approfondita conoscenza degli studenti che frequentano le nostre classi, in particolare dei stili apprenditivi e relazionali. Non si tratta di valutare il merito o attribuire voti ma di capire in che maniera gli alunni che abbiamo di fronte “funzionano”: quali sono le vie sensoriali preferenziali (acustiche, visive, cinestesiche, acustiche-visive, acustiche-cinestesiche, tutte e tre insieme), quali sono le modalità prevalenti di elaborazione delle informazioni (analitiche-sequenziali, sintetiche-globali, per deduzione, per induzione, in maniera divergente o convergente….), quali sono i linguaggi più efficienti (verbale, corporeo-gestuale, verbale-corporeo, grafico, letto-scrittura ecc.). Molti studenti appaiono passivi, manifestano una scarsa partecipazione, avvertono un senso di esclusione o di inadeguatezza rispetto agli insegnanti, alle discipline o ai compagni di classe. Si annoiano, si demotivano, possono andare incontro all’insuccesso formativo e all’abbandono della scuola. Essere consapevoli dei propri processi cognitivi e di apprendimento può aiutarli a capire che il loro senso di impotenza non è dovuto a incapacità o a difficoltà personali ma a metodi di studio non perfettamente consoni ai propri stili. La meta-cognizione inoltre è un ottimo strumento per il potenziamento delle eccellenze, delle loro conoscenze e competenze, della loro vita professionale del domani.
Avere a disposizioni queste informazioni apporta due ordini di vantaggi: da un lato consente agli studenti di comprendere in maniera significativa come apprendono (metacognizione), rendendoli più sicuri, più motivati e più attivi; dall’altro lato costituisce per gli insegnanti uno stimolo verso la personalizzazione dell’azione didattica in maniera da interessare tutti gli studenti, in base ai loro stili preferenziali.
Alcune efficaci soluzioni alle difficoltà che quotidianamente si incontrano nell’implementare l’azione didattica possono essere reperite in quella metodologia sistematica definita personalizzazione dell’insegnamento.
Proprio dove le difficoltà dell’azione didattica sembrano insormontabili l’insegnamento personalizzato consente di attuare un’azione didattica più efficace, meno dispendiosa e soprattutto più gratificante per gli insegnanti e per gli alunni; rappresenta una soluzione ai problemi, non un problema. Certo è che il singolo insegnante non può, non deve affrontare questa tipologia didattica in maniera isolata: è la scuola che si da una organizzazione al passo con i tempi. Generalmente quando si parla di didattica personalizzata ci si riferisce ad una programmazione specifica per ogni alunno e ad un conseguente insegnamento individualizzato. Tale riferimento non sempre corrisponde al vero, ma risulta essere esatto solo nei casi di alunni con diagnosi funzionale, alunni con disturbi specifici dell’apprendimento o con un serio svantaggio sociale, economico, linguistico o culturale. Per gli alunni “normodotati”, invece, la personalizzazione dell’insegnamento si consegue attraverso azioni metodologiche mirate, tra le quali la più utilizzata è senz’altro la valutazione diagnostica (i cosiddetti test di ingresso) fatta all’inizio di ogni anno scolastico da ogni docente. Ma vi è una possibilità che offre agli insegnanti degli strumenti metodologici e strategici ancora più efficaci, in grado di ottenere risultati migliori e, contrariamente a quanto diffusamente si ritiene, con minor “sforzo” sia per gli alunni che per gli insegnanti stessi. Non solo, ma anche con più gratificazione per entrambi. Questa possibilità si fonda sull’insegnamento rivolto alle classi tenendo presente gli stili cognitivi di ogni alunno ed adottando strategie di insegnamento che riescano ad intergire nel miglior modo possibile con tali stili. Agli alunni conoscere i propri stili di apprendimento apporta il vantaggio di capire in maniera significativa come apprendono (metacognizione), rendendoli più sicuri, più motivati, più attivi e partecipativi; aiuta ad acquisire la consapevolezza dei loro modi di percepire, elaborare, apprendere e comunicare; offre l’opportunità di potenziare l’apprendimento a scuola e lo studio personale a casa. Per gli insegnanti conoscere gli stili cognitivi degli alunni costituisce uno stimolo verso la personalizzazione dell’azione didattica in maniera da interessare tutti gli studenti, in base ai loro stili preferenziali.
Prof. Carlo Salvitti