“Anche da noi è un fenomeno dilagante”, spiega Amina Di Fonzo, psicologa del Cat, centro alcologico territoriale di Vasto, che si occupa di combattere l’alcolismo e di spingere tante persone a uscire dalla schiavitù della bottiglia.
Verso la sobrietà. E’ lo slogan scelto per identificare il Cat nato in città il 14 febbraio 2012, con sede in via Pampani, nel centro storico. “Non vogliamo essere proibizionisti, ma anche a livello locale il problema sta assumendo proporzioni preoccupanti soprattutto tra i giovani, tra cui il bere è diventato una moda creata da falsi miti: sballarsi per non pensare”, è l’analisi della dottoressa Di Fonzo, che insieme al suo collega Dario Verrone era presente nello stand allestito dal SerT in piazza Rossetti durante la Notte Bianca per lanciare un messaggio: in una serata in cui l’abuso di alcolici è un rischio concreto, “si può, invece, bere con moderazione”.
Al lavoro istituzionale svolto dal SerT di corso Mazzini, che si occupa di assistere i pazienti di un’ampia area territoriale, che comprende il Vastese, Lanciano, la zona frentata e la Val di Sangro, ossia due terzi della provincia di Chieti, si affianca quello del Centro alcologico territoriale di Vasto.
“E’ un fenomeno dilagante”, dice Di Fonzo. “Crea una dipendenza fisica e mentale. La dipendenza inizia quando cominci la giornata col pensiero di bere”. A quel punto, l’alcolismo diventa “un problema di tutta la famiglia”. E, infatti, “sono 10 i nuclei familiari che hanno chiesto aiuto al Cat di Vasto. A differenza di quanto si possa pensare, non sono famiglie che vivono disagi economici legati alla crisi, anzi sono persone che hanno un tenore di vita medio-alto. All’inizio, si tende a minimizzare l’effetto degli alcolici, che rappresenta un rifugio per combattere le difficoltà nei rapporti sociali, nel mettersi in relazione col prossimo. Ci sono anche molte donne, tante bevono di nascosto. Tra le pazienti, ne abbiamo avuta una dell’entroterra vastese morta di cirrosi epatica. Arrivò da noi convinta di poter superare la malattia, che invece era già in stato avanzato. Purtroppo, è morta due mesi dopo. Il club non prescrive medicinali, ma segue il metodo Hudolin. Ognuno racconta la sua storia e ottiene aiuto attraverso l’approccio ecologico-sociale. Le nostre medicine sono amore, solidarietà e amicizia”.