Michele Stivaletta è il vice allenatore della Vastese e il tecnico della juniores che quest’anno ha vinto il campionato provinciale Chieti. Nato a Pretoria in Sudafrica, laureato in Scienze dell’educazione e iscritto a Scienze Motorie a Chieti, da circa un anno in possesso del patentino da allenatore Uefa B. Alla prima stagione in panchina ha colto subito un importante successo, raggiunto tra tante difficoltà e bissando il trionfo della prima squadra, nella quale è arrivato come secondo di Nicola Di Santo da fine gennaio.
Per lui un passato da attaccante con qualche presenza anche nella Pro Vasto, dal 1997 al 1999, in Promozione ed Eccellenza. Insieme al grande amico Maurizio Alberico è stato presente sia alla precedente rinascita del calcio vastese che all’ultima di questa estate.
La tua avventura parte dal lontano Sudafrica, dove sei nato.
Mio nonno materno è stato prigioniero di guerra in Eritrea, in seguito si è trasferito in Sudafrica e ha vissuto lì tutta la vita, un bel giorno mia mamma è venuta a Vasto e ha conosciuto mio padre. Sono molto legato a quella terra, ci sono nato e ho vissuto a Cape Town, anche se per poco, circa 8 mesi, ma quando posso ci torno sempre molto volentieri. Un giorno vorrei allenare lì, è il mio sogno, è una nazione stupenda.
A tirare calci al pallone però hai iniziato in Italia.
La mia prima esperienza è stata nella Libertas a 6 anni e poi nella Pgs, ruolo attaccante, poi sono passato alla Pro Vasto e con Anzivino ho avuto l’opportunità di debuttare in prima squadra, per noi giovani allenarsi in quel contesto fu molto importante per la nostra crescita, il mister ci ha dato tanto. Poi mi sono trasferito a Roma per l’università e ho giocato a Pomezia e Jenne.
Che tipo di giocatore eri?
Una seconda punta, da allenatore oggi ho capito quali erano tutte le mie carenze, se non arrivi da un settore giovanile all’altezza te le porti dietro fino a quando smetti.
Sei uno dei pochi ad aver vissuto direttamente le due ultime rinascite del calcio vastese. Quali differenza ci sono state tra ieri e oggi?
Quello per tanti era un primo fallimento, quindi anche se giocavamo in Promozione ed Eccellenza la gente aveva voglia di rivalsa e veniva allo stadio, c’era una maggiore fame di calcio locale. Non ho alcun dubbio nel dire che rispetto a quest’anno durante il campionato di Promozione veniva nettamente più gente, io c’ero e lo ricordo bene.
Perchè hai deciso di fare l’allenatore?
E’ da sempre il mio pallino, mi piace stare in campo, con i ragazzi, con loro mi trovo molto bene, la comunicazione è la parte più importante.
Ti ispiri a qualcuno?
No, sono del parere che il modulo vada scelto in base alla rosa che si ha a disposizione e alla condizione dei giocatori.
Cosa chiedi ai tuoi ragazzi?
Equilibrio, penso sia al primo posto, soprattutto per me che non sono ancora un allenatore e non mi ritengo tale. Anche per questo gioco con il 4-4-2, le difficoltà per me sono inferiori ed è più facile da assimilare per dei ragazzi alla prima esperienza, come possono essere quelli della juniores.
A proposito di juniores, avete iniziato tardi, in pochi e senza tante speranze.
Eravamo partiti per arrivare a metà classifica, per non dire salvezza, la situazione iniziale non lasciava presagire un campionato di vertice.
Quali sono state le difficoltà maggiori?
Trattenere quei 2-3 che potevano fare la differenza, più trovare qualche altro. L’unione ha fatto la forza e sono grato ai ragazzi che hanno avuto fiducia in me e mi hanno sempre seguito. Pensa che qualcuno lo sono dovuto andare a recuperare mentre giocava a calcetto, altri li dovevo andare a prendere e riportare a casa. Non arrivando da un settore giovanile non sono tutti abituati a fare sacrifici.
Come li hai convinti?
Bisogna mediare, uno come D’Alessandro che lavora in fabbrica non può essere sempre disponibile, a volte andavamo la mattina a fare allenamento. Abbiamo stabilito di fare 2 sedute a settimana, arrivando anche a dei compromessi con delle regole ferree che dovevano essere rispettate sempre, come la puntualità e la serietà.
E’ difficile lavorare con i giovani?
Se non sono motivati non vengono al campo, il mio compito è anche quello di trovare delle differenti motivazioni per ognuno di loro.
A chi vanno i meriti di questa vittoria?
Al presidente Mario Bolognese, lui è la colonna portante della juniores, ringrazio anche Dino Monteferrante, Michele Sallese, Michael Rossi e il mio grande amico Maurizio Alberico che ha sempre seguito le partite della juniores e mi ha dedicato il gol contro la Virtus Cupello. Pensa che ho rischiato di diventare il suo allenatore.
L’esperienza con la prima squadra com’è stata?
Favolosa, avere a che fare con gente così forte, che ha giocato anche tra i professionisti è stato un piacere, ma non è stato facile, ero al primo anno. Mi sono occupato della fase gestionale, equilibrio e umiltà ti aiutano sempre a volare basso e ad essere apprezzato per quello che sei. Ringrazio Nicola Di Santo e la società che mi hanno dato questa opportunità. Grazie anche a tutto il gruppo, a Carlo Della Penna e Andrea Ialacci con il quale mi confrontavo spesso durante la stagione.
Ci sei rimasto male quando non sei stato scelto come allenatore?
Era molto difficile che la scelta ricadesse su di me, ma ho sempre fatto capire che ero pronto. Non ho mai avuto paura, stare su quella panchina è il sogno di ogni vastese.
E poi tra scaramanzia e rituale la tattica si preparava nel solito posto.
Al bar Modè dell’amico Bubu, all’anagrafe Nicola La Verghetta, è stato importante avere anche degli amici vicino nei momenti di relax.
Quali obiettivi hai per il futuro?
Studiare e migliorare, ho voglia di imparare e crescere, proseguirò con la Vastese e poi un giorno nei miei sogni c’è il Sudafrica, voglio tornare lì ad allenare.