Nicola Notaro. Quante volte in questi mesi ho riletto il nome su quel foglio dove abbiamo segnato tanti nomi di persone che ci piacerebbe incontrare per le Storie della Domenica. E ogni volta un rammarico, per non aver fatto in tempo ad incontrare l’uomo che per tanti rappresenta l’icona del Sindaco di questa città. A luglio Notaro se n’è andato lasciando un vuoto nella sua famiglia e in questa città che cerchiamo di raccontare attraverso le storie dei suoi figli. Ma la sua storia meritava di essere raccontato. La coincidenza di questa domenica che arriva il giorno dopo la commemorazione dei defunti non poteva lasciarci indifferenti. Abbiamo così chiesto alla famiglia Notaro di poter raccontare attraverso le loro parole quello che è stato ed ancora Lino, come i suoi affetti lo chiamavano. E così, parlando di Nicola Notaro in questi giorni in cui ci si reca al cimitero per pregare sulla tomba dei propri cari, questa Storia della Domenica vuole essere un omaggio a lui, che ha speso la sua vita per questa città e a tutti i vastesi che hanno già lasciato la vita terrena. Quando ho parlato a Costanzo del mio desiderio di incontrare i Notaro non sapevamo come potessero accogliere la nostra richiesta. Ho chiamato la figlia Alessandra e dopo poco ho ricevuto il messaggio di conferma, “ci vediamo a casa dei miei genitori”. Davanti al cancello incontriamo anche Paolo, l’altro figlio, Alessandra è già dentro insieme alla mamma Lidia, manca solo l’altro figlio Cesare. Il tempo di sederci che inizia a scorrere il fiume dei ricordi. Tanti racconti, che si intrecciano tra vita pubblica e privata.
La fede. L’ultima volta che incontrai Nicola Notaro fu poco più di un anno fa, in occasione della riapertura della storia sede dell’Azione Cattolica di Santa Maria. Lui era lì, orgoglioso di essere stato il primo presidente dell’associazione parrocchiale. Ebbi la fortuna di scattargli una foto mentre sorrideva raggiante. “Quella è stata la sua ultima uscita pubblica – mi dice Alessandra -. Papà era contentissimo perché riapriva la sede di Santa Maria, rimasta chiusa per troppi anni. Lui era cresciuto in quella strada, dove abitavano i nonni. La sua gioventù è stata vissuta all’ombra di quel campanile”. La fede cattolica ha rappresentato il pilastro della sua vita, in famiglia come nel suo agire politico. Il suo ultimo grande impegno fu a favore della nuova chiesa di San Marco. “Fu lui ad impegnarsi perché nel piano regolatore fosse prevista la chiesa in quell’area – racconta Paolo -. Si occupò di andare a convincere i proprietari dei terreni a cederli, lui fece i computi metrici per il Vaticano, ha fatto tutto insieme a Don Gino Smargiassi”. E il legame con le due comunità parrocchiali ha rischiato di creare una sorta di incidente diplomatico alla sua morte. “Papà già da qualche anno ci aveva chiesto due cose: dovete portarmi a Santa Maria e dovete mettere il mio titolo (geometra) sul manifesto – racconta Alessandra -. Quando si trattava di fissare il funerale abbiamo provato a dire a Don Camillo Gentile, il suo amico fraterno, questa cosa. Ci ha fulminati con lo sguardo. E alla fine aveva ragione. Santa Maria era la sua giovinezza, ma negli ultimi 40 anni si era speso per la comunità dei Sette Dolori e poi San Marco. E alla fine neanche il titolo geom. abbiamo messo sul manifesto. Chissà quante ce ne avrà dette da lassù!”. Una fede viva, alla base del suo agire politico. “Ha sempre creduto in qualcosa che non è né di moda, né attuale, oggi è un’utopia: era quella dell’unità dei cattolici. Non si faceva capace che i cattolici si stessero disgregando politicamente. Questa è una cosa che lui ha vissuto male. Pensava: ma come fanno a non avere il sentimento di stare insieme? Per lui che ha sempre avuto il lume della dottrina sociale della Chiesa è stata una grande sofferenza.
La signora Lidia ascolta quello che raccontano i figli e continua a fare la spola tra la sala e le altre stanze tornando ogni volta carica di album fotografici. In quelle foto ci sono documenti inediti di storia della città. Un archivio degno di un museo cittadino.
