Quella di Mario Lemme è una bella storia, la dimostrazione che i treni passano e i sogni dei bambini si realizzano, anche per quelli di Vasto. Nel 1990, a 17 anni, debutta in prima squadra con Ammazzalorso, Fermana-Vastese 1-1, ultima di campionato. L’anno prima lo aveva cercato il Milan, Fabio Capello dopo averlo visto in un provino a Milanello spese parole di elogio per lui, ma il ragazzo decise di non partire. A novembre del 1990 il Parma lo acquista per 600 milioni di lire, questa volta non può rifiutare e così inizia una carriera tra i big: Zola, Asprilla, Brolin, Apolloni, Minotti, Melli e Nevio Scala in panchina. Ha giocato in Coppa Uefa, in Nazionale Under 21, mai in Serie A, unico rammarico, ma neanche più di tanto, di un’esaltante avventura conclusa nel 2009, passando per piazze importanti: Vicenza, Cosenza, Salernitana, Ancona, Fidelis Andria, Reggiana, Monza, Modena, Fermana e Pescara.
Che ricordo hai dei tuoi inizi?
Giocavo alla 167 dalla mattina alla sera, dove c’era il campo da calcetto, quello era il nostro stadio. Nel 1983 ero nella Savas con Vincenzo De Guglielmo, Massimiliano Pagnottaro, Marco Auriemma, era una bella squadra, c’erano grandi potenzialità, ho un ricordo bellissimo. In seguito sono passato ai giovanissimi del Vasto 82, il tridente in attacco era composto da me, che giocavo a destra, Naccarella centravanti e D’Ainzara sulla sinistra, in tre abbiamo fatto oltre 100 gol, era un attacco super.
A proposito di Fiorenzo, lui è un altro vastese che ha visto da vicino il calcio della massima serie, riuscendo anche ad esordire.
Fiorenzo è un grande amico, gli infortuni lo hanno penalizzato, è un giocatore molto fantasioso, siamo diversi caratterialmente, ma il nostro sogno era quello di giocare insieme nella Pro Vasto, ci siamo andati vicino l’anno che sono tornato, 2003/04, c’era Innocenti, ma sono andato via ed è arrivato lui. Sarebbe stato un attacco da sogno.
Qual è stata la tua prima esperienza con la Vastese?
Nella stagione 1987/88 sono andato in ritiro a Roccaspinalveti, avevo 15 anni, l’allenatore era Renzo Rossi, c’erano Fiorillo, Paolucci, De Santis, Vecchiotti, Castorani, era una grande squadra, oggi potrebbe fare tranquillamente la C. Alla fine dell’anno vinse il campionato contro il Termoli.
La svolta per te arriva nel 1990.
A fine settembre, terza giornata di campionato, con Giammarinaro in panchina realizzai sotto la curva il mio primo gol con la Vastese, era la rete del pareggio contro il Giulianova, ero entrato da tre minuti. Poi a novembre il Parma pagò 600 milioni di lire a andai via, l’anno prima mi voleva il Milan, andai a Milanello per il provino insieme a Fabrizio Gattella, rimasi 3 giorni, dormivo nella camera di Tassotti. Erano tutti ragazzi nati nel ’71 e ’72, ero l’unico del ’73, erano gli anni di Sacchi e c’era il mio idolo Van Basten, nella prima partita con i giovanissimi ho fatto 2 gol, poi ho giocato contro la Primavera di Albertini, allenata da un certo Fabio Capello che a fine allenamento mi fece rimanere per calciare in porta, mi fece i complimenti e mi disse che l’anno successivo sarei stato uno di loro.
Però non ci sei andato.
Stavo male, vedere a Milanello quel cancello lì fuori, quella strada, quel clima, a quell’età non ce l’ho fatta. I miei genitori mi vedevano piangere, ero molto legato a Vasto, non hanno fatto pressioni.
Il treno per fortuna passò un’altra volta.
Non potevo perderlo, mi voleva il Parma di Tanzi che aveva un grande progetto, c’erano Scala in panchina e giocatori come Grun, Apolloni, Benarrivo, Melli, Osio, Zoratto. Nonostante tutto ero ancora un bambino, non mi rendevo conto della grande opportunità che mi stava capitando e fu dura, l’ho saputo solo una settimana prima. I miei genitori non mi hanno mai costretto, mi hanno detto di fare ciò che volevo, ma sapevano anche loro che non potevo perdere un’altra occasione e alla fine ho firmato.
Com’è stato l’impatto con quella nuova realtà?
