Michele La Verghetta è il mister per antonomasia, un’icona insostituibile del calcio giovanile, 32 anni di carriera tra i ragazzi, tutti da volontario, un grande amore per i giovani e per la Pgs. La prossima per lui sarà una stagione diversa, dopo aver allenato oltre un migliaio di bambini, ricoprirà il nuovo incarico di presidente e coordinatore della Pgs Vigor Don Bosco, lasciando la storica panchina.
E’ un fiume in piena di aneddoti e ricordi il mister, difficile trovare a Vasto qualcuno che abbia giocato a calcio e non sia stato allenato da lui. “La soddisfazione più bella è quando mi incontrano per strada, mi salutano e mi rispettano, ne ho avuti così tanti che in alcuni casi non li riconosco, a volte gli chiedo: ‘ma chi sei?’”.
Di cose da raccontare e ha tantissime, tutto ha inizio nel 1980, anche grazie alla passione di ragazzi come Alfredo Scotti, Marcello Benoit Fioravante, Nicolino Colafabio, Lino Nutini e Antonio Scarpone.
Si ricorda il suo primo giorno?
Mio figlio Alessandro andava a giocare al campo dei Salesiani dietro la chiesa, mi sono proposto per dare una mano e così è iniziata questa lunga storia d’amore. La Pgs è nata con scopi ben precisi, prima di allenare devi fare l’educatore, nel 1980 è partito il progetto e nel 1982 ha preso ufficialmente corpo. L’obiettivo era educare, fare gruppo e aggregazione, all’epoca i sacerdoti davano una grossa mano, ma poi a lungo andare questo aiuto è venuto meno, così ce la siamo vista noi allenatori, consiglieri e animatori. Devo ringraziare Don Stella, Don Giovanni e i mie collaboratori, anche se per lavoro o motivi di famiglia sono stati costretti a lasciare. Grazie ai dirigenti che quando si muovevano facevano il massimo, tutti professionisti. La Pgs ha un pregio rispetto alle altre, è un’associazione non a scopo di lucro, gli altri lo fanno sempre per un ritorno economico, noi mai. Ho portato avanti questo progetto affinché i ragazzi crescessero sani.
Quali erano le differenze rispetto ad oggi?
C’era una grossa differenza, prima c’era molta educazione da parte di genitori e ragazzi, prendevano un impegno e lo mantenevano, oggi no, ogni anno che passa cambia di molto, non solo tra i ragazzi, ma anche tra i genitori. A volte bisognerebbe fare prima scuola di educazione e aggregazione a loro e dopo ai figli. Un grande limite dei settori giovanili è che ci vorrebbe una persona adatta che prenda la situazione familiare di ogni bambino, in passato le famiglie erano più unite, oggi sono separate. I ragazzi del 2002, 2003, 2004 hanno i procuratori, sono la loro rovina. Se una squadra di A e B deve andare a contattare quel ragazzo e sa che ha un procuratore non lo cerca più, a meno che non sia fortissimo. Tutti si sentono già arrivati, quando invece hanno parecchia strada da fare.
Dove vi allenavate?
Al campetto dietro la chiesa dei Salesiani, che con il tempo abbiamo ampliato e sistemato facendo spogliatoi con docce, illuminazione e il manto, tutto a carico della Pgs per attirare gente a giocare. Il pallone fa l’uomo, giocando a pallone o allenando. Prima di pensare a creare calciatori dobbiamo pensare a creare l’uomo.
Lo rifarebbe?
Ne sono contento, farei le stesse cose. L’unico rammarico è che non mi sono goduto i figli e mia moglie per gli altri, dovevo stare più insieme. Quante volte, e a ragione, mia moglie si è arrabbiata. Adesso ho intenzione di godermi di più la famiglia.
Come mai ha deciso di smettere?
