“Dovevamo andare ad Enna, in Sicilia, con la Vastese, la dirigenza aveva in mente di fare il viaggio in pullman, avremmo fatto ridere tutti, ci mancavano solo i sacchi a pelo e le buste con la cena. Sono stato chiaro: ‘o l’aereo o non vengo’. E così il volo fu prenotato”. Angelo Di Giulio è da sempre fatto così, non le manda a dire. “Non era un capriccio, vivevo in simbiosi con la squadra, non esisteva l’individualità, ma il gruppo, mi battevo affinché tutti potessero giocare al meglio delle condizioni, eravamo nei professionisti e da tali dovevamo essere trattati”. Una specie di sindacalista moderno, dalla forte personalità. “Ho un carattere difficile lo so, ma non ci posso fare nulla, rifarei tutto quello che ho fatto”.
Di Giulio, originario di Monteodorisio, fa parte della lunga tradizione di portieri che ha avuto Vasto: “E non hai visto quelli che c’erano prima – dice – come Lamia Caputo, Castellini, erano dei mostri”. Ha vinto campionati non solo con la Vastese, ma anche ad Andria, Nola, Valdiano, Battipagliese. In biancorosso vanta 118 presenze in 7 stagioni, entra nel settore giovanile e fa tutta la trafila, a 15 anni viene convocato per la prima volta dall’allenatore Renzo Uzzecchini, nella stagione 1975/76, esordisce l’anno successivo.
Ricordi il giorno del debutto?
Avevo 17 anni, 7 novembre 1976, allenatore Pivatelli, Crotone-Pro Vasto, sono entrato insieme a Nicola Cericola, che ha segnato il gol del pareggio, ma abbiamo perso 2-1, ho preso il posto di Masoni, fece un errore, non eravamo in una buona posizione di classifica, i tifosi erano insoddisfatti, lui non voleva rientrare e fui buttato nella mischia ad inizio secondo tempo. Quell’anno fu l’unica presenza, giocavo con le giovanili e poi seguivo la prima squadra, mi portavano i dirigenti, andavo con loro a Bari, Salerno, Siracusa, Messina, Cosenza.
La stagione seguente hai iniziato a giocare con maggiore continuità.
Nel 1977-78 con Antonio Pasinato ho preso il posto di Gianfranco Troilo, in Pro Vasto-Matera fini 3-3 ma i suoi errori avevano compromesso il risultato, dalla partita seguente, a Pagani contro la Paganese, dicembre 1977, divenni titolare in pianta stabile e il turno dopo debuttai in casa all’Aragona contro il Catania vincendo 1-0, per loro era la prima sconfitta in campionato.
A quel punto ci furono i primi interessamenti della grandi squadre.
A 17 anni avevo già disputato 25 partite in C, che non era la C di adesso ma più difficile. Mi voleva il Genoa di Simoni, Pruzzo e Bruno Conti, oltre al Varese di Rumignani, ma allora decideva la società, che per lasciarmi partire doveva monetizzare, l’offerta non era adeguata e restai. Purtroppo nel 1978/79, con me c’era Elefante, retrocedemmo dopo aver perso lo spareggio contro il Gallipoli. Andammo in D con Orazi e anche in quel caso perdemmo lo spareggio per la C a Nocera Inferiore contro il Martinafranca ai rigori. Tutti ricordano quella partita, in porta andò Mancini, piovve per 24 ore.
Al termine della stagione 1980/81 la Pro Vasto fallì e le vostre strade si separarono.
Insieme a Vincenzo Fiorillo sono andato a Marsala in C2, con lui sono stato anche ad Andria e Nola. Dopo la Pro Vasto ho giocato sempre in squadre attrezzate per vincere i campionati, in piazze calde, con mister Pasquale Santosuosso, ero un suo fedelissimo, sarebbe dovuto venire anche a Vasto ma andò alla Juve Stabia e vinse il campionato. Tra i miei compagni di squadra ci sono stati anche Fabio Lucidi, Gaspare Umili, Pasquale Marino. Dopo 9 anni sono tornato nel 1989, un giorno incontrai per caso Vecchiotti alla villa comunale e ne parlammo. Avevo voglia di avvicinarmi e iniziare a pensare anche al lavoro che avrei fatto quando avrei smesso. Pagarono 30 milioni di lire alla Battipagliese il mio cartellino, c’era Ammazzaloroso, era sconosciuto, aveva preso il posto di Renzo Rossi, ma durò un solo anno, fu fatto fuori, la dirigenza voleva Giammarinaro che arrivò l’anno dopo e portò Tortora, Genovasi e Negri.
Che squadra era?
Tra le prime ad avere la panchina lunga, eravamo tre portieri: Valenzano, Di Giulio e De Filippis con 30 giocatori tutti stipendiati, ma fu un disastro, Giammarinaro fece spendere 1 miliardo e mezzo di lire, è stato l’inizio della crisi economica, prima del suo arrivo i conti della società erano in attivo. La causa dei fallimenti è anche sua, oltre ad aver smantellato una squadra vincente mandando via gente come Acanfora, Gaeta, Frioni, Giancamilli, Paolucci. Inoltre molti giocavano perché c’erano altri interessi, alcuni erano legati ai dirigenti e un giocatore aveva il potere di mettere in condizione un altro di essere mandato via per quanto fosse influente.