Ero in camera con Sebastiano Siviglia, che è stato anche al mio matrimonio e con Antonio Sconziano del quale sono stato testimone di nozze. Eravamo una decina di ragazzi, alcuni venivano da Venezia, altri dal circondario, la maggior parte la sera tornava a casa, io mai. Avevo 17 anni, era difficile a livello ambientale, non tanto a livello calcistico, studiavo all’industriale, ma ho smesso, anche se i miei ogni tanto mi chiedono ancora oggi di diplomarmi.
Come sei riuscito ad integrarti?
Ho iniziato nei tornei di fine stagione, dal Viareggio in poi, mi sono sentito del gruppo, ho preso parte al ritiro di Folgaria del 1991 con la prima squadra, poi sono andato in prestito al Vicenza di Ulivieri. A Parma mi hanno fatto sempre sentire uno di loro, con il tempo purtroppo perdi i contatti, ma ho avuto a che fare con grandi campioni molto umili, Melli, Asprilla e Zola che quando sbagliava un passaggio mi chiedeva scusa, a me che non ero nessuno. I più forti con cui ho giocato sono Zola, Maiellaro e Biagioni. Tra gli avversari uno che mi ha dato sempre molto fastidio è Pino Di Meo, siamo diventati amici e ci sentiamo, ma in campo era tremendo, mi strattonava e mi dava qualche botta di troppo.
In quegli anni sei stato convocato anche in Nazionale.
Nell’Under 21 di Cesare Maldini, in attacco eravamo io, Inzaghi, Delvecchio e Vieri. C’erano Cannavaro, Galante, Negro, Tresoldi, Bigica, Orlandini e Del Piero, ho ancora la sua maglia, quando in estate ci fu l’amichevole Parma-Juventus ce le siamo scambiate visto che ci conoscevamo.
A quel livello quanto è facile montarsi la testa?
Dipende da come sei, per fortuna ho avuto una famiglia che mi ha insegnato i valori della vita, mio padre era operaio e mia mamma casalinga, così è più facile, arrivi ad un punto che non ti manca niente, ma sei sai dare il giusto valore ai soldi sei più attento. Mi sono divertito, ma senza esagerare.
Importante anche la figura di tua moglie Valentina.
Mia moglie è stata ed è importantissima, fondamentale, avevo 16 anni quando ci siamo fidanzati, se non ci fosse stata sarebbe stato meglio, così non ero tentato a scappare per andare da lei, ovviamente scherzo. Per me è stato tutto più semplice da Ancona quando ha iniziato a seguirmi e vivere con me, è bello avere una famiglia vicino che ti sostiene sempre, nei momenti positivi e in quelli negativi.
Merito anche dei figli.
Certamente, da quando sono arrivati Giorgia e Nicolò è stato tutto diverso. La prima ha 15 anni, mi ha seguito fino a quando ho giocato a Fermo, poi si è stabilizzata a Vasto quando sono andato a Giulianova nel 2003 e ha iniziato le elementari. Nicolò ha 7 anni gioca nella Virtus Vasto, ruolo attaccante, calcia sia di destro che di sinistro. Si diverte, è presto per dire se farà il calciatore, la qualità c’è, ma non mi interessa cosa farà, deve divertirsi e studiare, seguirà quella che sarà la sua strada. Non l’ho iscritto io a scuola calcio, non gli è stato imposto, è stata una sua decisione.
Quali sono le partite che non dimentichi?
Verona-Cosenza 2-2 due gol a testa io e Inzaghi. Ricordo anche un triangolare con Cosenza, Roma e Napoli. La più bella in assoluto a Giulianova con il gol della vittoria campionato nell’Andria, ma anche nel derby Fermana-Ascoli del 2001, la maglia di quella partita va a ruba ancora oggi. Segnai il gol della vittoria, fu il più veloce della storia, dopo 8 secondi, sono entrato e l’ho messa dentro. Sono contento di aver giocato in stadi come Bentegodi, Marassi, Adriatico, San Nicola, Partenio, Massimino, San Paolo. Quando vinci le piazze sono tutte belle però mi sento più legato ad Andria, Cosenza, Fermo, ma anche a Reggio Emilia e Monza.
Che rapporto hai avuto con gli allenatori?
Buoni, ho avuto la fortuna di essere allenato da Papadopulo, Delio Rossi, che è un grande insegnate di calcio, ma anche Varrella, sacchiano convinto con cui ho giocato poco. Uno con cui non mi sono trovato molto è Dino Pagliari, è un sanguigno, oggi è al Pisa, ma ci rispettiamo, mi mandò anche un sms quando andai via. Fare l’allenatore non è semplice, c’è sempre qualche giocatore scontento.