A parte l’età, non c’è un ritorno, ma non intendo economico, ho sempre fatto tutto da volontario, anzi ci ho rimesso parecchio. Durante questi anni ho cresciuto uomini, che oggi hanno moglie e figli. Adesso è impossibile fare il lavoro di una volta, ci vuole tanta pazienza per educare calcisticamente, insegnare le basi. Se non ci sono le qualità è importante fare gruppo e farli divertire. Il ragazzo deve andare dove sta bene e si diverte, in un ambiente sano. Se consideriamo questi fattori si va avanti nella crescita del ragazzo, se invece, soprattutto i familiari, pensano che il figlio sia un fenomeno, criticando le scelte dell’allenatore che non lo fa giocare, esaltando il bambino a 7/8 anni, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto, è una vergogna. Mi hanno fatto passare la voglia. Inoltre c’è gente di altre associazioni che appena vede un buon giocatore va dai familiari per tesserarlo promettendo che non faranno pagare l’iscrizione e che lo porteranno a giocare in serie A. I genitori si lasciano convincere senza pensare dove è stato prima, che il mister ci ha messo tre anni per insegnare prima l’educazione e poi il calcio. Questo non viene preso in considerazione, non c’è riconoscenza, in questo modo rovinano i ragazzi senza sapere dove vanno a finire. 4 anni fa ho fatto un accordo con un’altra associazione di Vasto, non arrivavo a fare una squadra di esordienti, così ho proposto di unirci, a fine campionato l’altra società ha riunito i miei ragazzi con i genitori e li ha tesserati senza dirmi nulla.
Il momento più brutto e il più bello?
Il più brutto quest’anno per questa decisione e tanti altri motivi. Il più bello le vittorie di campionato e la coppa Abruzzo. Anche quando qualche anno fa abbiamo vinto un torneo con i pulcini regionali e poi siamo andati a Coverciano a giocare contro Inter, Milan e Roma.
Il più forte che ha allenato?
Tutti dicono Roberto Inglese, ma non si può dire, è difficile, sono varie categorie e tempi non paragonabili. 20 anni fa c’erano giocatori bravissimi che però non erano seguiti. Uno molto bravo è Napoletano, del ’99, lo cercano Lanciano e Pescara. Domenico Reale grande giocatore, aveva un sinistro che era una bomba, quando tirava era uno spettacolo. Tanti potevano riuscire, ma qui non c’era una scuola calcio come si deve, quelle che ci sono non sono scuole calcio. Ricordo anche Fabio Spadaccini, ne ha scartati di seguito 6/7 poi ha fatto una finta e con il portiere a terra è entrato con la palla dentro la porta. L’allenatore dell’altra squadra è venuto da me e mi ha chiesto: “Ma questo da dove viene?”. Marcarlo era difficilissimo.
Ne ha allenati così tanti che è difficile ricordarli, ma in molti erano promettenti.
Non me li posso ricordare tutti, c’erano Nicola e Mirco Cicchini, Mirco poteva sfondare, era coordinato, caratteristica fondamentale per un giocatore. Uno bravo era anche Alessio Perazzoli, aveva smesso l’ho ripreso. Prima c’erano tanti bei giocatori: Luca Grassi, Vincenzo Russo, Enzo Savelli, Luigi Smerilli, Manuele Nanni, Marco Dilio, anche suo fratello Francesco, un centravanti forte, freddo, di posizione, se sbagliavi ti puniva. Nicola Sputore, un fucile al posto della gamba, quando tirava il portiere si girava, poteva fare carriera anche lui. Oppure Alessio Spadaccini, dieci polmoni, non si dava mai vinto, non si stancava mai, non so come facesse, rompeva e costruiva, sapeva fare tutto, uno che lo doveva marcare faceva fatica a corrergli dietro, aveva anche un grosso fisico. C’erano i fratelli Fiore, Saraceni, D’Ippolito, Mazzatenta, Stefano La Verghetta, bravissimo, ma gli infortuni lo hanno penalizzato, grande presenza fisica, alto e veloce. Alcuni, come Amodio, non sono stati seguiti, è andato al Lanciano, la Pro Vasto non lo voleva, è stato capocannoniere, se non lo avessimo ceduto non avremmo potuto giocare all’Aragona. Tra gli altri anche Romano Vetta, Michele Vino, Levino D’Ercole, Mirko Zollino, si muoveva molto bene, Michele Cianci grande giocatore, era bravo anche suo fratello Giuseppe, la rappresentativa lo convocava sempre.
Tra i suoi allievi anche un futuro cantante e un allenatore.