La famiglia. Nella vita di Nicola Notaro la famiglia è sempre stata fondamentale. “Suo padre lavorava in Venezuela – racconta la figlia – e lo aveva mandato a chiamare per raggiungerlo. Ma lui ormai aveva la storia d’amore con mia madre e decise di restare, così quando mio nonno torno a Vasto fecero il fidanzamento”. Padre e marito presente, nonostante il grande impegno politico. Il destino gli ha concesso di festeggiare l’anniversario di matrimonio il giorno prima della morte. “Ci teneva tanto ad arrivare al giorno del 58esimo anniversario. Ed io ero sicuro che ce l’avrebbe fatta – sussurra Paolo -. E infatti così è stato”. La moglie, i figli e i nipotini, la gioia dei suoi ultimi anni. Entrando in casa non si può non notare che la prima parete dell’abitazione è stata riempita con le foto dei nipotini. “Ormai voleva farsi fotografare solo con loro, erano la sua gioia”. Dagli album spunta la foto di un presepe. “Ecco, a questo ci tengo particolarmente – dice Alessandra -. Il suo presepe era intoccabile. Ci metteva davvero tanta passione. Ogni anno lo faceva lui, iniziava qualche giorno prima del Natale, costruendolo pezzo per pezzo. E poi a mezzanotte della vigilia la persona più giovane della famiglia deponeva il bambinello nella mangiatoia. L’anno scorso, anche se aveva iniziato a non stare bene, volle lo stesso costruire il suo presepe. Ha fatto fatica, si è lasciato aiutare, ma alla fine ce l’ha fatta”.
La politica. Una politica vissuta nel segno del servizio. Fino all’ultimo giorno non era raro sentire qualcuno che lo salutava chiamandolo “sindaco”. Eppure quella di primo cittadino è una carica che Notaro ha svolto più di 30 anni fa, prima di diventare consigliere regionale e lasciare poi la vita politica attiva. Un impegno politico svolto con passione e forti valori. “Non appena eletto sindaco andò a Roma per far sentire la sua voce. Non si capacitava del fatto che a Milano i trasferimenti da parte dello Stato per i servizi ai cittadini fossero di 110mila lire e per un vastese 12mila lire. Gli diedero ragione e riuscì a portare avanti le sue ragioni. Fece passare il bilancio del Comune da 300 milioni a 2 miliardi e mezzo”. Con Notaro si ampliò in maniera massiccia la pianta organica comunale. La città iniziò a crescere decisamente. E’ la signora Lidia che ricorda. “Dove oggi c’è il quartiere San Paolo era tutta campagna”. Un giorno Notaro si presentò in prima persona a presiedere la commissione edilizia, “in una sola sera approvò 19 concessioni edilizie per le cooperative della 167”. Spiega Paolo: “In quegli anni c’era il boom della Siv e della Magneti Marelli, con tantissime persone che dal Vastese scendevano per lavorare. A quelle persone bisognava dare una casa”. E così Vasto crebbe. Il suo amore per la città era viscerale. “La città era come la sua seconda famiglia, come la sua seconda moglie”, dice Paolo con soddisfazione. “Quando andò in regione uno dei grandi litigi fu che le persone assunte da lui e Ciccarone, man mano che andavano in pensione, non venivano rimpiazzate. E lui queste cose non poteva concepirle. Ma non perché, come spesso accade oggi, un posto di lavoro vuol dire i 5 voti della famiglia, ma perché se andava via un giardiniere, voleva dire che c’era qualche quartiere che non veniva più curato”. Una cura assoluta per l’arredo urbano. “Ci teneva a presentare la città come una sposa quando arrivavano i turisti, la vedeva come una cosa sua”.