Uno con il tuo temperamento difficilmente poteva trovarsi bene in quella situazione.
Infatti sono finito fuori rosa, Giammarinaro mi chiese di fare il preparatore dei portieri, ma io avevo il contratto da giocatore, non volevo rinunciare a quanto mi spettava, così chiesi di trovare un accordo favorevole per entrambi. Mi promisero un lavoro e feci anche il colloquio alla Banca del Molise, ma poi non se ne fece nulla, a dicembre arrivò Valenzano, 10 anni prima mi faceva la panchina ad Andria.
La gestione societaria era diventata sempre più ingarbugliata.
Nella stagione 1991/92 le richieste di una squadra competitiva fatte da Giammarinaro non potevano essere accolte, i soldi non c’erano e arrivò Pelagalli, ex campione d’Europa con il Milan nel 1963. Fu esonerato, arrivo Florimbi che rimase solo due giorni e alla fine scelsero di nuovo Giammarinaro. Ad inizio stagione Michele De Foglio mi chiese di tornare, ma ormai avevo rotto con l’ambiente, mi contattò prima del ritiro il segretario Franco Nardecchia, avevo ancora un anno di contratto, così ci accordammo con una carta scritta che restavo ma non seguivo la squadra. A settembre mi volevano il San Salvo allenato da Taverna e il Termoli, entrambi in Eccellenza. Scelsi i molisani e vinsi con tre mesi di anticipo il campionato. Poi sono stato a Cupello, sempre per la prospettiva lavorativa che mi era stata paventata.
Da portiere vanti due particolari primati, almeno a livello locale.
Sono stato tra i primi a capire l’importanza del cambio di piede destro-sinistro e il primo ad usare le maglie fluorescenti 20 anni fa, perchè il portiere si deve sempre distinguere e perchè così all’avversario appare più grande.
In seguito è iniziata la carriera sulla panchina.
A Palmoli ero allenatore-giocatore in Promozione, poi Bacigalupo, Castiglione, Liscia, Calcio Vasto, Casalbordino, Vasto Marina, Torino di Sangro e la Lemme beach soccer, nella maggior parte dei casi con buoni risultati. Smerilli, Vetta, Sottile, Madonna, Spadaccini, Mastrangioli, Nicola e Francesco Salerni, sono tutti giocatori che ho allenato io, anche il direttore sportivo della Vastese Alfonso Calvitti ha iniziato con me.
Che allenatore è Angelo Di Giulio?
Ho avuto grandi allenatori come Aldo Bet, Franco Viviani, Pasquale Santosuosso, Pasinato, ma non mi ispiro a nessuno, dipende da giocatori che si hanno, mi piace la tattica, ti permette di vincere, sono zonaiolo convinto, ma in queste categorie non è possibile; stimo Capello e Trapattoni. Ho giocato una vita in porta e da lì si vedono tutti i movimenti, questo ha inciso sulla mia formazione. Sono un mister dal carattere forte, comando io, non scendo a compromessi, se lo faccio deve essere per il bene della squadra. Un presidente mi disse chi doveva battere un rigore, non esiste. Chi mi vuole deve seguirmi e farmi lavorare come dico. Dopo tanti anni di professionismo è difficile acquisire una certa mentalità, qui c’è chi non si allena e pretende di giocare.
Ti hanno mai proposto di tornare in biancorosso?
Con l’attuale società ho avuto un contatto dopo l’esonero di Vecchiotti per fare il preparatore dei portieri, ma poi non si è fatto nulla, sicuramente per via del mio carattere non sono ben visto, non mi sono mai legato a nessuno, solo e sempre alla squadra e ai miei compagni, per vincere.
Come giudichi la stagione della Vastese?
Il calcio è una cosa seria, va fatto da persone competenti, senza improvvisazione, ci sono tanti dirigenti scarsi in giro, più scendi di categoria più è difficile vincere, poi se ti chiami Vastese, tutti vogliono batterti. Vecchiotti ha sbagliato si doveva fare esonerare, non dimettersi, è inammissibile che ci siano delle imposizioni dalla società. Negli ultimi anni la Vastese o Pro Vasto è fallita tre volte, nessuno lo fa per passione e per amore, ma solo per interessi personali, l’unico è stato Peppino Baiocco, grande tifoso e grande presidente. Ricordo che la Vastese 1902 non è la Pro Vasto, fanno ridere quelli che prendono in giro i tifosi dicendo che il titolo della Pro Vasto è ancora disponibile anche se non si è più iscritta, tutti sanno che il titolo decade se non ti iscrivi.
Quali sono le carenze sportive cittadine?
Qui il calcio non si può fare, mancano le strutture e gente competente. 15 anni fa volevo aprire una scuola calcio con campo in sintetico, ma non è stato possibile, c’è un certo monopolio, tante illusioni di allenatori e procuratori che creano e vendono solo fumo negli occhi. A Vasto si gioca ancora sul cemento armato, siamo fermi a 20 anni fa. E’ emerso solo Inglese, grazie a Michele La Verghetta e a Giorgio Repetto che lo ha segnalato al Chievo.
Hai qualche rimpianto?
Non essere andato al Genoa o al Varese, che poi prese Rampulla.
Dove sarà il tuo futuro calcistico?
Non so, con il mio carattere è difficile trovare una panchina, ma non è un problema.