Luca Di Risio era una bella ala sinistra, cattivo agonisticamente, con il tiro potente, aveva smesso, sono andato a casa, il padre disse che doveva prima studiare, poi è tornato a giocare, ma la carriera musicale ha preso il sopravvento. Michele Stivaletta è un ottimo allenatore, adatto ai ragazzi. Nicola Stivaletta invece era il computer della squadra, faceva anche il libero, passato al Pescara, Scibilia mi promise in cambio attrezzature sportive, le sto ancora aspettando. Non dimentichiamo Maurizio Alberico, un altro che può fare carriera è suo figlio Alessio, ma gli piace troppo la palla, ne è innamorato. Oggi si deve essere rapidi, se scarti troppo poi ti picchiano, bisogna raddrizzarli ora. Come Umberto Cristini che non passava mai, ti rispondeva: “Tu dammi una maglietta e poi ci penso io”. Bravo anche Willy Baccaglini, l’ho schierato centrale difensivo, aveva un fisico possente, metteva paura, per avviarsi ci metteva tempo, ma poi faceva la differenza. E poi il portiere Domenico De Felice, volava, era un piccoletto, oggi è in Australia.
Qual è stata la squadra più forte che ha allenato?
Quella con Luca Grassi, Nicola Stivaletta, Michele Cianci, Mirko Zollino, Michele Celeste, Alessio Zaccaria, Alessio Maccarone. Abbiamo vinto la coppa Abruzzo e il campionato allievi provinciali senza mai perdere una partita, solo 3 pareggi, c’erano 24 squadre. Un’altra bella squadra era quella con mio figlio Alessandro, Alessio Spadaccini, i gemelli Franchella, Marco Dilio, abbiamo vinto il campionato perdendo una sola partita e pareggiandone due. C’erano Remo Grassi, Alessandro Grassi, Daniele Marchesani in porta, Daniele Vicoli, si incollava al centravanti e non lo faceva girare, Fabio Bottari, Argentieri, Lillo Molino e Gianluca Lattanzio che era fortissimo. Ne ho avuti tanti bravi, ma per fare il calciatore non servono solo i piedi, ci vuole la testa, la testa comanda i pedi, a volte invece c’erano casi in cui i piedi comandavano la testa. Gli allenatori di oggi sapendo che il giocatore reagisce subito gli attaccano un mastino, lo provocano, così lui risponde, anche questa è testa, sapersi controllare.
Com’è stato allenare suo figlio?
Solo per due stagioni, dai 15 ai 17 anni, giovanissimi e allievi, lo sostituivo sempre per primo a risultato acquisito per fare posto agli altri, mi dispiaceva, toglievo uno che sapeva amministrare a centrocampo con lanci che erano una bellezza, uno che è stato capocannoniere quando siamo diventati campioni provinciali con 28 gol in 28 partite, ma dovevano giocare tutti.
Ha mai avuto offerte per allenare altrove?
Parecchie, anche in Promozione, un anno ho ricevuto una proposta dal Torino per collaborare, ma ho preferito dedicarmi a questo amore per la Pgs e i giovani, anche per motivi di lavoro. Con i ragazzi c’è più soddisfazione, impari. Conservo ancora tutti i tesserini, saranno oltre un migliaio. Non ho mai chiesto premi di valorizzazione, nè altro, nonostante tanti siano andati in molte squadre di Promozione e Prima Categoria, l’unica società che mi ha dato un contributo è il Vasto Marina, Pino Travaglini e Pierpaolo Tognoni per 4/5 juniores, gli unici soldi che ho avuto in tutti questi anni.
Ha tradito la Pgs solo per un brevissimo periodo.
C’era un prete un po’ particolare, mi diceva che il calcio non interessava, allora me sono andato alla Bacigalupo, ho subito fatto risultato, ma quando uno viene a comandare nelle mie cose non va bene, dopo 6 mesi sono andato via. C’era un ragazzo marocchino bravo, aveva un nome complicato, gli dissi: “Non ti so chiamare, ti chiamo Giovanni o Pasquale, quando senti questi nomi girati”. Il presidente non voleva farlo giocare con la scusa del certificato medico, ma non era vero, lo prendeva in giro, faceva gli allenamenti ma non giocava, bastava dirlo, non dovevamo fargli perdere tempo. Una domenica poi voleva anche fare la formazione, l’ho cacciato dallo spogliatoio, la formazione la faccio io, se non va bene preferisco andare via e così è stato.
Ci racconti qualche episodio divertente.