Vasto e il territorio. In questi anni in cui si parla di unione dei comuni, di servizi condivisi, non si può non pensare a quanto Notaro aveva pensato 40 anni fa. “Quando andava a Roma gli chiedevano solo una cosa: quanti abitanti avete? E così lui capì che doveva creare un’unica metropoli che unisse il territorio, per potergli dare forza”. Quello del territorio era un concetto che Notaro aveva interiorizzato nei primi anni di lavoro al consorzio. “Andava in giro per le campagne, facendosi portare in moto da Don Camillo, perché c’erano da tracciare le strade di collegamento tra i vari paesi. E allora aveva modo di vedere che Vasto aveva attorno a sé un territorio da valorizzare. Diceva sempre: questa è una terra che ha ai piedi il mare e alla testa la montagna, cosa volere di più?”. E così a Vasto arrivò l’architetto giapponese Kisho Kurokawa, che redasse i progetti per l’unione Vasto-San Salvo. Non se ne fece più nulla “per i soliti vizi campanilistici”. In Comune gira ancora il plastico del nuovo stadio, da realizzare nei terreni dove oggi c’è Aqualand. “Li acquisto dalla curia che a quei tempi era in cattive acque – racconta Sandra – e anche in quell’occasione ci furono denunce. Lui in quell’area vedeva una cittadella dello sport, il nuovo ospedale. Tutti sogni rimasti irrealizzati”. E chissà cosa sarebbe questo territorio se quei progetti fossero stati davvero seguiti sin dagli anni 70. Anche la nascita della statua della Bagnante andava in quella direzione. “Aveva un piatto con la sirenetta di Copenaghen, la guardava e diceva: ecco, questa statua rappresenta una città, un territorio. Anche Vasto deve avere il suo simbolo che la rappresenti insieme al suo territorio”.
Notaro, i maestri e gli avversari. Dopo tanti racconti è Paolo a fare una sintesi della vita di suo padre. “Lui ha avuto questi maestri: in politica Peppino Spataro e Silvio Ciccarone, nel lavoro l’ingegner Pica e il suo padre spirituale era don Nicola Di Clemente. Don Nicola non mancava mai in casa nostra”. Racconta Alessadnra: “La sua capacità era quella di pretendere come le sue decisioni fossero condivise e anche dalle opposizioni, anche se le magari dentro quell’aula gli urlavano contro”. La conferma arriva dalla mamma Lidia, che ne ha viste e sentite tante negli anni di vita politica. “Lo raccontano sempre i componenti della sua giunta: riusciva sempre a mettere tutti d’accordo. Quando gli bocciavano qualcosa diceva fermatevi, riflettete, prendiamoci un caffè e poi vediamo come fare”. Un agire nel segno delle scelte condivise, così come emerge dal racconto dei familiari. “Le cose importanti realizzate in quei 5 anni sono state frutto di scelte condivise. In realtà io dico che gli oppositori ce li aveva dentro al suo partito, non tra i banchi delle opposizioni. Lui, con Petrocelli, Giangiacomo e tanti altri, riusciva a discutere, è’ stato un fare politica insieme. Adesso se qualcosa porta il nome di Nicola Notaro io dico che è stato il frutto di un agire condiviso, del suo gruppo come dei suoi oppositori politici”. E’ Paolo a raccontare un episodio significativo che dà la dimensione di come Notaro abbia saputo esser un riferimento per tutti. “L’ultima volta che papà è stato ricoverato a geriatria c’era ricoverato anche il papà di Peppino Tagliente e quindi ci incontravamo nei corridoi dell’ospedale. Quando ha visto papà seduto in carrozzina ho notato che aveva uno sguardo imperterrito. Non riusciva a capacitarsi di come l’uomo che era stato sempre visto come un vulcano in città non riusciva a reagire. Conosco Peppino da una vita, ma per la prima volta l’ho visto con gli occhi lucidi. Quando papà è morto uno dei ricordi più belli che ho letto è stato il suo. Lì capisci che anche se nell’attività politica si può non essere d’accordo su alcune cose c’è l’essere umano che ha dato dei grandi insegnamenti”. Un agire politico che badava al sodo. “Lui non verrà ricordato mai come il grande politico – dice senza mezzi termini Alessandra- ma come il grande amministratore della città, perché lui mi diceva sempre: Se tu vuoi andare a governare questa città devi capire una cosa, devi fare scelte impopolari. Il politico fa le scelte popolari, l’amministratore non lo può fare. Lui ha avuto due fortune: avere dei grandi collaboratori, come non ricordare il segretario comunale Finarelli, e poi erano anni in cui c’erano risorse economiche a disposizione per poter fare tanto”. Notaro aveva una grande attenzione a tutti. “Quando c’erano gli operai che lavoravano alla statua della Bagnante lui andava a comprare un cartone di birra, me la faceva mettere in frigo e poi la portava a loro – racconta la signora Lidia-. E si interessava sempre del lavoro di tutti. Per lui non c’erano collaboratori ma erano tutti amici”.
