Penso una cosa. Se mio nonno non fosse stato emigrante in Francia, avesse lavorato lì per mettere su famiglia, oggi magari non sarei qui a raccontare questa storia. Potrebbe essere un dettaglio che poco interessa ai lettori ma, nei quasi 4 mesi di Storie della domenica, Costanzo ed io abbiamo incontrato sempre vastesi che, in qualche modo, hanno segnato un pezzo di storia della comunità. Ma la nostra comunità oggi è composta anche da tante persone che hanno cognomi molto diversi dai Marchesani, D’Adamo, Laccetti, Perrozzi e così via. Mettiamoci che anche Costanzo ha vissuto qualcosa di simile, con il papà emigrato in Svizzera e poi rientrato in Italia. Così, quando siamo andati ad incontrare Hamid Hafdi, nato e cresciuto in Marocco ma ormai da tanti anni in Italia, lo abbiamo fatto con tanta voglia di ascoltarlo. Io lo conosco da diversi anni, però mai mi ero fatto raccontare la sua storia. E così, in un pomeriggio di inizio estate, andiamo a trovarlo nella sua casa. Lui ci accoglie con un sorriso e ci fa accomodare nel piccolo soggiorno.
La prima cosa che mi colpisce sono i mobili. C’è il tipico divano marocchino, quello che non manca mai nelle abitazioni dei suoi connazionali. Sulla parete di fronte c’è un mobile in stile moderno. “Abbiamo cercato di unire un po’ tutto – ci spiega Hamid-. Il divano basso è tipico delle nostre case, di solito c’è una sala grande dove si accolgono anche gli ospiti. Questa casa è piccolina quindi ci adattiamo così”. Sul mobile moderno ci sono delle coppe, “sono i premi di mia figlia Yusra, che va in barca a vela”, e poi un trabocco realizzato a scuola sempre dalla figlia. “Con il trabocco in casa possiamo dire che sei davvero vastese”, gli dico io. Prendiamo posto sul divano e mentre Costanzo va “a caccia di particolari”, tra i libri scritti in arabo, i quadri e le foto di famiglia, chiedo ad Hamid di raccontarmi la sua storia. “Vivevo a Casablanca. Poi, finita la scuola, decisi di venire in Italia, perché avevo il sogno di lavorare nel settore della moda. Andati a Milano, il luogo che offriva maggiori possibilità in questo campo, dove c’era già mio fratello. Era il 1986”.
Nella capitale lombarda Hamid frequentò dei corsi per modellista. Ma poi portare avanti il suo sogno voleva dire iniziare a lavorare gratis presso le aziende, come capita troppo spesso anche oggi. E così fu costretto a trovare altro. Iniziò a lavorare una fabbrica che produceva sacchetti (per grandi marchi). Ed è con quella stessa azienda che arrivò a Vasto. “Nel 1992 l’azienda apriva uno stabilimento a Vasto. La prima volta che arrivati rimasi stupito dalla bellezza del posto, completamente diverso dal caos di Milano”. E così ad agosto del 1992, Hamid e sua moglie si stabilirono in riva all’adriatico. In questi 21 anni Hamid e la sua famiglia si sono integrati nella comunità vastese. Lo stile di vita cambia, e non di poco, tra Milano e Vasto. “Qui, una volta finito di lavorare, resta tempo per fare altro, per incontrare le persone. A Milano era tutto più frenetico”. Una vita serena, quella di Hamid. “Non ho mai avuto nessun problema qui a Vasto, nessuna chiusura netta nei miei confronti”. Dall’incontro con altre persone, in particolare straniere, è nata l’esperienza dell’associazione Adriatica per Immigrati. “E’ nata nel 2002, come occasione per aiutare a risolvere una serie di problematiche e per stare insieme. Così ho iniziato a tenermi sempre aggiornato, di studiare le leggi sull’immigrazioni che cambiano di continuo”. Nel 2003, poi, Hamid ha frequentato il corso per mediatore culturale, “anche se costava tanto”, dice sempre sorridendo. “E così ho iniziato questa attività anche con il Comune, con alcune ore di sportello”.
Esperienza che si è aggiunta a quelle già fatte a livello di volontariato. Oggi è in mobilità, perchè l’azienda ha chiuso. E sta lavorando, per i lavori socialmente utili, presso l’Urp del Comune di Vasto. “Fino a quando non termina la mobilità, poi vedremo”. Qualche difficoltà, nella sua esperienza di vita, non manca. “Quando torno in Marocco mi considerano uno straniero, perché sono via da tanti anni. Ma anche qui sono uno straniero. Insomma, sono straniero da tutte le parti!”. Il rapporto dell’Italia con gli stranieri (anche se vivono qui da ormai tanti anni) è sempre complesso. “Spesso si dice che gli stranieri tolgono il lavoro agli italiani. Ma non è così. Anni fa, quando l’Italia stava bene, gli stranieri venivano per fare quei lavori che gli italiani non volevano fare. Ora, con la crisi, gli italiani guardano anche a quei lavori che prima non accettavano e che sono poi stati presi dagli stranieri. E così si dà la colpa della mancanza di lavoro agli stranieri, invece di darla a chi ha provocato la crisi”. A Vasto l’integrazione non presenta particolare criticità, anche grazie al lavoro di enti e associazioni, che promuovono tante iniziative. “Io non ho mai avuto problemi, mi sono sempre sentito accolto”. Innegabile, però, che ci siano delle situazioni che non vanno, in città come in tutta Italia. “Come in ogni comunità ci sono le persone che si comportano bene e si comportano male. Ma le leggi italiane dovrebbero essere più efficaci, per evitare ogni problema”.
In casa di Hamid ci sono i libri del Corano. Ne apriamo uno che ha anche la traduzione in italiano, cerchiamo una Sura che vuole mostrarmi. I nostri sguardi si incrociano perchè io guardo le lettere da sinistra a destra, lui al contrario. Lui e la sua famiglia sono molto praticanti. “Preghiamo 5 volte al giorno e viviamo la nostra religione, ci teniamo. Però questo non dovrebbe essere un problema ma una cosa bella, perché ti aiuta in tante cose. Sarebbe bello avere un luogo di culto per poter dare opportunità alle persone di incontrarsi per pregare e anche per insegnare l’arabo ai ragazzi. E quello che manca è uno spazio per seppellire i nostri defunti. Oggi è un gran problema, perché siamo costretti a farli tornare nel paese d’origine o, se va bene, in altri comuni dove nel cimitero c’è uno spazio dedicato ai non cristiani. Sarebbe importante, per noi, poter seppellire qui i nostri cari”. La nostra chiacchierata prosegue serena, con il racconto di piccoli o grandi problemi che Hamid e la sua famiglia hanno incontrato nel rapporto con le persone. “Ma fanno parte della vita”, mi dice lui con una grande serenità. Come Hamid ce ne sono tante di persone che, nate in un altro luogo, hanno scelto di vivere in questa città e che condividono con chi qui ci è nato gli stessi problemi, lo stesso cielo e lo stesso mare. Prima di andare via simpaticamente faccio ad Hamid una “prova di vastesità”. Gli chiedo: “Hamid hai imparato un po’ di dialetto?“. Con l’inconfondibile sorriso annuisce. “Ho avuto un amico che mi ha insegnato tante parole”.
Testo di Giuseppe Ritucci
Immagini di Costanzo D’Angelo
Foto – Hamid Hafdi
Hamid Hafdi