Giocavamo a Mozzagrogna di mattina, trovammo un arbitro ubriaco, quando ha fatto l’appello i ragazzi mi dissero che puzzava di vino. C’era tanto fango, in squadra c’erano Fabio Bottari e Vincenzo Bassi, eravamo a pari punti con il Lanciano, era ultima partita, la palla entrava, superava la linea, ma il fango la bloccava prima della rete e l’arbitro non fischiava. Ho detto ai ragazzi che la rete si doveva muovere, altrimenti non convalidava il gol, abbiamo vinto 2-0. A fine partita dagli spalti insultavano l’arbitro, lui si è tolto la maglia e ha sfidato tutti. Un anno in Terza Categoria andammo a giocare a San Giovanni Lipioni in 11 contati, Remo Grassi si dimenticò il documento, l’arbitro lo conosceva, ma senza documenti non lo ha fatto giocare. Così tornò a Vasto per prendere la carta d’identità ed entrare nel secondo tempo, ma quando è tornato l’arbitro non lo ha fatto entrare perchè era già passato un tempo, stava finendo il mondo. Una volta nella vecchia 127 per andare a Lanciano ho fatto entrare 8 ragazzi. Un’altra volta vincevamo 10-0, Michele Cianci era stufo, ha preso palla e tirato verso la propria porta da centrocampo. Luigi Monteferrante usava solo il sinistro, per insegnargli a giocare di destro gli ho legato il piombo al sinistro così poteva tirare solo con il destro, niente da fare, comunque lui pur facendo uno sforzo immane tirava di mancino, il destro non lo usava mai.
Com’era il Michele La Verghetta giocatore?
Cattivo, allora si chiamava “lu centrabbacc”, centromediano, si giocava a uomo con libero, stopper e i due terzini, con mediani e mezzala. C’erano bei giocatori, come Amodio che faceva gol a grappoli, giocavamo all’Aragona, dove c’erano sterpaglie di erba alta. Il campo era un problema, il segretario tuttofare della Pro Vasto a noi che giocavamo con la Bacigalupo, che era la seconda squadra, per avere l’Aragona ci dovevamo raccomandare, anche se dovrebbe essere di tutti, ma noi dovevamo ringraziare l’avvocato De Mutiis. All’epoca ci si andava ad allenare in una palestra che si trovava vicino l’ex istituto d’arte, si chiamava la ricreazione sportiva. Ci alzavamo alle 5, era prevista un’ora e mezza di allenamento fatto da Lellino Raimondi, ex giocatore fortissimo della Pro Vasto. La mia famiglia era composta da 8 figli, 10 in totale, mio padre si ammalò, aveva l’asma, non c’erano cure e ha smesso di lavorare e a 12 anni io ho smesso di andare a scuola per fare il muratore per 15 lire al giorno. Sveglia alle 6 per iniziare alle 7 se avevi lavoro dentro Vasto, ,ma non c’era, o a San Lorenzo, o a Vignola e ci dovevi andare a piedi. Il lavoro di allora era più pesante, senza gru, sopra e sotto per le scale con i mattoni sulle spalle, quello era il mio allenamento.
Che ricordi ha di quel calcio?
Non ti guardava nessuno, l’allenatore non c’era, a me lo fece un certo Carminuccio, che poi si è trasferito a Milano, qualche cosa sapeva fare. Era tutto più sano, con maggiore educazione e rispetto, si picchiava, ma si era corretti, adesso se tornassi indietro ai miei figli non farei fare mai calcio perché c’è un insegnamento negativo che arriva da coloro che dovrebbero dare un insegnamento positivo, non sono da esempio per i ragazzi. Gli farei fare basket, pallavolo, nuoto, sport di squadra puliti. Il calcio oggi nell’ambito nazionale è sporco, gente che guadagna tanti soldi si vende le partite, abbiamo chiuso. E’ un brutto esempio per chi vuole intraprendere questa sport. Tutti i familiari spingono i figli al calcio per fare soldi, ma tanto ne esce uno ogni migliaia se va bene. Io mi farei come familiare un esame di coscienza, dopo che vado a vedere una partita di calcio giovanile e sento parolacce, vedo tanta maleducazione, come posso pensare di iscrivere mio figlio? A cosa serve? Ci vuole un ambiente sano.
Che campionati facevate?