La casa aperta a tutti. “Da piccola ho mangiato pane e politica ma nel vero senso della parola – raconta sorridendo Alessandra – nel senso che avevo davvero la politica dentro casa”. Uscito dal comune Nicola Notaro tornava nella sua abitazione, che aveva sempre le porte aperte. E la taverna che spesso si trasformava in sede per le riunioni. “Non ho dovuto seguirlo perché mi rendeva partecipe di quanto faceva – racconta la signora Lidia -. Venivano a fare le riunioni qui. Magari c’era da cucinare qualcosa, da preparare qualcosa da bere. Io ero sempre pronta”. Ricordi lontani ma ancora nitidi. “A volte gli strilli si sentivano fino al terzo piano – ricorda Paolo-. Però poi alla fine papà era bravo a mettere tutti d’accordo”. E ancora oggi sono tante le persone che ricordano quelle interminabili serate a casa Notaro, quando si cercavano soluzioni ai problemi di una città che cresceva. “Era disponibile con tutti ma non ha mai voluto niente in cambio. Mia madre aveva l’ordine di rimandare indietro qualunque cosa arrivasse”.
Le amarezze della vita politica. Traspare una dignitosa amarezza quando si parla della fine della carriera politica di Nicola Notaro. Ma non per questo i figli non ne parlano, mentre la mamma silenziosamente ascolta, certamente ripensando a quegli anni. “C’è sempre stata amarezza per le modalità con cui è stato fatto fuori – racconta con decisione Alessandra-. Mio padre ne ha ricevute tante, ingiurie, invettive, ma non ha mai mandato due righe alla Procura. La denuncia non gli apparteneva, non era nel suo modo di fare politica. E quando si è visto attaccato in questo modo (gli fu contestata un’assunzione senza utilizzare il concorso), senza poter dire niente fino al processo, lo ha amareggiato molto, soprattutto sapendo che veniva da persone interne al suo partito. Papà è stato anche fortunato perché la sua vicenda giudiziaria si è conclusa nell’89 con la Cassazione, che ha sancito come di fatto non ci fosse stato nessun reato, tant’è che quelle stesse modalità di assunzione che gli venivano contestate sono diventate legge. Stessa cosa avvenne per i terreni all’Incoronata. Non è stato tanto il fatto di dover andare a rispondere davanti ai magistrati delle sue condotte, ma le modalità subdole con cui tutto ciò avveniva, solo per metterlo fuori gioco dalla politica. Guarda caso proprio in quel momento De Mita disse che chi era indagato non poteva presentarsi nelle liste. E così papà non aveva i requisiti per ripresentarsi alla regione. E’ la cosa che più lo ha amareggiato. Ma per lui, quanto per noi, quegli anni sono stati decisamente formativi, una scuola di vita”. Si inserisce Paolo. “In questo posso dire forte che noi figli ci sentiamo dei privilegiati, perché da quelle vicende abbiamo ricevuto un’educazione senza pari”. Vicende che però lo hanno segnato profondamene. “Quando lui ebbe le prime disgrazie giudiziarie diede immediatamente le dimissioni dai suoi incarichi pubblici. Né li ripretese quando concluse. Probabilmente qualcun altro avrebbe ripreteso i suoi incarichi, ma lui non lo fece, né gli furono offerti perché chiaramente a quel punto era un personaggio scomodo”.
Tanti ancora sono i pensieri che volano veloci, accompagnando le foto e i documenti che la signora Lidia ci porta via via. Noi cerchiamo di raccogliere quanto più possibile. L’ultima foto è quella di un Nicola Notaro mai visto. “Una volta finite tutte le attività si era dedicato al suo orto – racconta con tenerezza la moglie-. Si impegnava lui in prima persona, insieme ai nipotini. Era diventata la sua grande passione”. E’ Paolo a concludere con un pensiero. “Con la sua morte non abbiamo perso solo un padre, ma un punto di riferimento. E l’ha perso non solo la famiglia ma l’intera città”.
Testo di Giuseppe Ritucci
Foto di Costanzo D’Angelo