Ti ispiri a qualcuno di loro?
No, è importante l’atteggiamento e lo spirito che hai in campo, devi avere voglia e passione, il modulo aiuta per l’organizzazione ma se non c’è amore per il calcio nessun modello è adattabile. A me piace il 4-3-3, se fatto bene è spettacolare e redditizio, dipende da come lo fai.
La tua prima, ma breve esperienza da allenatore del Vasto Marina com’è andata?
Ci sono da fare due distinzioni, tra campo e fuori, parlo del campo, il resto non mi interessa, fuori c’era sempre tanta confusione. Credo che abbiamo fatto un ottimo lavoro, abbiamo ereditato una squadra totalmente nuova con un budget ridotto, più della metà rispetto alla stagione precedente quando avevano allestito una compagine per raggiungere obiettivi importanti. Dopo un mese e mezzo di lavoro, 30 persone nuove, avevamo comunque un’identità e un’organizzazione. Bisogna dare merito al lavoro fatto dal punto di vista tecnico, fisico e tattico.
Perchè sei andato via?
Quando sono andato via i risultati e la posizione di classifica erano pienamente in linea con quelli che erano gli obiettivi del Vasto Marina, eravamo fuori dai play out con la difesa meno battuta del campionato, la juniores ad un punto dalla capolista, si poteva solo migliorare. Tutto con giocatori diversi da quelli che sono arrivati dopo e alcuni infortunati. Quando però non c’è unità di intenti non si può andare avanti, avevo chiesto solo una punta, mi hanno preso un portiere e ne avevo già uno che andava bene, questo fa capire tutto. Io e il vice allenatore Simone Di Santo, con il quale sono stato sempre in grande sintonia e al quale ho affidato la gestione della juniores, siamo stati lasciati soli, intorno a noi c’era tanta confusione.
Il bilancio è positivo?
Sì, nemmeno qualche dirigente aveva le idee chiare, ho letto che hanno fatto un miracolo, a me era stato detto da uno dei tanti direttori che la nostra era la rosa più forte dopo quella del Giulianova, allora salvarsi all’ultima giornata non è positivo. Lo dico con il massimo rispetto per Roberto Antonaci che ha dimostrato di essere un allenatore valido, ma non era una squadra allo sbando, i problemi erano esterni. Quando ci sono troppe teste è inevitabile, è anche il motivo per cui secondo me non ci sarà la possibilità di collaborare tra Vastese e Vasto Marina.
Tornando alla carriera da calciatore, hai qualche rimpianto? Forse non aver debuttato in Serie A?
Ho sbagliato ad andare via, potevo fare un altro tipo di carriera, ma di certo non mi posso lamentare, avevo esordito in Coppa Uefa contro l’Aik Stoccolma, poi contro il Vitesse e in Under 21. A 19 anni ero il quarto attaccante del Parma, andavo sempre in panchina, prima o poi avrei giocato, bastava saper aspettare il proprio momento. Scala credeva in me, avremmo dovuto giocare di sera nel posticipo contro la Roma, in onda su Tele+, Melli, Zola, Brolin e Asprilla non erano al top, l’intera settimana il mister mi provò titolare, ma poi mi fece scaldare tutta la partita e non entrai, anche se io ne ero convinto. Scala aveva cambiato idea, ci rimasi male, ma ci può stare, poi ho chiesto di andare via e sono passato alla Salernitana con Delio Rossi, feci gol all’esordio.
Chi ti ha aiutato ad arrivare?
La mia famiglia, Valentina, le mie sorelle e i miei genitori che non mi hanno fatto vivere il calcio in maniera esasperata, mi hanno fatto crescere in modo tranquillo, non come oggi che a livello giovanile si vedono scene eccessive. E poi mio zio Umberto Ranieri, uno di quelli che mi seguiva sempre, insieme a Nicola D’Attilio.
Il futuro di Mario Lemme è su una panchina?
Mi piace stare in campo, farò l’allenatore, valuterò eventuali proposte anche come vice, molto dipenderà dal progetto, si deve andare nella stessa direzione, spero di trovare una società con obiettivi chiari e precisi.
Potrebbe esserci ancora la Vastese sulla tua strada?
Adesso ha un mister serio e molto preparato come Nicola Di Santo, è giusto che si vada avanti con lui e con il mio grande amico bomber Peppe Soria. Un domani mi piacerebbe dare il mio contributo a patto che ci sia un progetto chiaro.
Foto – Le maglie di Mario Lemme
Le maglie di Mario Lemme e qualche foto storica.