Partecipavamo al campionato Csi, Centro Sportivo Italiano, con le squadre dei quartieri: San Pietro, San Michele, Belvedere, Santa Maria, c’erano tanti bei giocatori, ma non correvano soldi come adesso, i parastinchi non si sapeva cosa fossero. Io per avere soldi imbiancavo sabato e domenica mattina un appartamento, 2/3 camere, per avere 1.000 lire in tasca. Un giorno si faceva la finale, San Pietro contro Santa Maria, giocavano Ercolano, Mileno contro noi con Cinquina, Lattanzio che aveva un oreficeria in corso Garibaldi. Si doveva giocare all’Aragona, l’arbitro era Mario Santarelli, giornalista e mio compare. Alle 11, finito il lavoro a Vasto Marina, ho messo sulle spalle la scala e sono risalito con la bicicletta, al campo ero senza scarpe, quelle da lavoro non si potevano usare e giocavi scalzo su quel terreno che faceva molto male. Abbiamo vinto, Ercolano e Mileno ci sono rimasti male. Al turno successivo a Pescara siamo andati tutti insieme misti, con 3/4 elementi delle varie squadre.
Da esperto come vede la situazione del calcio a Vasto oggi?
A Vasto non si può fare calcio, non si è mai potuto fare, c’è molta invidia, si pensa solo agli interessi personali, prima si faceva per uno scopo ben preciso. Dovevo fare 10 e sapevo che tornava 20. Adesso invece è diverso, non si ha un programma a lunga scadenza. Tra 10 anni dobbiamo avere una squadra composta da tutti vastesi, partendo oggi dai pulcini e facendo tutta la trafila con gente preparata, un serbatoio. I pulcini devono essere non più di 15, tutti della stessa età, con un anno in meno vanno portati alla squadra superiore, se questo non avviene non si lavora bene. Bisogna fare tutti della stessa età, senza mischiare. Così esce gente che può giocare a calcio ad alti livelli. Non serve che vincano campionati, ma che crescano e se riesco a venderne uno ci faccio tutto il campionato con quei soldi. Questo non è mai stato fatto a Vasto. Il settore giovanile permette di avere giocatori per la prima squadra, non si spende e si guadagna. Per fare questo ci vorrebbe una sola società. Fare delle cose oggi per domani non porta a nulla, solo discordia e rovina dei ragazzi che si presentano a certi livelli per i soldi, ma per giocare bene ci vuole sacrificio. Ci vogliono campi sportivi in erba, abbiamo campi pessimi.
Che consiglio vuole dare ai giovani allenatori?
Nella vita bisogna sempre migliorarsi, specialmente un allenatore si deve aggiornare, ora il gioco del calcio è sempre in evoluzione, ci sono tante cose che migliorano l’atleta. Ho visto gli allenamenti di Zeman due giorni ai tempi del Foggia, pensavo fosse matto, anche se ora si è calmato, i giocatori con un quintale di sabbia su spalle facevano i gradoni, c’era gente che piangeva, ma i risultati la domenica si vedevano avevano una marcia in più e duravano.
Cosa le mancherà della panchina?
L’aggregazione, l’amicizia, sono le cose più belle. La Pgs è sempre viva, quest’anno riparte da capo, la scuola calcio non costa nulla, in più diamo borsa e tuta. Vogliamo far diventare i ragazzi veri uomini, il calcio interessa fino ad un certo punto, l’importante è che stiano insieme, si conoscano e si confrontino con altre realtà e squadre, che facciano esperienza positiva che un domani possa essere gioia di vivere, il gioco del pallone è gioia di vivere. Voglio ringraziare tutti i ragazzi che ho allenato e i loro familiari e se qualcuno avesse bisogno della mia opera sono a loro completa disposizione, da volontario, come sempre.
Questa sera è in programma una grande festa in onore del mister dalle ore 21.00 in poi in via Adriatica, presso il ristorante La Banda degli onesti. Tutti i suoi allievi sono invitati a partecipare.
Nella fotogallery le immagini di oltre 30 anni di carriera con molti dei ragazzi allenati.
Foto – Michele La Verghetta
Oltre 30 anni di carriera del mister dei mister in immagini, con tante foto dei ragazzi allenati



























































































